Quasi un anno fa, al termine dell’indagine anti duping dell’Unione europea il colosso cinese Byd si è visto imporre alle dogane del Vecchio continente nuovi dazi del 17% che, sommandosi a quello preesistente al 10%, ha portato il produttore di automobili di Shenzhen a dover fare i conti con balzelli che sfiorano il trenta per cento. Troppo, per continuare a essere competitivo. Ma a quanto pare Byd sembra aver trovato un modo per non pagare dazi a Bruxelles. E no, non è quello sperato dalla Commissione europea.
IL PIANO ANTI DAZI DI BYD PASSA DALLA THAILANDIA
La scappatoia pare passare per a Rayong, in Thailandia, che i più conoscono per le sue stupende spiagge. Là esattamente un anno fa, nel luglio del 2024, il costruttore asiatico in soli 16 mesi ha completato il suo nuovo stabilimento (comprende processi di stampaggio, verniciatura, saldatura, assemblaggio finale e produzione di componenti per auto) dalla capacità produttiva annua di 150.000 veicoli.
Non è il primo che Byd ha realizzato fuori dai confini cinesi, vantandone già altri completati o in via di realizzazione in Brasile, Ungheria e Uzbekistan, ma è quello che si configura come testa di ponte per la realizzazione di vetture ‘made in China’ assemblate in loco che possono poi essere spedite in Europa senza dover pagare dazi aggiuntivi. E poco importa se anche su quelle unità permanga il ‘peccato originale’ dell’aiuto di Stato che aveva spinto Bruxelles a intervenire provando a riequilibrare il gioco della concorrenza a suon di dazi.
CHANGAN SEGUE A RUOTA
Proprio in questi giorni la stampa cinese sta esaltando la spedizione delle prime 900 Dolphin già salpate verso il Vecchio Continente a bordo della nave cargo Zhengzhou. Vetture che sempre la stampa cinese ha cura di etichettare come “thailandesi” benché continuino a essere di un costruttore di Shenzhen che in patria è stato ampiamente foraggiato di aiuti di Stato qui considerati illegali. Anche un altro marchio cinese, Changan, ha già acquistato terreni per creare una fabbrica a Bangkok che con ogni probabilità utilizzerà per rifornire il mercato europeo.
TUTTE LE CREPE NEL MURO COMMERCIALE EUROPEO
Una duplice sconfitta per l’Europa, che imponendo dazi alle Case cinesi sperava da un lato di creare maggiore equilibrio con i listini dei costruttori autoctoni e dall’altro confidava di spingere le Big asiatiche a investire almeno nei Ventisette portando occupazione e ribilanciando la desertificazione industriale dovuta alla forte crisi in cui versano i campioni locali.
Diversi marchi a onor del vero hanno già investito per la realizzazione di hub locali nei Paesi della Ue ma solo – su precisa indicazione di Pechino – in quelli che a livello politico si sono espressi contro i dazi (l’Italia, per completezza, votò a favore ed è stata perciò esclusa).
La stessa Byd sta puntando tutto sull’Ungheria di Victor Orban (contrarissimo alle politiche della Commissione europea dati i molteplici affari che legano il Paese magiaro al Dragone) ma altrettante Case hanno preferito insediarsi in Paesi terzi, subito fuori dall’Europa, come per esempio la Turchia, ed evitare comunque i dazi europei. Il muro eretto da Bruxelles sta insomma già mostrando le prime, evidentissime, crepe. E i cinesi del resto in fatto di muri e muraglie sono maestri: li sanno erigere e a quanto pare pure oltrepassare.