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Msc-Lufthansa per Ita, ecco perché

Quale sarà il futuro di Ita? L'analisi di Paolo Rubino e Salvatore Santangelo.

 

Se c’è un’industria capace di scatenare il déclic retorico della politica, pochi dubbi che questa sia tuttora quella del trasporto aereo. Ben più dei pur strategici settori dell’acciaio, dell’energia, della finanza o del modaiolo digitale o del misterico terre rare. Perfino più del mitologico automotive.

E non a caso, da sempre e ovunque nel mondo, il trasporto aereo è definito la “sexy industry”. È sexy perché evoca viaggi e scoperte, si distacca funzionalmente dalla materialità terrena per svolgersi nei cieli, decolla e atterra da luoghi, gli aeroporti, quintessenza del melting pot culturale, etnico, sociale. Se Freud fosse vissuto oltre il 1939, nel boom postbellico dei viaggi aerei, avrebbe probabilmente decodificato la relazione tra aeromobile e aerostazione nel facile, benché banale, topos del rapporto erotico per eccellenza.

Destino, scopo e ruolo del trasporto aereo italiano sono argomenti che animano il dibattito nazionale da oltre trent’anni e perciò più volte questo dibattito si è incrociato con le campagne elettorali dei partiti. Puntuale, nella corrente competizione elettorale anomalmente estiva, il confronto-scontro tra le parti politiche sul tema del trasporto aereo nazionale e su destino, scopo e ruolo dell’Alitalia reincarnata in Ita Airways. Il dibattito è, come sempre purtroppo, caratterizzato da pregiudizio ideologico delle premesse e superficialità dei contenuti. In altri termini, piuttosto zotico.

A sinistra (si fa per dire) il pregiudizio è costituito dalle lenti presbiti del proglobalismo acritico, la superficialità dall’idea che la finanza internazionale esista per, e voglia, risolvere i problemi dell’industria nazionale. A destra le lenti sono miopi nell’assunto ideologico che anche piccolo, purché nazionale, sia sempre bello e superficiale l’idea che i titolari di vetuste concessioni balneari, di medioevali licenze taxi, di piccole, spesso fatiscenti, strutture alberghiere, di pletorici ristoranti e bar, debbano giovarsi di una piccola compagnia aerea nazionale che gli porti mandrie di turisti stranieri direttamente senza passare da hub “stranieri”.

Dibattito primitivo, emozionale, volto ad accaparrarsi simpatia e voti di mera pancia che durano lo spazio delle elezioni e crollano immancabilmente quando dalla facile retorica delle enunciazioni si dovrebbe passare alla dura realizzazione dei fatti. E i fatti sono che per fare un buon trasporto aereo occorrono imprescindibili condizioni: chiarezza ferrea degli obiettivi, competenza elevata e ben remunerata degli staff, assistenza logistica ampia, profonda, onerosa e sistemica, forza e competenza negoziale con i settori industriali upstream, i costruttori OEM in primis, downstream, la distribuzione CRS e Internet soprattutto, potenza di capitali disponibili a ritorni di lungo, anche di lunghissimo periodo.

Che il trasporto aereo, nei trent’anni di furiosi dibattiti, sia passato da profonde trasformazioni e sia oggi di fronte ad un nuovo epocale cambiamento poco interessa ai dibattenti. Di conseguenza destino, scopo e ruolo della reincarnata Alitalia sono discussi in un iperuranio segregato da scenario corrente e prospettive future dell’industria.

Qual è, tra quelle sul tavolo, la proposta per Ita Airways più competente, proiettata nell’imprescindibile, tanto più per l’Italia, scenario dell’intermodalità logistica, con mezzi capitali potenziali adeguati e di matrice prevalentemente industriale, meno condizionati da interessi finanziari di breve? A chi scrive sembra che la proposta del duo MSC-Lufthansa risponda in modo più adeguato, moderno e visionario alle esigenze nazionali del trasporto aereo.

Certamente il vettore tedesco appare il più avanzato, anche per genetica predisposizione, nell’elaborazione di un modello di business che vada oltre la stantia strategia del mega hub. Altresì certamente l’armatore italiano è campione mondiale nel campo dell’integrazione logistica delle piattaforme e, insieme, il duo appare il più attrezzato per lo sviluppo del modello intermodale. Né guasta che, per quel che si sa della proposta, il ruolo dell’armatore non sia disegnato come foglia di fico per coprire una brutale annessione tedesca del trasporto aereo italiano.

E francamente di vile interesse appare la questione della quota di capitale che resterà nelle mani del soggetto pubblico italiano. Perché questa abbia un senso occorrerebbe che l’implicito golden power, meramente interdittivo, fosse strumento realmente e lucidamente agibile da chi lo detiene. Purtroppo nelle mani della sinistra di governo rischia di essere la minaccia dell’eunuco per l’acritico, pavloviano, asservimento al globalismo.

Per la probabile destra di governo rischierebbe di essere una brutale clava nelle mani di un bambino ipertrofico. Piuttosto ai politici che concorrono al governo nazionale andrebbe insinuata l’idea di non perdere tempo a negoziare con il duo acquirente rotte, aeroporti, livelli occupazionali e altre tecnicalità per le quali le competenze proprie sono elementari e fragili rispetto a quelle di Lufthansa e MSC. Soprattutto si tratta di argomenti caduchi, per natura soggetti a variare in funzione della variazione degli scenari, quindi inutili nell’impostazione di un accordo di cessione dell’asset.

È sulla governance del futuro soggetto societario che varrebbe la pena di negoziare. Il diritto di nomina dell’organo amministrativo, almeno per i primi tre mandati, sarebbe un tema di reale interesse. E per questo basterebbe una quota qualsiasi anche minima. Ovviamente lasciando ai soci di maggioranza le più ampie e incisive facoltà di controllo sull’operato, e i risultati, dell’AD.

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