“Tu quoque?” La domanda che il Vecchio continente idealmente rivolgerebbe a Elon Musk è con ogni probabilità questa, di fronte alla notizia che anche Tesla intende adire le vie legali contro i dazi imposti a partire dallo scorso ottobre dall’Unione europea sulle auto elettriche provenienti dalla Cina.
I DAZI DI FAVORE A TESLA
Ma perché gli alti boiardi di stato dovrebbero trasecolare di fronte alla decisione di Musk di schierare, alle dogane europee, il proprio pool di avvocati? Perché non era sfuggito – Start Magazine trattò ampiamente l’argomento qui – che i numerosi ritocchi alle tabelle inizialmente proposte dai tecnici avevano avuto come principale conseguenza quella di avvantaggiare l’americana Tesla rispetto alle concorrenti cinesi.
E c’è di più, perché l’ultima riformulazione è stata tale da concedere un regime di favore persino più vantaggioso rispetto a quello concesso a marchi europei che producono in Cina. Dettaglia infatti Quattroruote: “Attualmente, l’azienda guidata da Elon Musk esporta in Europa le Model 3 prodotte a Shanghai, pagando un dazio aggiuntivo di appena il 7,8%, tasso di molto inferiore al 20,7% gravante sulle Bmw”.
QUANTO PAGANO LE CINESI CHE HANNO FATTO CAUSA ALLA UE
Come si ricordava qui, le vetture marchiate Saic con la novella autunnale alla dogana comunitaria pagheranno i rialzi maggiori, dovendo aggiungere dazi del 35,3% alla tariffa base preesistente del 10%, mentre Byd deve supportare un incremento delle tariffe del 17 per cento e Geely del 18,8%.
ELON E’ INSOFFERENTE AI DAZI (MA TRUMP LO SA?)
L’altro aspetto che naturalmente sorprende di questa vicenda è che, come già ricordato, il patron di Tesla è Elon Musk, lo stesso Musk che oggi siete nel team presidenziale di Donald Trump. E the Donald sta costruendo la propria economia a matrice protezionistica minacciando dazi a Oriente come pure Occidente, soprattutto nel campo automobilistico.
NELL’AGONE ANCHE BMW
Pure la tedesca Bmw, che in Cina produce modelli di punta del brand e le elettriche Mini Cooper e Mini Aceman, non ci sta a pagare il 20,7% in più e si è unita alla cordata di marchi cinesi decisi a far valere le proprie istanze presso il Tribunale della Corte di Giustizia del Lussemburgo, competente a esprimersi sulla materia dei contenziosi doganali. Considerato che Saic Motors è proprietaria della britannica Mg Motor, sono dunque ben tre i marchi occidentali che si sono rivoltati contro le politiche protezionistiche dell’Unione europea.