L’emergenza del coronavirus colpisce il settore automobilistico nella delicata fase di transizione verso motori eco-compatibili e modelli tecnologici, quando tutti gli sforzi – finanziari e produttivi – sono impegnati per il successo di questa sfida epocale. L’impatto della pandemia, oltre che rallentare investimenti e ricerche sull’auto del futuro, può pregiudicare anche il business corrente.
IFO: PROSPETTIVE FOSCHE, A MARZO PRECIPITANO GLI INDICI DI SETTORE
In Germania l’istituto Ifo di Monaco ha disegnato prospettive molto fosche per l’industria automobilistica del paese. Il mese di marzo ha fatto registrare un forte peggioramento di tutti gli indicatori. L’indice delle aspettative delle imprese per i prossimi mesi sono crollate a -33,7 punti contro il già critico -19,7 di febbraio. L’indice della domanda del settore auto è sceso a -30,6 punti dopo il -13,8 di febbraio. E le attese sulle esportazioni sono crollate a -42,7 punti dopo il -17,3 del mese precedente. “È il valore peggiore dal marzo 2009”, sottolinea l’Ifo.
Anche l’indice che registra le aspettative di produzione è precipitato nel mese di marzo da 4,2 a -35,9 punti. Il sondaggio dell’istituto di Monaco rivela che il 41,3% delle imprese interpellate a marzo ipotizzavano di ricorrere agli incentivi per l’orario ridotto, contro il 19,7% del mese di dicembre 2019. Cresce anche il parco delle automobili invendute, il cui saldo sale dai 7,6 punti di febbraio ai 14,1 di marzo, mentre l’indice degli ordini inevasi passa dai -7,2 punti di febbraio ai -12,4 di marzo.
VERTICE TELEFONICO GOVERNO-INDUSTRIA-SINDACATO
Il panorama che offre l’industria automobilistica tedesca in queste settimane è d’altronde indicativo. Molti stabilimenti sono chiusi fino alla fine di aprile, c’è stato un ricorso massiccio al meccanismo della riduzione dell’orario di lavoro, in alcuni casi la produzione di settori e stabilimenti è stata dirottata dai motori ai macchinari di respirazione per gli ospedali. La trasformazione in “industria di guerra” ha coinvolto anche le aziende fornitrici, come dimostra il caso di Bosch, impegnata attraverso la controllata Bosch Healthcare Solutions a sviluppare un test di analisi rapido per il Covid-19 (risultato del test in due ore e mezzo) in collaborazione con l’azienda nordirlandese di tecnologia medica Randox Laboratories.
Per tastare direttamente il polso di un settore fondamentale dell’economia nazionale, il governo di Berlino ha organizzato la scorsa settimana un vertice telefonico con i ceo delle case automobilistiche e i rappresentanti dei principali fornitori, dell’associazione industriale di categoria e del sindacato Ig-Metall. I ministri competenti da un lato (oltre alla cancelliera, i titolari di finanze, industria, Trasporti e Lavoro), e i massimi rappresentanti della produzione (Diess per Vw, Zipse per Bmw, Källenius per Daimler, Müller per la Vda e Hofmann per l’Ig-Metall).
PREOCCUPAZIONE PER I FORNITORI DA ITALIA E SPAGNA
L’introduzione dell’orario ridotto per decine di migliaia di operai è dettato da due motivi. Il primo legato naturalmente alla tutela della salute, in ottemperanza al piano di riduzione dei contatti per rallentare la velocità del contagio. il secondo dovuto all’impasse nelle forniture di componentistica. I rappresentanti delle case automobilistiche sono molto preoccupati per la situazione nell’Europa del sud, in particolare nei paesi più colpiti dal virus come Italia e Spagna. Solo Volkswagen dipende da 800 aziende fornitrici operanti nei due paesi, particolarmente sofferenti per la massiccia diffusione del Covid-19. Senza una ripresa della loro attività, anche la produzione in Germania non può ripartire. L’Handelsblatt rivela che, per evitare un collasso nella filiera dei fornitori, i grandi marchi tedeschi, che possono attingere a liquidità ancora per diversi mesi, sarebbero anche “pronti a sostenere alcuni fornitori strategici in casi singoli, per evitarne il collasso finanziario”.
