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Bosch Agcm

Ecco le ultime cineserie della tedesca Bosch

Mentre marchi cinesi come BYD, Great Wall, Geely, Nio e Xpeng si preparano ad arrivare in Europa, la Germania continua a fare affari con la Cina: là Bosch, che ha già 55mila dipendenti, investirà un miliardo...

Nonostante la guerra in Ucraina sia tornata a dividere il mondo in blocchi contrapposti e la baldanza di Pechino nel campo delle auto elettriche terrorizzi i marchi occidentali, le aziende tedesche continuano a puntare sulla Cina, soprattutto nel settore automotive. Non deve perciò stupire la notizia che il primo fornitore mondiale di componenti auto, Robert Bosch, abbia intenzione di investire nel Paese asiatico 1 miliardo di euro.

I PIANI CINESI DI BOSCH

Bosch punta a realizzare uno stabilimento hi-tech nella città di Suzhou (provincia di Jiangsu), a 70 km da Shanghai, dove svilupperà, sottoporrà a test e produrrà componenti per i veicoli elettrici e la guida automatizzata.

Non si tratta di una novità, si diceva, né per le aziende tedesche, che da decenni fanno affari e tessono jv in Cina (Repubblica il 30 aprile 2012 titolava: “Germania, la Cina diventa l’ultimo land” – con catenaccio: Con dinamismo ma soprattutto con l’appoggio determinante del Governo Merkel, i grandi gruppi tedeschi hanno sbaragliato tutti i concorrenti e si sono piazzati in prima fila nei programmi di sviluppo del Paese), né per la stessa Bosch, che nel Paese ha difatti diversi siti produttivi e qualcosa come 55mila dipendenti.

SI PRODUCE IN CINA PER LA CINA

La vera novità, semmai, sta nel fatto che l’azienda intende sviluppare componenti principalmente per le case cinesi, come ha spiegato la stessa Bosch. Si tratta di un capovolgimento del paradigma: finora di fatto i marchi occidentali delocalizzavano in Cina per il basso costo della manodopera e la totale assenza di diritti dei lavoratori, ma poi ciò che producevano nel Paese veniva esportato in Occidente; adesso invece si produce in Cina (sempre per gli stessi motivi) ma per la Cina.

L’AMICIZIA TRA CINA E GERMANIA NON È MESSA IN DISCUSSIONE

Una settimana fa, al Ces di Las Vegas, il numero 1 di Stellantis, Carlos Tavares ha ricordato che con le auto elettriche cinesi l’Europa intraprenderà «una lotta terribile» per la sopravvivenza dei propri marchi. Non la pensa così però Berlino. Il viaggio a Pechino del cancelliere Olaf Scholz a novembre con 12 maxi industriali tedeschi è servito per ribadire che la Germania continua a guardare con interesse alla Cina e che la guerra in Ucraina o gli irrigidimenti di alcuni Paesi europei nei confronti del mercato cinese non stanno affatto sovvertendo gli antichi equilibri.

Nel corso degli ultimi 10 anni, dati Eurostat alla mano, la Germania ha incrementato i propri scambi con la Cina del 52,9% raggiungendo una quota pari al 5,3% del proprio Pil. Non è il solo Paese del Vecchio continente a fare grossi affari con i cinesi, se si considera che, nel medesimo lasso di tempo, l’Olanda li ha incrementati del 94,2% raggiungendo nel 2020 una quota del 13,4% del Pil. Ma la Germania è la prima economia europea e la sua presenza in Cina inizia a essere mal tollerata nelle altre cancellerie, soprattutto in quanto Berlino, per non perdere il proprio rapporto privilegiato con Pechino, puntualmente si mette di traverso rispetto a ogni ipotesi di blindare il mercato europeo alla Cina, discussione che s’è fatta più impellente ora che Bruxelles deve decidere come rispondere all’IRA di Biden (le misure protezionistiche colpirebbero gli USA ma pure la Cina)

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