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Che cosa succede al nuovo Ponte Morandi? La Bordata di Rapetto

Il Sole 24 Ore ha svelato un “problema” del Ponte Morandi. Il nuovo tracciato autostradale probabilmente lo si potrà percorrere a non più di 70 chilometri orari. Il corsivo di Umberto Rapetto

 

Nei momenti di euforia per l’annunciata rinascita di Genova grazie all’erigendo ponte progettato da Renzo Piano, l’archistar – intervistato da Rai News 24 – dichiarò “Un miracolo? No, è quello che si può fare”.

Ieri è saltato fuori un “problema” – autodenunciato da Italferr a febbraio 2019 al Consiglio superiore dei Lavori pubblici e segnalato anche da Aspi nel marzo 2019 alla Conferenza dei servizi – di presunte non conformità su cui il Consiglio superiore dei Lavori pubblici non ritenne di prendere posizione. Ora il nuovo tracciato autostradale probabilmente lo si potrà percorrere a non più di 70 chilometri orari.

Ha quindi avuto ragione l’architetto Piano nel confermare che non si è fatto un miracolo, ma “quello che si può fare”…

E’ stato profetico anche l’allora ministro per le Infrastrutture Danilo Toninelli quando asseriva che “Il ponte di Genova sarà un luogo dove mangiare e giocare”. La bassa velocità consentita permetterà, infatti, di comprare un panino al volo (non si chiamerà Camogli ma Valpolcevera) e di partecipare a simpatici tornei di “cirulla” (o anche “ciapachinze” per i liguri) con gli altri automobilisti incolonnati.

Oggi le tecnologie consentono ogni sorta di simulazione, i sofisticati software di progettazione possono considerare i condizionamenti normativi vigenti (segnalando incongruenze, suggerendo modifiche ed evitando che poi con grande sorpresa “si caschi dal pero”), i sistemi informatici regalano l’opportunità di condividere ogni sorta di dato o notizia e di mantenere allineati i processi decisionali di chi è coinvolto in qualsivoglia attività (figuriamoci in un’opera così imponente), le soluzioni di moderna comunicazione (toh, voglio esagerare, WhatsApp…) permettono istantaneamente di attivare chi deve occuparsi di qualcosa e magari innescare iniziative formali a rimedio degli imprevisti.

Il cittadino medio, rimasto basito dinanzi al racconto di cronaca, ha subito sentito il dovere di telefonare al proprio geometra e al capomastro che avevano curato i lavori di casa sua commettendo involontari impercettibili errori. “Vi perdono, anzi scusatemi…” è stato il refrain della commossa conversazione.

Il Premier Conte in occasione della posa dell’ultima campata del ponte – il 28 aprile scorso – aveva detto “Oggi suturiamo una ferita” e molti probabilmente adesso gioiscono sapendolo avvocato e non chirurgo plastico.

In quella occasione il sindaco della città, Bucci, dichiarò: “È il modello Genova e può essere un modello da seguire per la gestione delle opere pubbliche in Italia, nel quale la burocrazia è stata ridotta ai minimi termini”. Visto il risultato, la collettività confida in una garbata disubbidienza e auspica che nessuno voglia copiare…

Ad esser ridotta ai minimi termini, è evidente, è stata soprattutto la credibilità. E con quella anche la speranza di tanta gente che sognava la ripartenza.

“Il ponte” a carena di nave ha evocato il vascello Vasa oggi esposto in un meraviglioso museo di Stoccolma, nel cui porto il 10 agosto 1628 affondò miseramente subito dopo il varo. Rileggerne la storia può forse risultare educativo.

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GLI APPROFONDIMENTI DI START MAGAZINE:

Chi sono le pmi italiane che hanno ricostruito con Webuild il Ponte Morandi

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