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Ecco cosa succederà fra Lufthansa e Ita Airways

Quanto è disposto a pagare il gruppo Lufthansa per acquistare una partecipazione qualificante in Ita Airways. E come deve muoversi il governo italiano. L'analisi di Paolo Rubino

 

It Airways annuncia di aver ricevuto lunedì 24 gennaio la manifestazione di interesse da parte del gruppo Msc e Lufthansa per acquisire la maggioranza della compagnia. Il gruppo MSC ha concordato con Lufthansa la sua partecipazione alla partnership a termini da definire durante la due diligence. Sia il gruppo Msc sia Lufthansa hanno espresso il desiderio che il governo Italiano mantenga una quota di minoranza all’interno della società. Inoltre, il gruppo MSC e Lufthansa hanno richiesto 90 giorni di esclusivo per lavorare sulla manifestazione di interesse. ItAirways, dice la nota, “è soddisfatta che il lavoro svolto in questi mesi per offrire le prospettive migliori alla societa’ stia cominciando ad avere i risultati attesi, ovvero una compagnia riconosciuta valida per partner di calibro internazionale sia sul trasporto passeggeri che sul cargo . Il cda esaminera’ in una prossima riunione i dettagli della manifestazione d’Interesse stessa”. (Redazione Start Magazine)

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L’ANALISI DI PAOLO RUBINO, EX TOP MANAGER DI ALITALIA

Le cronache di Ita Airways raccontano che il vertice della compagnia è vicino alla tanto agognata conclusione di un patto con uno dei grandi gruppi protagonisti del trasporto aereo europeo e mondiale.

Rumore mediatico o annuncio concludente? Se si mettono in fila i fatti, filtrando le nebbie della speculazione e della retorica, emerge quanto segue:

  • Il 30 settembre 2021: Ita, nella persona del suo Presidente Altavilla, annuncia l’acquisizione di 59 aeroplani della famiglia Airbus di cui 28 in proprietà, 31 in leasing.
  • Il 15 ottobre 2021: Ita comincia la sua attività di trasporto e, contemporaneamente, Altavilla annuncia l’acquisto dal liquidatore del marchio Alitalia.
  • Il 16 ottobre 2021: lo stesso Presidente dichiara, però, che quel marchio non sarà utilizzato e il successivo 19 ottobre chiarisce che “la maggior parte dei potenziali alleati con i quali abbiamo discusso del marchio mi hanno detto che Alitalia sarebbe stata una zavorra in una discussione di alleanza. Era necessaria una discontinuità”.
  • il 15 gennaio 2022: in audizione alla commissione Trasporti della Camera dei deputati, il vertice aziendale informa che, nel primo bilancio 2021, nei 75 giorni trascorsi di attività industriale dal 15 ottobre, il conto economico si chiuderà con una perdita, prima degli oneri finanziari e delle tasse, di 170 milioni di euro, benché tale risultato manchi, per ora, di una delibera del CdA. Nella medesima circostanza vengono fornite altre informazioni che, però, non sono fatti, piuttosto intenzioni e opinioni, ovvero, nelle parole di Altavilla
  • “che si possa arrivare a giugno – 2022 – ad avere un progetto concreto di alleanza – e che – ci stiamo lavorando con il massimo impegno”
  • che “non essendo conclusa l’elaborazione del piano industriale che determinerà il valore prospettico della compagnia è presto per parlare di quote azionarie” da cedere al presunto alleato e, comunque, questo vertice avrebbe chiare in mente le condizioni irrinunciabili da porre al futuro alleato, “innanzitutto il riconoscimento della centralità di Fiumicino e Milano Linate nel futuro network di questa alleanza: quindi noi non accetteremo proposte che ridimensionino Fiumicino e Linate, anche perché questo aprirebbe la porta a ridimensionamenti anche occupazionali. In secondo luogo riteniamo che l’Italia abbia tutte le prerogative per mantenere alcune rotte di lungo raggio senza che il lungo raggio venga assorbito dal futuro partner”. Aggiunge ancora Altavilla che il marchio Alitalia è “destinato a essere utilizzato in analogia con quel che accade con altri operatori che hanno altri marchi nel loro portafoglio. Abbiamo identificato una missione molto chiara per il brand Alitalia” ribaltando così quanto dallo stesso dichiarato il 16 e 19 ottobre 2021.

