La scelta di Stellantis di tirare dritto coi propri piani messicani, nonostante le avvisaglie trumpiane, lo scorso agosto, procedendo comunque con l’avvio della produzione di auto elettriche nel Paese confinante con gli Usa, aveva lasciato interdetto più di un osservatore. Tanto più che i proclami di The Donald erano invece stati presi molto sul serio da Elon Musk, che aveva subito fermato i lavori per la sua principale gigafactory destinata a servire i mercati americani e canadese: “Penso che dobbiamo vedere cosa succede con le elezioni – aveva dichiarato l’imprenditore sul far dell’estate – Trump ha detto che metterà dazi sui veicoli prodotti in Messico, quindi non ha senso investire molto in quel Paese ora se questo accadrà davvero”, il laconico commento rilasciato ad analisti e giornalisti.
LE TRIBOLAZIONI USA DI STELLANTIS
Il tema era, come evidenziato da Start Magazine in un articolo dell’epoca, che gli affari americani del Gruppo andavano così male che quell’investimento sarebbe comunque restato sul gozzo del nuovo presidente degli Stati Uniti, chiunque fosse stato, dato che, contestualizzando, in America ancora si dibatteva sui 2500 operai che stavano per essere lasciati a casa da Stellantis a Warren Truck, fuori Detroit, dove il colosso italo-francese stava terminando la produzione del Ram 1500 Classic.
Molti infatti chiedevano polemicamente perché non produrre là la Jeep Wagoneer S, così da assicurare continuità a un impianto americano in dismissione. E così peraltro è accaduto: dopo poche settimane la dirigenza ha capitolato investendo 100 milioni pure a Detroit per assicurare, con la Wagoneer Ev, la sopravvivenza del sito. Insomma, già all’epoca il Risiko oltreoceano non stava favorendo i risparmi in casa Stellantis e la dirigenza non sembrava affatto a proprio agio nel gestire una situazione politica sempre più complessa. E non erano stati ancora sfoderati i dazi di Trump.
I DAZI SFARINANO I PIANI MESSICANI DI STELLANTIS…
Il resto, infatti, è storia: quanto appena descritto accadeva in piena estate. Poi è arrivato l’autunno con le presidenziali: Trump è tornato alla Casa Bianca e nel giro di poche settimane ha trasformato in ordini immediatamente esecutivi quei dazi minacciati a più riprese. Dazi che travolgono, come prevedibile, i piani messicani di Stellantis.
È così venuto il momento di tirare quel freno di emergenza già sfruttato da Musk e che il Gruppo italo-francese aveva confidato di non dover utilizzare: fermati per un mese, a partire dalla prossima settimana, tutti i lavori nella fabbrica di Toluca, dedicata alla produzione di Jeep Compass e Wagoneer S che attualmente dà lavoro a 2.676 dispiegate su due turni. Nel frattempo bisognerà vedere che cosa accadrà a livello internazionale e riorganizzare la filiera. Tutto sembra procedere, almeno per il momento, a Saltillo, in cui le attività di assemblaggio dei pick-up Ram proseguiranno senza interruzioni.
…E PURE QUELLI CANADESI
I blocchi emergenziali riguardano anche il Canada, altro vicino di casa degli States ferocemente impallinato da Trump: chiude per due settimane, a partire da lunedì prossimo, l’impianto canadese di Windsor, dove si producono la Chrysler Pacifica e, da fine 2024, la nuova Dodge Charger Daytona. Anche in quell’hub solo nel 2022 il Gruppo aveva investito una cifra di tutto rispetto, pari a 2,8 miliardi di dollari, per prepararlo alla sfida della transizione ecologica.
La stampa americana sottolinea che se la nota del Gruppo non menziona anche l’hub di Brampton è solo perché quella fabbrica risulta già chiusa da tempo per lavori di ammodernamento: un altro investimento intempestivo che rischia di essere pure infruttuoso, considerata la nuova geografia commerciale tracciata a colpi di pennarellone dall’inquilino della Casa Bianca.
L’IMPATTO DELLA FRENATA AVVERTITO ANCHE NEGLI USA
Ma forse nemmeno Trump aveva immaginato che in un mondo sempre più interconnesso andare a toccare quel delicato sciangai di affari intercontinentali avrebbe avuto una ripercussione immediata e diretta pure sugli impianti statunitensi. Invece, avendo dovuto interrompere i lavori, dall’oggi al domani, in diversi impianti oltre frontiera Stellantis s’è anche vista costretta, sempre nelle ultime ore, a lasciare a casa – almeno per il momento – 900 lavoratori suddivisi in cinque fabbriche tra il già citato hub di Warren che proprio non trova pace, Sterling Heights nel Michigan e tre impianti a Kokomo, nell’Indiana. Una beffa dato che molte tute blu avevano votato proprio per The Donald, essendo rimaste altamente insoddisfatte delle politiche occupazionali e industriali messe in campo da Joe Biden.
AVVERTIMENTI CADUTI NEL VUOTO
In realtà Donald Trump sapeva benissimo tutto ciò dato che nelle ultime settimane la stampa statunitense ha riportato che i più grandi gruppi dell’auto a stelle e strisce hanno ripetutamente esercitato pressioni sulla Casa Bianca affinché non andasse fino in fondo con la guerra commerciale. Anche perché gli industriali non temono tanto le conseguenze immediate, quanto quelle a medio e lungo termine e all’amministrazione Trump avrebbero infatti paventato ben altri scenari, assai più catastrofici. Si sarebbero però sentiti rispondere – raccontano sempre i media statunitensi – di non perdere tempo in lagne e di correre invece a ridisegnare la propria filiera sul suolo statunitense, assecondando i diktat trumpiani.
LA LETTERA AI DIPENDENTI
Nel frattempo, Antonio Filosa, responsabile della regione nordamericana di Stellantis, ha cercato di rassicurare i dipendenti lasciati improvvisamente a casa con una mail pubblicata anche da diversi organi di stampa di Detroit: “Con le nuove tariffe del settore automobilistico ora in vigore – si legge nella lettera interna – ci vorrà la nostra resilienza e disciplina collettiva per superare questo momento difficile, ma ci adatteremo rapidamente a questi cambiamenti politici e proteggeremo la nostra azienda”. Chissà invece cosa scriverà l’azienda ai propri dipendenti in Canada e in Messico.