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Corriere Della Sera

Il Corriere della Sera di Cairo asfalta Stellantis di Elkann (Repubblica)

L’Italia dell’auto ha smesso di correre. Anzi, si sta proprio fermando. E il Corriere della Sera strapazza per questo Stellantis… Fatti, numeri e approfondimenti   Non è una novità che il mondo dell’automotive italiano sia al palo e che rischi di farsi trovare fortemente impreparato di fronte alla sfida delle sfide: la transizione energetica che…

 

Non è una novità che il mondo dell’automotive italiano sia al palo e che rischi di farsi trovare fortemente impreparato di fronte alla sfida delle sfide: la transizione energetica che decreterà l’avvicendamento delle auto tradizionali su quelle elettriche. Su Start si racconta quotidianamente i molteplici problemi e le tante mancanze anche a livello europeo, dove l’industria dell’automotive rappresenta 2,6 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero e nel complesso più di 13 milioni di posti di lavoro. Numeri che fanno di questo settore uno dei più importanti in Europa e in Italia.

Nel nostro Paese sono circa 250 mila le lavoratrici e i lavoratori coinvolti, di cui 168 mila riguardano la filiera della componentistica. La vera novità è semmai rappresentata dal peso che il Corriere della Sera decide di dare alla questione, focalizzandola sulle responsabilità della Stellantis guidata da John Elkann, a sua volta proprietario del Gruppo Gedi e, dunque, di Repubblica.

 

“Il peso dell’Italia sul fronte dell’auto, nel quadro della Commissione Europea, diventa sempre più fragile e sembra favorire Francia e Germania”, si legge nell’articolo pubblicato sulla testata di via Solferino. “Paesi che hanno uno spazio fiscale per gli aiuti di Stato per i settori che sostengono la transizione ecologica (batterie, idrogeno, carbonio, energie rinnovabili, e-fuel), creando una frattura proprio con l’Italia che ha maggiori vincoli di spesa nel costruire il suo passaggio green”.

E poi viene dato ampio spazio all’ultimo studio di Fiom Cgil che a fine marzo ha certificato che l’industria italiana del settore auto è passata «dal produrre circa 1.500.000 veicoli alla fine degli anni 90 a 473 mila del 2022» (oltre 250 mila sono Ducato). L’Italia è ad un bivio, pur essendoci ancora una rete di imprese che hanno la capacità di lavorare con competenza e qualità, e malgrado «il processo di desertificazione industriale in atto non c’è alcun aggancio con la realtà in termine di politiche pubbliche».

Già lo scorso anno il Centro Studi Promotor aveva dato ampio risalto all’arresto sempre più evidente dell’automotive tricolore: nel 1989 in Italia furono prodotte1.971.969 autovetture contro le 442.432 del 2021, con una tendenza al calo che è proseguita negli ultimi anni: 542.007 (-19,5%) nel 2019, 451.718 (-16,7%) nel 2020, fino al -2,1% del 2021.

Calava di conseguenza anche, nel nostro Paese, il fatturato della componentistica automotive: nel 2016 si attestava a 57,2 miliardi, mentre nel 2020, complice anche l’impatto della pandemia, è stato pari a 44,8 miliardi. Quanto alla spesa per manutenzione e riparazione, dopo la forte battuta d’arresto del 2020 (-18.9%), nel 2021 è tornata a crescere, facendo segnare un +5,8% per un giro d’affari di 28,7 miliardi, ancora lontano dai livelli del 2019 (33,4 miliardi). Segno meno anche per le immatricolazioni che, dopo il +5,5% del 2021, tra gennaio e giugno 2022 hanno fatto segnare un -22,7%, la Francia invece fa registrare un -16,3%, la Germania -11%, il Regno Unito -11,9%.

L’analisi di Promotor sottolineava anche l’eccessiva anzianità del parco circolante italiano, che nel 2020 era di 11 anni e 8 mesi, contro 10 anni e 3 mesi della Francia, 9 anni e 8 mesi della Germania, 9 anni e 4 mesi del Regno Unito. In Italia, evidenzia il centro studi, le autovetture non solo sono vecchie, ma anche tante, con un tasso di 67 auto circolanti per 100 abitanti, a fronte della Germania che ne ha 58, la Francia 57, il Regno Unito 54.

SULLA PRODUZIONE DI AUTO L’ITALIA INSEGUE L’UE

Anche un recente report di Acea, l’associazione dei costruttori del Vecchio continente, è piuttosto fosco: sebbene nel nostro Paese, infatti, nel 2022 siano state prodotte 476 mila unità con un miglioramento del +6,5% rispetto ai dati dell’anno precedente, nel resto dell’Ue sono state prodotte 10,7 milioni di unità nel corso del 2022 con una crescita del +7,1%. Il dato italiano è, quindi, inferiore a quello della media comunitaria. E di parecchio rispetto ai singoli Paesi.

