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Coronavirus, perché gli aerei volano anche se sono vuoti? L’articolo di Rapetto

30 miliardi di dollari fino a due settimane fa, 113 miliardi l’altroieri. E’ la stima delle perdite che il settore aereo è destinato a subire per colpa del Coronavirus. Ma perché gli aerei volano anche se sono vuoti? Lo spiega Umberto Rapetto

30 miliardi di dollari fino a due settimane fa, 113 miliardi l’altroieri. E’ la stima – in costante crescita – delle perdite che il settore aereo è destinato a subire per colpa del Coronavirus.

Non è un dato buttato lì, come tanti se ne sentono specie dall’impreparata classe politica che non solo dalle nostre parti è chiamata a gestire situazioni difficilissime anche per gente brava e capace. Le sconfortanti cifre arrivano dall’International Air Transport Association, o IATA che dir si voglia, ovvero l’organizzazione mondiale che raccoglie e coordina le compagnie aeree.

Se qualcuno prova a calare questo spaventoso trend del mercato nel nostro minuscolo ambito nazionale, non fatica ad immaginare quali ripercussioni possono abbattersi al capezzale della agonizzante Alitalia, per la cui vendita è stato pubblicato in questi giorni il relativo bando.

Se questi indicatori della impressionante situazione economica del comparto lasciano sconcertati, non può certo passare inosservata la sterminata quantità di carburante che viene inutilmente bruciata dalle compagnie per mantenere in volo flotte di aeroplani vuoti per il terrore dei passeggeri di una cancellazione della partenza o di un mancato sbarco a destinazione per ragioni sanitarie.

Chi è già al collasso finanziario interrompe i collegamenti senza aver paura di conseguenze, ma chi ha ancora risorse non può permettersi il lusso di lasciare a terra gli aeromobili.

Qual è il perché dei tanti voli fantasma che decollano e atterrano senza trasportare nessuno o quasi?

La circostanza non è una dimostrazione di potenza o di superiorità. I vettori aerei non somigliano alle tribù di indiani d’America che invitavano comunità viciniori a pranzare insieme per dar sfoggio di opulenza e sciupare platealmente cibo prezioso pur di sottolineare una presunta superiorità e un benessere in realtà inesistenti. La scelta di mandare in fumo galloni e galloni di benzina non è affatto spontanea.

Le regole comunitarie, infatti, stabiliscono che gli operatori possono perdere i loro “slot” (ovvero quelle finestre di tempo in cui un loro aeromobile è autorizzato a decollare) e quindi le possibilità di esercitare la propria attività.

Siccome, nel caso lo “slot” non venga utilizzato da chi ne ha la concessione, le Autorità possono procedere alla sua assegnazione ad altro soggetto che ne abbia fatto o ne faccia richiesta, è facilmente comprensibile il comportamento delle linee aeree. Per evitare una invalidante mutilazione della propria capacità operativa e della corrispondente quotazione dell’azienda sul mercato, si sceglie il male minore preferendo il risvolto acuto della perdita immediata a quello cronico di una svalutazione permanente della società.

Il ministro dei trasporti britannico Grant Shapps la settimana scorsa ha scritto alla Airport Coordination Limited (o ACL, l’organizzazione d’oltremanica che coordina 39 aeroporti nel Regno Unito) chiedendo la sospensione di determinate regole per la durata dell’emergenza Coronavirus. Shapps – anche alla luce del blocco o della disincentivazione di numerose rotte “a rischio” – ha voluto rappresentare l’attuale impossibilità di rispettare quell’80 per cento dei voli ritenuto indispensabile per il mantenimento di uno slot.

Nel frattempo, mentre grandi aerei con a bordo il solo equipaggio e pochi (o zero) coraggiosi passeggeri continuano a decollare, i cieli tricolori devono fare i conti con le tragedie – non certo legate al COVID-19 – dell’ex compagnia di bandiera e di Air Italy.

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