Dunque, i fatti ci dicono che, in assenza di aggiornamenti, è confermato il piano flotta. Si tratta certamente di una buona notizia, seppur viziata da gravi ingenuità commerciali, strategiche e finanziarie. Un unico fornitore Airbus e l’apparente definitiva rinuncia alla partnership con Boeing, a lungo nella tradizione industriale dell’aviation italiana, sul piano commerciale; un mix di ordini sbilanciato sul medio raggio sul piano strategico; un mix di fonti sbilanciato sul leasing sul piano della convenienza finanziaria di medio e lungo termine, peraltro anche qui con un unico fornitore dal punto di vista commerciale.

Inoltre, è confermato il piano network, nel quale è assunta la centralità operativa di Fiumicino e Linate. Buona notizia che ci sia un piano per l’impiego della flotta, benché viziato da una certa zoppia e obsolescenza, in particolare per il Nord Italia dove l’individuazione del polo strategico nel city airport di Linate appare piuttosto un retaggio degli anni ’80, privo di energia per soddisfare la domanda contemporanea di quel succulento bacino di traffico e poco lucido nel considerare l’invincibile concorrenza dell’alta velocità ferroviaria nel medio raggio nazionale ed europeo.

Si registra anche una correzione di rotta nella strategia commerciale nella riesumazione del marchio Alitalia. Buona cosa visto che quel marchio ha senza dubbio una maggiore attrattività, rispetto all’anonimo Ita, per catalizzare prenotazioni e vendite nel mondo parallelo, e fondamentale, dei CRS e del web, benché nulla si dica su quale sia effettivamente la missione “molto chiara” del brand rinato. Si ribadisce che esiste un Piano industriale che aveva previsto la perdita di 170 milioni di Euro nel 2021, ovvero 2,2 milioni al giorno. Interessante risultato che conferma, inglobando il tasso d’inflazione, le perdite giornaliere dal 2004 in avanti costanti attraverso le più svariate tipologie di gestione che l’alchimia societaria possa immaginare. Si conferma anche che le trattative per un’alleanza procedono e si individua perfino un termine per queste nel prossimo mese di giugno.

Buona cosa che questo pilastro determinante continui a impregnare di sé il pensiero strategico del vertice aziendale, benché, ancora una volta, si avverta sentore di stantio nel porre come perno della strategia un percorso che risale agli anni ’90 e che, nello scenario contemporaneo, appare privo di forza creativa nella sua autoreferenzialità incapace di vedere il nuovo orizzonte dell’intermodalità. Verrebbe anche da chiedersi perché si cerca una nuova alleanza visto che Ita fa parte di Skyteam. Ci sono ed eventualmente quali sono i motivi di insoddisfazione per questo cartello di cui già Alitalia ha fatto parte per ben vent’anni? E quali sono i vantaggi attesi da un’epocale, per dispendio di danaro ed energie intellettuali, migrazione in un nuovo sistema di prenotazioni, in nuovi contratti di manutenzione, di handling, di catering, di programmi di fidelizzazione etc. etc.? Si annuncia pure che è in corso “l’elaborazione del piano industriale che determinerà il valore prospettico della compagnia”.

Avere un piano è buona cosa, ma non ce n’è già uno? Lo stesso che “legittima” la perdita di 170 milioni nel primo esercizio della compagnia? Si conferma, infine che il management sta “lavorando con il massimo impegno”. E qui è davvero una buona notizia, benché magari un po’ ridondante.

A ben vedere, se si mettono insieme i fatti acclarati e le intenzioni dichiarate emerge un profilo alquanto preciso: un vettore cosiddetto “capacity provider”, mero produttore di ore volo per conto di un terzo, un “fasonista” per adottare un termine noto all’industria tessile. Sembrerebbe averne tutti i caratteri: flotta monomarca, evidente segnale di funzionalità alle strategie di flotta di un grande player che mai rinuncerebbe ai benefici di almeno una duplice fonte di approvvigionamento. E altamente flessibile, visto lo sbilanciamento sul leasing che consente al committente di tagliare la commessa più rapidamente se necessario in funzione dei propri obiettivi produttivi. Un solido aeroporto spoke quale Linate, catalizzatore di traffico di feederaggio per i grandi hub continentali, poco attento peraltro alle compatibilità ambientali.