– Germania con 3,3 milioni di unità e una crescita del +13,2%

– Spagna con 1,7 milioni di unità e una crescita del +6,5%

– Repubblica Ceca con 1,19 milioni di unità e una crescita del +8,7%

– Slovacchia con 964 mila unità e un calo del -1,3%

– Francia con 940 mila unità e una crescita del +10,3%

– Romania con 507 mila unità e una crescita del +20,6%

– Italia con 476 mila unità e una crescita del +6,5%

– Ungheria con 441 mila unità e una crescita del +6%

– Svezia con 257 mila unità e una crescita del +1,6%

– Belgio con 235 mila unità e una crescita del +6%

LE CRITICHE DEL CORRIERE A STELLANTIS

Ma, come abbiamo visto, il report Fiom presenta una fotografia sostanzialmente analoga. “Uno degli snodi del rischio di decadimento della nostra manifattura – si legge sul Corriere – potrebbe risalire all’ottobre del 2019 con la fusione tra Fca e Psa da cui è nata Stellantis, che proprio nei giorni scorsi ha annunciato un utile record di 16,8 miliardi. La decisione di confermare la sede legale in Olanda può essere considerato un segnale della distanza. Mentre la fusione ha spostato molto l’asse della gestione verso Parigi. Le leve del ceo Carlos Tavares, considerato uno dei manager dell’auto più competenti, ma anche più duri, stanno mostrando un gruppo che vede una forte centralizzazione. Dove il ruolo dell’Italia assomiglia sempre di più a quello della Germania nei confronti del marchio Opel, ceduto a Stellantis.”

“Un altro passo – rimprovera sempre il quotidiano meneghino – è stata la cessione di Magneti Marelli, passata ai giapponesi della Calsonic Kansei. Un gioiello della componentistica, determinante nella futura visione della mobilità indirizzata all’elettrico, a cui si aggiunge la digitalizzazione, la guida autonoma, l’intelligenza artificiale, un patrimonio tecnologico che era da sempre strettamente collegato al Centro Ricerche Fiat (un esempio per tutti fu lo sviluppo del common rail che modulava l’iniezione di gasolio nel motore, venduto nel 1994 alla Bosch), società per cui oggi non vi è certezza che avrà un ruolo nelle strategie future del gruppo”.

Quindi viene elencata la situazione in cui versano gli stabilimenti lungo tutto lo stivale. Situazione che ovviamente stride coi numeri record fatti da Stellantis negli scorsi 12 mesi e con quelli, probabilmente ancora più clamorosi, del maxi stipendione di Tavares: Mirafiori, a questo punto completamente spacchettata, dal primo gennaio ad oggi ha già effettuato 32 turni di cassa integrazione, che hanno coinvolto circa 1.800 operai; Cassino ridotta a 5 mila unità al mese: sono già stati effettuati 33 giorni di chiusura, con 3 mila operai in carico ( minimo storico) a causa delle vendite (le immatricolazioni di Fca e di Psa prima della fusione, sottolineano dal Corriere, erano superiori a quelle dell’attuale Stellantis).

“A Pomigliano d’Arco – annotano da via Solferino – si viaggia a una media di 15mila veicoli mensili — Alfa Romeo Tonale, Dodge Hornet, Fiat Panda — con cassa integrazione di 20 giorni dall’inizio dell’anno. Anche Melfi cammina a ritmo ridotto, le linee sono ferme per oltre 6 mila dipendenti, sino all’agosto 2023, per i quali è scattata la cassa integrazione. La produzione della Fiat 500X è destinata a finire e non si conoscono ancora quali modelli potrebbero sostituirla. Un panorama che vede, con le stime più prudenti, il rischio di perdere 9 mila posti di lavoro”.

GLI ALLARMI (MAI ASCOLTATI) DEI SINDACATI

Un allarme che finora è stato lanciato a più riprese dai sindacati, cadendo però puntualmente nel vuoto, nel disinteresse della politica e dei media. Michele De Palma, Segretario generale Fiom, inaugurando la due giorni di riunione straordinaria allargata del Comitato Automotive di IndustriAll Europe dello scorso novembre, aveva sottolineato:  “L’Italia oggi è il Paese che paga più di altri la transizione perché in questi anni non ci sono state politiche industriali, è ora di cambiare. Servono investimenti in ricerca e sviluppo, nuove tecnologie, software e infrastrutture, per una transizione giusta, socialmente e ambientalmente sostenibile. Il cambiamento tecnologico deve essere l’opportunità per rilanciare il settore nel nostro Paese, farlo tornare protagonista in Europa e rendere le produzioni sostenibili con nuovi modelli e attraverso nuovi produttori.”

Nella medesima sede Luc Triangle, Segretario generale IndustriAll Europe, aveva allargato lo zoom parlando dell’intero Vecchio continente, sempre più vecchio specie a livello industriale: “L’industria automobilistica sta attraversando una trasformazione senza precedenti. La perdita di posti di lavoro su larga scala, l’aumento della pressione sui lavoratori rimasti e i danni sociali saranno inevitabili se l’elettrificazione e l’automazione del settore continueranno a essere lasciate alle sole forze del mercato”.

“Abbiamo bisogno – aveva aggiunto – di una strategia industriale europea per mantenere e creare buoni posti di lavoro, decarbonizzando al contempo il settore. Abbiamo bisogno di investimenti per trasformare gli impianti esistenti e sviluppare le catene di fornitura necessarie per produrre i veicoli di cui abbiamo bisogno in Europa e nel mondo per affrontare l’urgenza climatica. Per garantire una transizione equa e mantenere i lavoratori a bordo in questa rivoluzione industriale, dobbiamo avere strategie negoziate che anticipino meglio i cambiamenti in corso. Attualmente la politica dell’UE è troppo debole su questi aspetti cruciali per garantire che il Green Deal sia socialmente giusto! Senza giustizia sociale, c’è il rischio che fallisca per noi e per il pianeta. È necessario agire subito con urgenza. I politici dell’UE hanno concordato il principio, ma ora abbiamo bisogno di vedere proposte concrete”. Chissà se dopo questa strigliata del Corriere alla governance di Stellantis accadrà invece qualcosa, almeno a livello politico.

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