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Marelli TECNOMECCANICA NICHE FUSINA

Marelli taglierà il personale, tutti i dettagli

Con le ultime sforbiciate di 400 lavoratori, la forza lavoro di Marelli in Italia scende sotto le 7.000 unità. Il conglomerato italo-giapponese ha annunciato un piano di investimenti di 73 milioni di euro per aumentare la produzione nei suoi 15 stabilimenti italiani. Fatti, numeri e approfondimenti

 

Si sono infine concretizzate per Marelli le voci che rimbalzavano ormai da parecchie settimane: David Slump, il ceo del gruppo della componentistica auto ex Fiat Chrysler Automobiles rilevato nel 2019 dal fondo Kkr attraverso il fornitore giapponese Calsonic Kansei, ha annunciato ai dipendenti la riduzione dei costi che passerà dalla chiusura di alcuni stabilimenti Marelli e da licenziamenti in varie sedi, Italia compresa. Sugli esuberi che riguardano il nostro Paese è stato comunque raggiunto un accordo quadro coi rappresentanti dei lavoratori che esclude i licenziamenti coatti e individua l’unico criterio della non opposizione.

IN MARELLI SFORBICIATE MA NESSUN LICENZIAMENTO COATTO

Proprio nelle stesse ore in cui Marelli in forza dell’accordo firmato con Fim, Fiom, Uilm, Fismic, UglM e AqcfR per il passaggio della azienda dal contratto specifico al contratto nazionale di lavoro annunciava un incremento del + 6,5% pari a 110,95 euro mensili per la prima area professionale, 119,07 per la seconda e 146,13 per la terza più una tantum di 320euro a marzo e di 200 euro a luglio, Marelli Holdings, conglomerato italo-giapponese di cui fa parte lo storico gruppo Magneti Marelli, ha comunicato alla stampa l’accordo con i sindacati italiani per l’uscita incentivata di 400 lavoratori in Italia, di cui 310 impiegati e 90 operai indiretti. Le sforbiciate in Marelli stanno andando avanti da un anno e queste ultime, ha spiegato l’azienda, sono dovute principalmente al mutamento della situazione macroeconomica che ha comportato l’aumento dei costi delle materie prime e un calo delle vendite.

Con l’uscita dei 400 lavoratori, la forza lavoro Marelli in Italia scende così sotto le 7.000 unità. Contestualmente a questa notizia, il conglomerato italo-giapponese ha reso poi pubblico un piano di investimenti di 73 milioni di euro, volto ad aumentare la produzione di componenti nei suoi 15 stabilimenti italiani. L’uscita incentivata del personale è avvenuta di comune accordo con i sindacati, e nessuno dei dipendenti è stato licenziato.

COSA DICONO I SINDACATI

La riduzione – hanno poi spiegato le principali sigle sindacali – si concentrerà sulle funzioni di staff e toccherà molto meno le fabbriche. Gli incentivi saranno per i pensionabili nell’arco dei 48 mesi tali da assicurare i primi due anni il 90% della retribuzione insieme alla NASPI e gli altri due anni lo 80% della retribuzione più l’equivalente dei contributi da versare. Per chi non raggiunge la pensione l’incentivo sarà da 35 a 39 anni 12 mensilità, fra 40 e 49 anni 24 mensilità, fra 50 e 54 anni 30 mensilità, e da 55 in su 36 mensilità; a queste cifre si aggiungono per chi esce entro il 31 maggio 20 mila euro fino a 49 anni e 30 mila da cinquanta anni in su. Per avere gli incentivi occorrerà in ogni caso avere 2 anni di anzianità aziendale. Infine sarà offerto uno specifico servizio di outplacement.

Venendo alle realtà produttive, salvo possibili fermate saltuarie causate dalla crisi degli approvvigionamenti, l’utilizzo degli ammortizzatori sociali è concentrato negli stabilimenti di Crevalcore in particolare per il reparto alluminio, di Bari power train tradizionale con una saturazione della manodopera pari al 70%, di Melfi con una saturazione pari al 75% e con ammortizzatori in scadenza ad ottobre 2023, di Sulmona con una saturazione pari al 55%, di Caivano con una saturazione del 94% ma senza più disponibilità di cassa per far fronte alle fermate improvvise.

ANCHE IL BILANCIO 22 IN NEGATIVO

“Benché i processi di osmosi fra le fabbriche, fortemente voluti dal sindacato – sottolineano Fim, Fiom, Uilm, Fismic, UglM e AqcfR -, abbiano prodotto risultati apprezzabili, restano preoccupanti criticità che saranno oggetto di specifico confronto a giugno, anche alla luce delle interlocuzioni in corso fra Marelli e Stellantis”. Nonostante Marelli Holdings sia uno dei maggiori fornitori mondiali di ricambi alle case automobilistiche (nel 2021 ha fatturato oltre 12 miliardi di dollari), la sua situazione economica si è fatta via via traballante con bilanci in negativo negli anni 2018, 2019, 2020 e 2021, tanto da essere stata posta in amministrazione controllata.

“Marelli – dicono i sindacati -ha comunque proseguito lo sforzo di diversificare i clienti e si è riportata in positivo nel quarto trimestre del 2022, pur concludendo l’anno nel suo complesso ancora in negativo. Resta in ogni caso il grave problema dei costi fissi, nonostante i progressi compiuti l’anno scorso. Le altre due sfide di fondo sono la semplificazione dei processi per migliorare i margini lordi e il rafforzamento della fiducia dei clienti”.

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