Ma questo non è in genere elemento cruciale per un fasonista. Un grande aeroporto di destinazione quale Fiumicino. E giustamente quale terzo vorrebbe perdersi l’impareggiabile appeal della destinazione Roma. Il Colosseo, almeno per ora, non si può trasferire certamente altrove. Ampia, e acritica, disponibilità a migrare da infrastrutture tecnologiche e informatiche ad altre, ma un fasonista non può evitare ciò perché non sviluppa sistemi propri, deve lavorare su e con quelli del committente pagandone ovviamente i canoni di utilizzo. Questo profilo di fasonista, per prossimità logistica e vocazione strategica al puro hub&spoke soprattutto, ma anche per sinergie nei grandi acquisti, per potenziale di crescita reddituale nelle vendite di manutenzione, informatica, catering e altri servizi, è certamente funzionale alla strategia e assetto organizzativo del gruppo Air France, come a quelle del gruppo Lufthansa. Poco a quelle del gruppo IAG (British) che, non a caso, da sempre declina l’interesse. Quasi per niente alle grandi compagnie USA, almeno in vigenza dell’attuale normativa internazionale che regola il trasporto aereo.

Ma un committente deve per forza acquisire la proprietà, sia pure parziale, di un proprio fasonista? In teoria no, ma di certo la stabilizzazione di un rapporto ancillare sarebbe favorita dal controllo societario. In questo Lufthansa ha dimostrato di non lesinare in passato acquisendo il controllo, tra le numerose altre, di ben tre ex compagnie di bandiera, la Austrian, la Swiss, la Sabena. Un po’ diverso l’approccio di Air France che, nell’operazione con l’olandese KLM, ha mostrato di volere valorizzare non tanto il ruolo da fasonista del vettore, ma quello di socio, sia pur di minor peso, nel progettare un comune futuro. La pulsione del vertice Ita verso l’opzione del gruppo tedesco, ad onor del vero mai dichiarata, piuttosto spesso insinuata dai commentatori, sembrerebbe pertanto indurre ad un futuro di Ita/Alitalia come capacity provider sulla falsariga di austriaci, svizzeri e belgi.

Quanto è disposto a pagare il gruppo Lufthansa per acquistare una partecipazione qualificante nella compagnia italiana? Improbabile che questo tipo di acquisto si basi sull’apprezzamento del valore futuro dell’impresa come pure Altavilla sembrerebbe paventare quando riferisce dell’elaborazione di un nuovo ennesimo piano industriale. La valutazione del prezzo del compratore si baserà, assai più facilmente, sulle marginalità che il nuovo capacity provider potrà produrre per il gruppo acquirente in termini di maggior potere nei grandi acquisti flotta; di reddito incrementale per le vendite di manutenzione, catering, handling; il minor costo commerciale di attrazione dei clienti dal decisivo mercato italiano. La sorte economica, finanziaria e patrimoniale del capacity provider non è una priorità, seppur certamente il gruppo acquirente non sarà indifferente alla stabilità economica del suo fasonista. Ma in genere, l’input del committente sarà quello di perseguire la stabilità mediante l’elevata flessibilità dei costi, in primis del lavoro.

Scenario assai diverso se il rapporto tra il gruppo acquirente, si ponga Lufthansa, e Ita/Alitalia dovesse basarsi su una cessione, da parte della proprietà Ita, di un pacchetto rilevante di azioni in cambio di una partecipazione da ottenere nel gruppo. Ma per questo il portafoglio dovrebbe aprirlo l’attuale proprietario di Ita, lo Stato italiano. La capitalizzazione di borsa del gruppo è oggi pari a circa 8 euro 8 miliardi. Se il conferimento di Ita/Alitalia in transazione privata con il governo federale tedesco potrebbe creare un pacchetto iniziale, pagato carta contro carta, di qualche punto e purché si arresti rapidamente il depauperamento gestionale in corso, per poter contare davvero nel board bisognerebbe acquisire il resto dal mercato fino a raggiungere una soglia almeno del 10%.

Se questo visionario progetto dovesse prender vita, il protagonista dovrebbe essere il governo italiano, non certo la società Ita. Ma se questo investimento desse vita a un vero gruppo “New European Airline” magari ne varrebbe la pena.

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