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Pacifismo Liberale

Il pacifismo liberale di Benjamin Constant

Il Bloc Notes di Michele Magno

“Conquista e usurpazione” (1813) di Benjamin Constant (Losanna,1767-Parigi,1830) è un manifesto del pacifismo liberale. Il bersaglio della sua polemica è Napoleone Bonaparte, ciò che egli rappresenta per la storia della civiltà europea. Come sottolinea Luigi Marco Bassani nel saggio introduttivo al testo edito da IBLLibri (novembre 2023), la maggioranza degli storici riserva al generale corso giudizi entusiastici. Perché con le sue gesta l’Europa entra nella modernità, spazzando via i residui feudali sopravvissuti all’Antico regime. Secondo la nota immagine di Hegel, Napoleone quindi cavalcava con la Storia, anzi era la Storia.

Il filosofo franco-svizzero vi coglie invece un ritorno all’antica tirannia. L’analisi dell’età napoleonica prende le mosse da un confronto tra la guerra e i commerci, ossia dei mezzi violenti e di quelli pacifici che sono in inconciliabile opposizione. Infatti, il “calcolo civile” del commercio tende progressivamente a sostituire “l’impulso selvaggio” della guerra. Constant confuta la tesi (ancora oggi prevalente) che l’economia di mercato, gli scambi fra individui adulti e consenzienti, siano il regno della sopraffazione. Per lui, al contrario, sono l’antitesi assoluta della prevaricazione e dell’arbitrio.

Allucinazione borghese per gli studiosi marxisti, la tesi “pace attraverso i commerci” fu duramente contestata anche da Carl Schmitt. Il giurista tedesco, sfruttando un’assonanza della sua lingua, sosteneva che “Scambiare (tauschen) e ingannare (täuschen) sono spesso la stessa cosa” (“Il concetto di politico”, 1927-1932). Ma, riproposta con forza da Bastiat e da Richard Codben, essa diventerà un caposaldo del liberalismo ottocentesco. Forse Constant è allora “uno di quei pochi autori per i quali andrebbe utilizzato il termine liberale senz’altra qualificazione” [Bassani]. Egli non è un “liberale classico”, perché la sua concezione dell’origine della proprietà lo distanzia da John Locke. E tuttavia non può nemmeno essere considerato un liberale aperto ai temi sociali e democratici, in quanto la sua visione dello Stato si sviluppa essenzialmente come tutela dei diritti degli individui proprietari. Il cuore del suo liberalismo è dato dal primato della Costituzione, ossia delle garanzie scritte nel documento poltico per eccellenza di una nazione.

Paradossalmente Constant ha bisogno di far discendere la proprietà “dall’empireo dei diritti naturali, imprescrittibili e inalienabili, a quello dei diritti “terreni” frutto “delle società umane, costituite a beneficio degli esseri umani, per renderlo il fondamento del suo sistema”[Bassani]. Una sorta di potenziamento del diritto di proprietà per mezzo di una sua apparente degradazione. Ma la proprietà perde il suo carattere naturale essere non certo per diventare soggetta alle mutevoli decisioni della maggioranza, ma per fondare un intero ordine politico, quello dello  Stato liberale.

Già dai discorsi di inizio Ottocento al Tribunato, organo consultivo in cui era entrato nel 1799, Constant si consacra al problema della limitazione del potere. Mentre negli anni precedenti era stato piuttosto comprensivo verso le misure incostituzionali del Direttorio, in questo periodo prende in mano il testimone del liberalismo più intransigente fino all’esaurimento della pazienza di Napoleone, che nel 1802 gli impedisce la prosecuzione di qualunque carriera pubblica. Il fuoco    dei suoi scritti politici è quello di salvare la Rivoluzione e bandire il Terrore. È grazie a lui che il motto dei liberali non conservatori del continente diviene: “Viva il 1789 e abbasso il 1793”. Montesquieu riteneva che la separazione e il bilanciamento dei poteri fosse di per sé uno scudo impenetrabile da un governo dispotico. Per Constant, invece, il fondamento della libertà sta nella limitazione dei poteri stessi, incatenando il Leviatano attraverso, appunto, una Costituzione.

Dal 1802 al 1814 conduce un’esistenza tutta privata, trascorrendo gran parte del tempo presso il castello di Coppet, vicino Losanna, in compagnia di Madame de Stäel. Dopo un anno di esilio volontario in Inghilterra, nel 1816 torna a Parigi. Nel 1819, in febbraio, tiene la celebre conferenza “La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni”. Nel 1830 si schiera con la monarchia di Luigi Filippo, il quale gli concede un sussidio per pagare i suoi ingenti debiti di gioco. Muore l’8 dicembre dello stesso. Un enorme corteo accompagnerà le sue spoglie al cimitero di Père Lachaise.

Fino a non molto tempo addietro Constant era noto soprattutto come letterato, autore di un romanzo (“Adolphe”,1815) considerato un capolavoro e un manifesto del romanticismo europeo, di brevi saggi, di una tragedia (“Wallstein”, rifacimento di quella di Schiller, 1809), di un poema epico (“Le siège de Soissons”, 1813-1814). Che egli meriti apprezzamento anche letterario è indubbio, ma che questo sia stato in grado di oscurare le sue doti di pensatore politico comporta anche qualche riflessione sul vero e proprio “occultamento attuato dalla storiografia marxista” (Tsvetan Todorov, “Benjamin Constant. La passione democratica”, Donzelli, 2003).

 

 

 

 

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