Molti analisti sostenevano che la vicinanza di Elon Musk a Donald Trump avrebbe permesso all’uomo più ricco del mondo di ottenere una legislazione di favore sul tema della guida autonoma, oggi vincolata non solo dalle singole norme dei 50 Stati, ma anche a livello federale. Ed era uno dei motivi per i quali le azioni Tesla si sono impennate lo scorso autunno, con la vittoria del tycoon repubblicano. Per il momento, però, la Casa dell’auto elettrica per antonomasia – che nell’Autopilot ha già investito miliardi ed è in procinto di far debuttare i suoi robotaxi Cybercab – sembra essere in grande difficoltà a causa proprio delle mosse di Trump.
TRUMP MANDA A SBATTERE I CYBERCAB?
Secondo quanto anticipato in via esclusiva da Reuters, la recente guerra dei dazi scatenata nel giardino delle rose della Casa Bianca dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, culminata in un botta e risposta con Pechino che ha visto Washington alzare le barriere doganali al 145% sulle importazioni cinesi, avrebbe tagliato le gomme ai piani industriali di Tesla per la realizzazione sia del Cybercab sia del primo camion elettrico Semi.
Motivo per il quale Musk, che ha peraltro a Shanghai la sua principale gigafactory Tesla, si sarebbe speso personalmente nel tentativo di far tornare Trump sui propri passi e avrebbe ingaggiato una querelle su X con uno degli strateghi in tema economico-commerciale del presidente americano.
Tesla has the most American-made cars. Navarro is dumber than a sack of bricks. @IfindRetards @RealPNavarro https://t.co/gECgtZt5Sc
— Elon Musk (@elonmusk) April 8, 2025
IL PRECEDENTE “MESSICANO”
Tesla ha reagito, al pari di tante altre Case automobilistiche coinvolte, tirando il freno a mano: bloccate tutte le forniture di componenti in arrivo dalla Cina. Non è la prima volta che The Donald irrompe con prepotenza nei piani automobilistici di Austin: lo scorso anno sembrava dovesse infine partire la realizzazione della tribolata gigafactory messicana destinata a servire il mercato Usa e quello canadese, ma poi le continue minacce di Trump indirizzate ai confinanti degli Usa hanno spinto Musk a rinunciare a quello che sarebbe dovuto diventare il fiore all’occhiello della propria produzione di auto elettriche per il Nuovo mondo.
In quel caso, però, il progetto era morto sul nascere e i danni erano stati tutto sommato limitati. Ora invece la virata emergenziale starebbe avendo ben altre conseguenze dato che, in attesa di capire come si metteranno le cose, c’è un’intera filiera da ridisegnare. Sempre ammesso che sia possibile: Apple, altro colosso statunitense travolto dai dazi perché ha affari rilevanti in Cina, ha già fatto capire che non è pensabile di trasferire negli States la propria produzione.
LE RIPERCUSSIONI AMERICANE
Lo stop forzato, in modo non dissimile a quanto già avvenuto in casa Stellantis, si sta riverberando anche sulla attività statunitense: non sarà infatti avviata la produzione che avrebbe coinvolto le gigafactory di Austin, in Texas e di Reno, nel Nevada, di modelli di pre-serie a ottobre e quella di serie nel 2026.
GLI SFORZI PER ACCONTENTARE BIDEN NON SONO BASTATI
Tesla per mettersi in regola con l’impianto legislativo “Ira” voluto dal precedente inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, anch’esso di stampo protezionistico aveva corso nell’ultimo biennio per aumentare i componenti di origine nordamericana. Ma non era riuscita a trasportare l’intera filiera di valore negli States. Ed è in buona compagnia, perché i medesimi problemi caratterizzano la fornitura di altre aziende in ogni campo, dalla farmaceutica al tech fino appunto all’automotive.