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Vikrant

Fincantieri, qual è il contributo italiano alla portaerei indiana Vikrant

La prima portaerei costruita in India, Vikrant, è entrata in servizio. Il ruolo di Fincantieri. L'approfondimento di Giovanni Martinelli

 

2 settembre 2022, una data che sarà ricordata a lungo nella Marina Indiana. Prima di tutto perché segna l’ingresso in servizio della prima portaerei costruita proprio in India. E in secondo luogo, perché con l’occasione è stata anche presentata la nuova bandiera della Marina di New Delhi; un atto all’apparenza poco rilevante ma che in realtà ha un forte valore simbolico perché con questo nuovo vessillo sparisce anche l’ultima traccia del passato coloniale.

Sennonché, è evidente che il tema centrale della giornata è stato comunque l’arrivo tra le fila della Marina Indiana stessa di questa nuova importante piattaforma, la IAC-1 (Indigenous Aircraft Carrier) Vikrant. Il cui primo e più importante tratto caratteristico è rappresentato (come dice l’acronimo e come appena anticipato) dal fatto che questa complessa unità è stata realizzata interamente in India. Uno sforzo sicuramente significativo, che consente a New Delhi di entrare a far parte di un “club  esclusivo”; quello per l’appunto in grado di realizzare in autonomia simili piattaforme.

Al di là dei toni anche comprensibilmente trionfalistici, la realtà è però leggermente diversa. In primo luogo perché la realizzazione della Vikrant ha finito con il richiedere davvero tanto tempo; anzi, tantissimo. Le prime lavorazioni presso i cantieri Cochin Shipyard sono infatti iniziate nel 2005; una volta assemblati un sufficiente numero di moduli, l’unità è stata ufficialmente impostata nel 2009; altri 4 anni e nel 2013 si assiste al varo che però sarà solo tecnico, nel senso che successivamente la nave dovrà tornare di nuovo in bacino. Seguiranno un lungo periodo di prove e, per l’appunto, la consegna alla Marina Indiana.

Sennonché, la strada per la piena operatività è ancora lontana; intanto non vi nemmeno chiarezza se tutti sensori e i sistemi d’arma siano stati installati ma, sopratutto, la Vikrant dovrà affrontare una lunga campagna di prove per qualificare i velivoli imbarcati destinati a operare su di essa. Passaggio che richiederà ancora qualche tempo; come minimo, tutto il 2023. Alla fine, analisti indicano che il ritardo rispetto ai piani iniziali sarà di 6 anni e i costi saranno cresciuti di almeno 6 volte rispetto alle prime stime, fino a circa 3 miliardi di dollari.

Ma accanto alle difficoltà evidentemente incontrate nella costruzione, occorre aggiungere un altro elemento. A dispetto della definizione “indigenous”, il contenuto non Indiano è particolarmente significativo. L’Italiana Fincantieri ha infatti collaborato alla progettazione della nave, basandosi sulla esperienza della portaerei Cavour, buona parte dell’impianto propulsivo è di origine Americana, molte attrezzature aeronautiche sono Russe, sensori e sistemi d’arma sono principalmente di origine Israeliana (ma non solo).

A dimostrazione del fatto che la politica del “make in India”, la capacità cioè di realizzare localmente tutto ciò che serve alla Difesa del Paese, è ancora lungi dall’aver ottenuto risultati davvero significativi; tanta è ancora la dipendenza da fornitori esteri (Russia in primo luogo ma, ultimamente, sempre più anche dagli USA e da altri Paesi Occidentali).

Esaurita questa parte introduttiva, è tempo di passare alle caratteristiche e alle capacità di questa portaerei. il primo dato da evidenziare è che essa si presenta in configurazione STOBAR (Short Take-Off But Arrested Recovery); una formula per così dire “ibrida” tra quelle in uso oggi e che, pur presentando qualche limite, rimane l’unica percorribile a oggi dall’India.

Da un punto di vista delle dimensioni, la Vikrant presenta una lunghezza di 262 metri, una larghezza massima (al ponte di volo) di 62 e un dislocamento a pieno carico di almeno 43.000 tonnellate. l’impianto propulsivo è incentrato su 4 turbine a gas General Electric LM2500+ da 22 Megawatt ciascuna, capaci di imprimere alla nave una velocità (massima) di circa 30 nodi; l’autotomia massima è stimata in circa 7.500 miglia (a 18 nodi). La consistenza dell’equipaggio è infine fissata poco più di 1.600 uomini.

La difesa dell’unità sarà affidata a 32 VLS (Vertical Launch System) che ospiteranno altrettanti missili Barak 8 MR-SAM e da 4 (forse) cannoni a canne rotanti da 30 mm AK-630. I sensori principali saranno un radar multifunzione EL/M-2248 MF-STAR e uno per la sorveglianza aerea RAN-40L. Anche in questo caso dunque, un singolare mix di sistemi Israeliani, Russi e Italiani…

Per quanto riguarda poi l’aspetto centrale della Vikrant, e cioè il suo reparto di volo, attualmente si stima che possa essere composto da 30 velivoli, tra aerei da combattimento ed elicotteri. In particolare, i primi saranno i Mig-29K acquistati dalla Russia contestualmente all’acquisizione dell’altra portaerei attualmente in servizio nella Marina Indiana, la Vikramaditya (ex-portaeromobili della classe Kiev di epoca Sovietica).

Anche in questo caso, una scelta non felice perché i Mig-29K si sono rivelati velivoli poco efficienti, costringendo la Marina Indiana stessa a varare un programma noto come Multirole Carrier Borne Fighters (MRCBF), con il quale si dovranno acquistare dei nuovi velivoli che si affiancheranno a quelli già in uso; e che secondo un sito specializzato Indiano, molto probabilmente, saranno gli F/A-18 E/F Super Hornet Americani. Il tutto in attesa che l’India sia in grado di realizzare localmente un nuovo aereo nell’ambito di un altro programma ancora: il Twin Engine Deck Based Fighter (TEDBF).

Non occorre dunque essere particolarmente esperti per comprendere come, anche da questo punto di vista, le scelte da parte di Nuova Delhi finiscano con il risultare caotiche; alimentando una spirale di aumento dei costi e di inefficienza complessiva della Marina, così come di tutte le Forze Armate Indiane in generale.

Una confusione che peraltro già si manifesta sui piani per il futuro; la Marina di Nuova Delhi già da tempo chiede infatti di ottenere i fondi per costruire una seconda IAC; con obiettivi ancora più ambiziosi perché si punta a una piattaforma da 65.000 tonnellate di dislocamento, probabilmente con una configurazione diversa (ovvero, più capace) e un reparto di volo fino a 50/55 velivoli.

Risorse insufficienti, da condividere peraltro con altri programmi ugualmente prioritari, e la sfida tecnologico-industriale che appare al limite delle possibilità Indiane stanno però ostacolando il via libera definitivo al progetto. Certo, anche comprensibilmente.

Sennonché, di questo passo lo strumento navale di Nuova Delhi corre il serio di rischio di rimanere sempre più indietro (anche per le difficoltà che si riscontrano in altri settori) rispetto a quello del “grande rivale” e cioè la Cina; che, al contrario, continua la sua marcia verso l’allestimento della Marina Militare più potente anche dell’intero Pianeta.

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