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Francia

Come la Francia ha superato le frontiere con il virus

Coronavirus: come la Francia ha cooperato alle frontiere. L'approfondimento di Enrico Martial

Si parla sempre di frontiere chiuse: anche quelle aperte sono interessanti però, quasi controcorrente. Come si usa dire tra quelli che ne sanno molto, sono casi di “innovazione territoriale”.

Per esempio, durante la crisi sanitaria, tra Francia e Germania, è stato costituito un gruppo di contatto spontaneo – ma sulla base di una pluridecennale cooperazione anche politica sostenuta dai programmi europei di Interreg – tra la Regione del Grand Est (che comprende l’Alsazia) insieme alla prefettura e ai tre Länder del Baden-Württemberg, Renania Palatinato e Sarre (con partecipazione a volte anche del Lussemburgo).

Nella prima fase della crisi il gruppo ha affrontato la chiusura di fatto delle frontiere dal 16 marzo, che aveva lasciato un po’ di sconcerto da parte francese. Da parte tedesca erano stati introdotti controlli sanitari veicolo per veicolo, generando code lunghissime: ci si doveva parlare, per soluzioni alternative e congiunte, che hanno quindi modificato le modalità di controllo e gli accessi e quindi tolto le auto in attesa. A seguire, con la pressione sugli ospedali alsaziani (con Parigi, i più colpiti in Francia dal Covid-19) e la mancanza di materiale, il gruppo franco-tedesco ha gestito il trasferimento di pazienti verso Germania e il Lussemburgo. Il gruppo si è allargato all’Agenzia regionale per la salute (ARS) del Grand Est e alle autorità sanitarie regionali tedesche, ai ministeri degli esteri, alle forze di polizia. I trasferimenti hanno raggiunto il numero di 179 pazienti in terapia intensiva in Germania, come Start ha raccontato. Sono stati gestiti anche i lavoratori frontalieri e mantenute alcune linee di trasporto pubblico comuni. I Länder e il governo federale si sono poi fatti interamente carico dei costi dei pazienti accolti, come peraltro nei confronti dei 47 pazienti italiani ospedalizzati in Germania.

Con il Lussemburgo la cooperazione è stata poi decisiva, perché il 62% del personale sanitario del Granducato è composto da lavoratori frontalieri, essenzialmente francesi. In un caso di rapporti tradizionali tra Stati nazionali, con una crisi del genere, i medici di origine francese sarebbero stati dirottati sulle zone dell’Alsazia più esposte, come a Mulhouse, ponendo decisivi problemi oltrefrontiera. Invece hanno continuato a lavorare in Lussemburgo, sono stati misurati insieme i bisogni dell’emergenza e la riduzione delle pressioni sui sistemi sanitari locali. Anche in Lussemburgo, d’altra parte, sono stati ospitati una dozzina di pazienti francesi in terapia intensiva.

I rapporti con la Svizzera sono stati invece articolati a seconda dei problemi. Il primo, sul trasferimento dei pazienti negli ospedali svizzeri, ha visto al lavoro una taskforce con i ministri cantonali della salute di Ginevra, dei due cantoni di Basilea, di Neuchâtel e del Giura, insieme con i Presidenti di dipartimento e della Regione del Gran Est e le prefetture. Per esempio, la prefettura francese dell’Ain già il 22 marzo spiegava che erano aperti tre posti passaggi di frontiera, che vi erano corsie preferenziali e adesivi di riconoscimento per il personale sanitario, che i figli di medici o assistenti sanitari operanti in Svizzera venivano accolti nelle scuole, come se operassero in Francia.

Inoltre, le protezioni civili (cioè gli uffici delle prefetture francesi dell’Ain, dell’Alta Savoia, dei cantoni di Ginevra e del Vaud) si sono riunite due volte alla settimana nell’ambito del sistema “ORCA” ginevrino (organizzazione in caso di catastrofe o situazione eccezionale). Tra le altre cose, sono stati gestite congiuntamente questioni di ordine pubblico (per esempio le sanzioni sulle restrizioni) e l’accordo per 60 alloggi privati in Francia per personale medico operante a Nyon, nel sistema ospedaliero del Lemano occidentale.

La frontiera orientale francese è quella che è stata maggiormente interessata da cooperazione in ragione della criticità sanitaria, in particolare nel Grand Est” ha detto Petia Tzvetanova, coordinatrice per gli aspetti giuridici della Mission opérationnelle transfrontalière (MOT) di Parigi. “Gli accordi-quadro frontalieri sono molto simili, ma non sono all’origine dell’attuale cooperazione, che ha visto il coinvolgimento spontaneo dei soggetti locali, da associare ai livelli regionali e nazionali”.

In assenza di gravi pressioni sulle rianimazioni e i materiali, non vi sono state cooperazioni sanitarie nelle altre frontiere, salvo che una minore con la Valle d’Aosta. In questo caso la collaborazione esistente tra la protezione civile regionale e quella dell’Alta Savoia per il traforo del Monte Bianco è stata di aiuto all’acquisizione di mascherine nella prima fase della crisi.

Alle frontiere franco-spagnola e franco-belga le amministrazioni hanno prodotto la modulistica dei rispettivi Paesi sui propri siti per le necessità non rinviabili di mobilità (urgenze, frontalieri per attività essenziali), mentre l’Euroregione del golfo di Biscaglia – per esempio – prepara ormai le azioni transfrontaliere di sostegno alle imprese per la fase 2. Qualche cittadino francese ha peraltro deciso di passare il periodo di confinamento nelle seconde case nella Costa Brava di prossimità, ma dopo i primi rimbrotti dei residenti non vi sono stati problemi di rilievo. Con il Regno Unito vi erano già le restrizioni della Brexit, così manca anche la reciprocità delle informazioni di ingresso e uscita.

Per tornare alla frontiera italo-francese, nella sua parte meridionale, con i sistemi ospedalieri senza grandi difficoltà, non sono note cooperazioni sanitarie in corso. Sul transito alle frontiere, in capo alle autorità statali, ognuno ha fatto un po’ per sé. All’inizio, a Mentone, il 10 marzo non si accedeva dalla Francia in Italia se non per le urgenze e necessità previste dal primo DCPM. Con l’avvento di limitazioni anche in Francia la situazione si è equilibrata, sia pure con doppia autodichiarazione. I frontalieri verso la Francia e Monaco hanno continuato in generale a viaggiare e lavorare.

Tuttavia, in assenza di gruppi di contatto, negli ultimi giorni nella valle della Roya, al confine di Fanghetto, sono registrate difficoltà nel transito in Italia, più restrittiva nelle misure di mobilità. Per andare da Tenda a Nizza, si impone di passare da Sospel, tragitto tutto francese ma da scollinare, più lungo di quello tradizionale verso Ventimiglia e poi Nizza, con un attraversamento di 22 chilometri in Italia.

Probabilmente, parlandosi come è avvenuto altrove, si potrebbero trovare soluzioni adatte ai luoghi, ai numeri e alla sicurezza di tutti, anche in vista della fase 2.

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