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Scandinavia Musk Tesla Leak

La Scandinavia scarica le batterie a Tesla

Nel 2022 Elon Musk ha piazzato 21mila auto elettriche in Norvegia, 9.200 in Svezia, 3mila in Danimarca e 1.700 in Finlandia. Ma adesso tutta la Scandinavia ha bloccato le consegne di Tesla. Una decisione sindacale che per il magnate sudafricano è semplicemente "folle"

Deve essere parecchio frustrante per uno come Elon Musk, che ai suoi manager ripete come un mantra che bisogna “correre”, vedere le proprie auto bloccate in tutta la Scandinavia, uno dei principali mercati d’approdo delle vetture elettriche prodotte nello stabilimento di Berlino. Non a caso l’istrionico Ceo ha bollato l’intera questione come “folle”.

SETTE (OFFICINE) CONTRO TESLA

Tutto ha avuto inizio quasi due mesi fa, il 27 ottobre scorso, con un innesco a prima vista risibile che ha però fatto detonare la più grande protesta mai affrontata dal gigante delle auto elettriche. Contro Tesla, inizialmente, uno sparuto gruppo di 130 meccanici affiliati al sindacato nazionale IF Metall che lavorano in sette officine svedesi che l’azienda ha nel Paese, il quinto mercato per il Gruppo con sede ad Austin, in Texas.

L’INTERA SVEZIA SCIOPERA CONTRO TESLA

I 130 chiedono un contratto basato sulla contrattazione collettiva, che copra i diritti fondamentali, come i livelli di retribuzione e gli orari di lavoro. Un innesco come si anticipava molto piccolo, anche perché nemmeno tutti i meccanici hanno chiuso le officine e creato problemi all’utenza.

Ma, grazie alla legge svedese che consente di solidarizzare tra lavoratori di altri gruppi e settori, da lì l’azione sindacale si è estesa prima a una serie di altri sindacati e lavoratori dei comparti più disparati, poi anche ad altri paesi del Nord Europa.

LA SCANDINAVIA CONTRO TESLA

Alla protesta si è così persino unito il Fondo sovrano norvegese, quindi la Danimarca e infine la Finlandia. Tutta la Scandinavia è solidale con i 130 metalmeccanici. In Danimarca 3F, il sindacato principale della nazione, ha annunciato che i propri lavoratori bloccheranno la consegna delle Tesla. E non è finita qui. Il presidente del sindacato 3F, Jan Villadsen, è anche membro del consiglio di amministrazione di PensionDanmark che si è appena liberato delle azioni Tesla per 400 milioni di corone (58 milioni di dollari).

Particolarmente battagliera pure la Norvegia, dove si è mossa la Fellesforbundet, la Federazione sindacale unitaria, il più grande sindacato norvegese del settore privato. Ma soprattutto come si anticipava ha mugugnato il Norges Bank Investment Management (Nbim), che gestisce il fondo sovrano, nonché settimo maggiore azionista di Tesla con una quota dello 0,88%, del valore di circa 6,8 miliardi di dollari: “Ci aspettiamo che le società in cui investiamo rispettino i diritti umani fondamentali, compresi i diritti del lavoro”, l’ammonimento nemmeno troppo velato di Nbim. Che poi ha anche aggiunto: “Nel 2022 abbiamo sostenuto una proposta degli azionisti di Tesla che chiedeva alla società di introdurre una politica di rispetto del diritto di organizzazione”.

I governi del Nord lasciano fare, sia per non inimicarsi inutilmente i lavoratori, sia perché c’è evidentemente necessità di informare il Gruppo in merito a quali confini non possano essere superati con noncuranza.

È LA SOCIALDEMOCRAZIA, BELLEZZA

Tesla, è noto, non ha mai amato i sindacati. Negli Usa, come ricorda la Uil, infatti, l’azienda ha provato a vietare ai dipendenti dello stabilimento californiano di Fremont di indossare t-shirt con il simbolo della United Automobile Workers durante una campagna per la sindacalizzazione.

Lo stesso Elon Musk, patron di Tesla, qualche tempo fa via X aveva minacciato i lavoratori nelle sue gigafactory di perdere le stock option se si fossero costituiti in sindacato. Il National Labor Relations Board aveva poi stabilito che il magnate sudafricano avesse violato la legge federale sul lavoro, intimandogli di cancellare il tweet.

Probabilmente il magnate sudafricano non sapeva che in Paesi del Nord Europa in cui la contrattazione collettiva è demandata esclusivamente alle azioni delle parti sociali e il legislatore se ne tiene ossequiosamente al di fuori, mettersi contro i sindacati può essere davvero rischioso. Ecco perché quella scoppiata in seno a Tesla è oggi la più grande azione sindacale che ha dovuto affrontare da quando fu fondata nel 2003,per di più in un gruppo di Paesi in cui non ha nemmeno gigafactory.

CHI SCIOPERA

La protesta si è estesa a macchia d’olio: dai porta lettere, che non stanno consegnando targhe all’azienda ai portuali, che si sono rifiutati di fare sbarcare i container del gruppo americano. L’interruzione di tutti i servizi sta riguardando ora la gestione dei rifiuti nelle officine di riparazione di Tesla dopo che avevano precedentemente incrociato le braccia le ditte di pulizia.

Tesla non è stata a guardare, denunciando l’Agenzia di trasporti svedese e chiedendo di ritirare le targhe direttamente alla motorizzazione. Ma i giudici del lavoro hanno risposto picche. Per la registrazione delle nuove automobili occorre l’ufficialità dei canali predisposti dalla legge, passando attraverso la spedizione postale. Anche i giudici sono contro Tesla? O forse è il gigante dell’auto a essere semplicemente dalla parte sbagliata?

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