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Motori Endotermici

Le europee che pensano di restare fedeli ai motori endotermici

Solo gli americani corrono con convinzione verso l'elettrico. I marchi giapponesi nicchiano e alcune Case europee si dicono favorevoli alla neutralità tecnologica per continuare a produrre motori. Il mercato delle batterie, infatti, è nelle mani dei cinesi

Non sono solo giapponesi i marchi dell’automotive più restii ad abbracciare l’elettrico abbandonando totalmente i vecchi motori endotermici. Anche in Europa stanno aumentando i dubbi. Il perché è presto detto: mentre gli USA stanno velocemente mettendo in piedi una filiera che renda la ventura industria automobilistica EV totalmente autonoma, soprattutto dall’Asia (si fatica maggiormente coi chip, da qui l’attenzione di Washington per l’indipendenza di Taiwan che è il principale produttore), l’Europa non riesce a stare al passo.

GLI USA RESTANO FEDELI ALL’AUTO EV

Finora circa l’80% delle terre rare usate usate nell’industria hi-tech e auto degli USA era importata dalla Cina, che vanta una produzione di 120mila tonnellate (dati 2018), una delle più elevate al mondo davanti ad Australia (20mila tonnellate) e Stati Uniti, appunto (15mila tonnellate). L’amministrazione Biden dopo aver firmato una nuova legge che finanzierà il settore interno dei semiconduttori con 52 miliardi di dollari, intende anche attraverso l’Inflation Reduction Act, obbligare i grandi marchi del settore a creare una filiera interna, se vogliono avere accesso al mercato dei 50 Stati. Nell’ultimo pacchetto di norme contro l’inflazione, che non ha mancato di far mugugnare la Corea, il Giappone e l’Ue, vengono posti limiti stringenti a chi può ricevere i sussidi statunitensi per la produzione di veicoli elettrici, costringendo di fatto i marchi esteri a investire miliardi per realizzare auto e batterie negli States, avvalendosi di componenti made in USA.

I PROBLEMI DELL’UE

Nel Vecchio continente non sarà altrettanto facile smarcarsi dalla dipendenza cinese che, in un mondo che torna a dividersi in due blocchi contrapposti, Est e Ovest, potrebbe essere presto perfino una sudditanza. Da noi è stato il numero 1 del MiSE, Giancarlo Giorgetti, a ribadire ancora negli ultimi giorni la questione: “è necessario fare un ragionamento che vada oltre l’ambizione di fare una transizione green verso un mondo più sostenibile, ma che tenga anche conto di missioni strategiche, ad esempio da dove arrivano le componenti che vengono usate nell’automotive elettrica, per non ritrovarci domani esattamente nella stessa situazione con la Cina, come ci troviamo oggi con la Russia”. E questo “anche tenendo conto la realtà della nostra manifattura, del nostro sistema economico e dei tanti lavoratori impiegati in questo settore”.

Giorgetti, sempre di recente, ha ammesso la diversità di vedute tra Roma e Bruxelles: “noi abbiamo fatto una trattativa, abbiamo ottenuto dei piccoli risultati. Quello che è positivo, a mio giudizio, è che negli ultimi tempi questa sorta di dottrina non contestabile è stata messa in discussione: ci sono case automobilistiche che sono tornate sui loro passi e hanno capito che il giusto approccio è la neutralità tecnologica. Non c’è soltanto l’elettrico ma anche altre forme per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale”.

Ecco perché, dopo i colossi giapponesi dell’auto, anche in Europa, la crisi dei semiconduttori prima (secondo una ricerca condotta da Allianz Trade, solo per colpa dei chip il settore delle quattro ruote ha già perso un valore aggiunto di 50 miliardi nel 2021) e i venti di guerra tra Est e Ovest poi, stanno spingendo sempre più marchi a non legarsi mani e piedi alla transizione verso l’elettrico. Secondo la testata Politico, il recente cambio di direzione di Volkswagen rivelerebbe proprio la volontà dello storico marchio di seguire una linea meno oltranzista ma che sia anzi più moderata.

Sappiamo bene che Herbert Diess, da amministratore delegato, aveva commesso parecchi errori che avevano via via ridotto il suo margine d’azione, soprattutto nel suo dialogo coi sindacati e che la sua rimozione fosse solo questione di tempo, quindi è difficile sostenere che sia stato licenziato per la sua ideologia green, ma è pur vero che proprio quella era alla base delle contestazioni delle tute blu, visto che i piani per l’elettrificazione che aveva presentato comportavano pesanti ristrutturazioni e ancora più pesanti licenziamenti. Allo stesso modo, l’inchiesta sottolinea come il suo sostituto, Oliver Blume, abbia sempre lasciato aperta la porta della propria officina ad altre soluzioni green, come i carburanti alternativi. Pare poco, ma in realtà questa opzione permetterebbe alle industrie tedesche di mantenere intatta la filiera che oggi assembla i motori a scoppio e, soprattutto, non costringerebbe i marchi del Paese a rivolgersi alle aziende cinesi che fabbricano batterie per auto EV.

Intanto, in piena estate, Volkswagen ha presentato un nuovo motore a scoppio: TSI Evo2 a benzina turbo da 1,5 litri. Inizialmente, questo quattro cilindri sarà disponibile solo con una potenza di 150 Cv e verrà montato solo su T-Roc e T-Roc Cabriolet. A questi primi modelli seguiranno entro la fine di quest’anno altre auto con ulteriori varianti del turbo 1.5 TSI Evo2.

L’aspetto più interessante della questione non è solo che VW continua a investire nell’endotermico, ma che, secondo alcune fonti vicine all’azienda, questa nuova famiglia di motori TSI Evo2 dovrebbe essere stata progettata anche per funzionare con carburanti sintetici ottenuti da energie rinnovabili, una caratteristica che potrebbe far durare più a lungo la vita dei motori a combustione interna. TSI Evo2 è stato inoltre progettato per essere la ‘base’ di vari livelli di ibridazione, tanto da supportare sistemi Phev con potenza complessiva fino a 272 Cv.

Se si esclude il Ceo di Stellantis, che ha già manifestato in tutte le occasioni possibili il suo scetticismo, c’è poi un’altra big europea che continua a essere sospettosa verso l’elettrico quale unica soluzione per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni: Renault. Soltanto pochi giorni fa l’ad del Gruppo, che a breve dovrebbe presentare il piano industriale che entri nel dettaglio delle divisioni separate per motori EV (per l’Europa) e motori endotermici (per i Paesi meno industrializzati) Luca de Meo ha dichiarato: “Sulle emissioni servirebbe neutralità tecnologica”. Il marchio, che intende diventare 100% elettrico, non riserverà il medesimo trattamento alla controllata Dacia , che al momento ha un solo modello elettrico, Spring, che rappresenta il 12% dei suoi ordini.

“Renault cercherà di essere il campione dei motori elettrici, ma questo ha un rischio”, ha detto il Ceo Denis Le Vot a margine di una presentazione a Le Bourget, vicino a Parigi. “Questo è anche il motivo per cui esiste Dacia. A seconda della velocità di conversione del mercato ai motori elettrici e dell’appetito dei clienti, Dacia è qui. Le due cose possono coesistere in modo intimo”, ha detto. Del resto sempre de Meo ha dichiarato che con le motorizzazioni EV sarà più difficile produrre auto per tutte le tasche, da qui la decisione di destinare il marchio economico della divisione all’endotermico. Dacia comunque prevede di offrire un primo modello ibrido nel 2023.

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