Oltre al sostegno alle imprese fornitrici di italia e Spagna, per la ripresa produttiva è anche indispensabile che le frontiere restino aperte, almeno per il passaggio delle merci. I componenti d’auto devono transitare liberamente attraverso l’Europa, hanno detto gli imprenditori, altrimenti si rischiano blocchi improvvisi e nuove improvvise chiusure degli stabilimenti.
Nel vertice telefonico si è poi affrontato il tema della sicurezza negli stabilimenti e delle modalità che dovranno essere per salvaguardare la salute degli operai, e quello della riapertura dei concessionari: sarebbe inutile far ripartire la produzione senza riattivare i punti di vendita.
IFW: ITALIA STRATEGIA NELLA FILIERA AUTOMOTIVE, IPOTIZZARE EUROBOND
La valenza strategica delle aziende fornitrici italiane nella filiera dell’automotive tedesca era stata sottolineata la scorsa settimana anche dagli economisti dell’Ifw di Kiel, uno dei principali istituti economici della Germania. In un’intervista all’Handelsblatt, il direttore Gabriel Felbermayr aveva evidenziato come la pandemia avesse colpito in particolare il nord industrializzato dell’Italia, “fortemente integrato nella produzione automobilistica e nell’ingegneria meccanica della Germania”. Un motivo di preoccupazione in più che dovrebbe spingere il governo tedesco a prendere in considerazione l’emissione di eurobond o coronabond, per sostenere i paesi dell’aerea dell’euro più gravemente colpiti dalla crisi: Italia, ma anche Spagna, Grecia e Portogallo. “Le opportunità per una ripresa dell’economia tedesca sono tanto maggiori quanti più paesi membri migliorano allo stesso tempo dal punto di vista economico”, aveva concluso Felbermayr. Ma le posizioni favorevoli a una forma di condivisione dei debiti di diversi istituti economici (accanto all’Ifw di Kiel c’è stato anche l’Iw di Colonia) non hanno aperto un varco nel governo di Berlino, almeno per il momento.
LA CRISI DELL’AUTO RAGGIUNGE L’EUROPA CENTRO-ORIENTALE
Un’altra regione molto colpita dalla crisi che dalla pandemia si è riversata sull’industria automobilistica è quella dell’Europa centro-orientale e sud-orientale. Dalla Slovacchia alla Polonia, dalla Repubblica Ceca all’Ungheria, dalla Romania alla Serbia, molte economie si reggono su stabilimenti collegati ai marchi occidentali, tedeschi, francesi e italiani. In Slovacchia l’automotive (fornitori compresi) rappresenta la metà degli introiti del settore industriale, in Repubblica Ceca il marchio Skoda (gruppo Volkswagen) costituisce con i suoi 32.000 addetti un decimo della produzione economica.
Nessuno è in grado di valutare l’impatto della crisi in questo momento, ma il quadro non lascia prevedere nulla di buono. Volkswagen e i marchi collegati hanno chiuso i propri stabilimenti in Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca, in Romania hanno chiuso i battenti le fabbriche della Dacia (Renault), Ford e Michelin. Stessa sorte per gli stabilimenti Fiat in Serbia.
L’assenza di ammortizzatori come la riduzione dell’orario di lavoro suscita grandi inquietudini. I governi di Polonia e Romania valutano sostegni straordinari per compensare parte dei salari dei lavoratori rimasti a casa. In Polonia l’aiuto potrebbe estendersi a tre mesi. Ma anche questo sforzo rischia di non bastare, neppure nell’economia più solida dell’europa centro-orientale.