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Cina Auto

La Cina inonderà il mercato occidentale dell’auto?

Nessuno di noi conosce marchi e modelli 'auto fatte in Cina, eppure l'Europa è ora la principale destinazione delle esportazioni cinesi di veicoli cinesi. Cosa sta succedendo? Fatti, numeri e approfondimenti

Mentre negli anni passati noi occidentali, concentrati solo su noi stessi, schernivamo la Cina pensando che fosse capace solo di copiare i nostri brand, Pechino progettava e metteva in pratica un mercato industriale senza pari per portata e lungimiranza, che abbraccia più settori, dalle tlc (ecco perché quando si parla di 5G si parla di Cina) ai semiconduttori. Nel campo dell’auto, appena le è stato chiaro che il futuro sarebbe stato nell’elettrico, il colosso asiatico si è mosso con rapidità per accaparrarsi le terre rare d’Africa (utili anche per tutti i prodotti hi-tech che produce a ritmo serrato) ed è stato il primo Paese a investire seriamente nella ricerca e sviluppo di tecnologie che sostituissero le motorizzazioni endotermiche. E dire che solo 20 o 30 anni fa non possedeva alcun know-how…

AUTO, COSI’ LA CINA HA CARPITO IL KNOW HOW OCCIDENTALE

È passato sotto silenzio il fatto che, all’inizio di quest’anno, la Cina abbia rimosso tutte le restrizioni in precedenza richieste dal 1994 in poi alle proprietà straniere dell’industria dell’auto, in particolare a quelle europee. Fino al 31 dicembre 2021, chi era interessato a entrare nel mercato cinese doveva formare joint venture con partecipazioni al 50% con aziende cinesi per garantirsi un immediato accesso al mercato locale. La solita miopia occidentale aveva pensato che si trattasse di una mossa per statalizzare anche quelle realtà economiche, garantendo al governo un posto pure in quei CdA. Indubbiamente serviva anche a quello. Ma non solo. Le joint venture parastatali servivano infatti a garantire che non solo i profitti, ma anche la tecnologia rimanessero parte integrante dell’economia cinese per aiutare le case nazionali a crescere in termini soprattutto di know how.

OBBLIGO DI JOINT VENTURE

Insomma, la Cina da parte sua ci metteva operai con paghe minime e una scarsa conoscenza dei propri diritti, ma non voleva finire a essere la “tuta blu” ipo-sindacalizzata del mondo. Ha voluto guardare negli occhi i produttori d’auto occidentali, si è seduta alla pari nei consigli di amministrazione e ha preteso di visionare i progetti, comprendendone le tecnologie.

Questa digressione permette di capire cosa sta succedendo oggi. Adesso, infatti, con sempre più produttori cinesi che assemblano in maniera autonoma e vendono veicoli anche all’estero, la Cina permette ai marchi occidentali di entrare liberamente nel suo mercato, che nel frattempo è diventato il primo al mondo per guidatori e reddito pro capite degli stessi, capace di attrarre chi vende piccole utilitarie (i giapponesi vanno molto forte nelle keicar), quanto chi vuole piazzare marchi del lusso (da Audi a Bmw). Non è un caso se in Cina sono arrivati soprattutto marchi tedeschi, con Volkswagen che ha stretto partnership con SAIC e FAW, Bmw con Brilliance e Mercedes con Baic Motor (divisione automotive di Beijing Automotive Industry Holding). C’è infine il caso di Geely che ha avviato una collaborazione con Renault. Per limitarci alle joint venture principali.

Le tedesche non solo hanno colonizzato il mercato cinese, ma hanno iniziato a produrre in Cina auto destinate all’Occidente. Che era ciò che voleva Pechino. Ma a che prezzo? In piccolo, ma nemmeno troppo, molti dei marchi europei che si sono tuffati a pesce in Cina ora rischiano di diventare cinesi, pericolo che Mercedes conosce bene. In grande, che la Cina ci rivenda le auto europee prodotte là…

LE BIG EUROPEE PRODUCONO AUTO IN CINA

Lo certifica una ricerca pubblicata dal think tank tedesco Mercator Institute for China Studies (MERICS) che coi suoi dati dimostra che l’Europa è ora la principale destinazione delle esportazioni cinesi di veicoli elettrici. Attenzione: non perché i consumatori chiedono a gran voce i marchi cinesi, che anzi qui restano praticamente sconosciuti ai più (mai sentito parlare della Neta S, della XPeng o della Nio?) ma perché le case automobilistiche statunitensi ed europee stanno spostando sempre più la produzione in Cina.

BRUXELLES HA MEZZI PER DIFENDERSI?

L’Europa rischia così di perdere gran parte della propria produzione industriale e, si sottolinea nel report, di non raggiungere nemmeno l’obiettivo (tardivo, a dire il vero) di costruire una propria filiera di batterie elettriche in modo non dissimile dal progetto, varato nei mesi scorsi, di diventare autosufficiente sul fronte dei microchip.

Come descrivono gli autori del report, tre misure in particolare stanno distorcendo il mercato dei veicoli elettrici a vantaggio della Cina: la limitazione dei sussidi ai consumatori per i veicoli elettrici di produzione nazionale e la volontà di condizionare la produzione locale al trasferimento di tecnologia ai concorrenti cinesi; l’esclusione dal mercato cinese delle aziende straniere produttrici di batterie; la possibilità di fornire finanziamenti a basso costo ai produttori di veicoli elettrici con sede in Cina, siano essi marchi nazionali o stranieri.

L’Ue può al momento difendersi con le norme antidumping: se un Paese extracomunitario pratica il “dumping” vendendo prodotti all’UE a prezzi più bassi rispetto ai prezzi di vendita interni o inferiori ai costi di produzione, Bruxelles può imporre dazi in risposta. Ma non bastano. Ecco perché è allo studio un’altra misura, i cui dettagli sono attualmente in fase di definizione, che mira a colpire le imprese estere che operano nell’UE e che ricevono sovvenzioni potenzialmente distorsive del mercato da un Paese extra-UE. Ma soprattutto, l’Ue deve richiamare all’ordine le proprie grandi aziende dell’auto, sempre più attratte dalla Cina, ma deve farlo in fretta, perché la possibile/temuta scalata ostile a Mercedes dimostra che a breve potrebbero non essere più europee.

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