skip to Main Content

Borgward

Borgward, quando il capitale cinese non basta a salvare un marchio storico dell’auto made in Europe

Quello che un tempo fu il quinto costruttore tedesco, oggi porta i libri in tribunale. Nemmeno i soldi cinesi sono riusciti a ridare lustro a Borgward La domanda ora è: che fine farà Isabella, riedizione in chiave elettrica del modello di maggior successo della Borgward? La Casa tedesca, infatti, è fallita. Di nuovo. Nemmeno i…

La domanda ora è: che fine farà Isabella, riedizione in chiave elettrica del modello di maggior successo della Borgward? La Casa tedesca, infatti, è fallita. Di nuovo. Nemmeno i capitali cinesi sono riusciti a tirarla fuori dal pantano in cui si era cacciata. E la sua storia, fatta di sbandate, è probabilmente emblema in piccolo di quanto sta accadendo, in scala maggiore, nel mercato dell’auto: case europee in crisi, non solo d’identità, cinesi disposti a investire, ma esiti non sempre positivi.

L’ANNUNCIO DEL 2015

Per comprendere quanto accaduto nelle ultime ore, ovvero come mai Beiqi Foton Motor Co, che fa parte della BAIC, abbia portato i libri contabili della storica etichetta tedesca in tribunale, bisogna ingranare la retromarcia e tornare al 2015, quando a sorpresa Christian Borgward, nipote del fondatore Carl Friedrich Wilhelm, annuncia a Ginevra il ritorno in pompa magna della Borgward, finita in bancarotta nel 1961, dopo essere riuscito a trovare soci cinesi interessati a sfondare nell’automotive europeo.

UN’ANIMA OCCIDENTALE

I nomi che contano, comunque, erano occidentali: i cinesi avevano infatti strappato alla Kia il designer belga David Napoleon Genot, in precedenza al lavoro col Gruppo Volkswagen e con Renault, per poi approdare alla Kia come Executive Design Director per l’Europa e come responsabile del design e membro del Cda Anders Warming, responsabile del design del marchio Mini. Dal Gruppo Daimler provenivano invece Tilo Shweers, responsabile sviluppo dei powertrain ibridi e Florian Herbold, responsabile per lo sviluppo delle trasmissioni.

IL PIANO DI RILANCIO DELLA BORGWARD

Per tirare fuori la Borgward dall’officina, il piano era di quelli pretenziosi:  cinque nuovi modelli per lo più a ruote alte: con la Suv BX7 a fare da apripista, quindi la BX3, la BX5, la BX6 per concludersi soprattutto con Isabella, punta di diamante del rilancio del marchio, dato che recuperava il nome di un modello a cui i tedeschi sono parecchio legati. La nuova Isabella, presentata come concept car, maxi coupé a quattro porte e quattro posti su sedili singoli a trazione elettrica lunga 5 metri, larga 1,92 e alta 1,40, sarebbe dovuta essere una sportiva di lusso, naturalmente elettrica, capace di irretire tanto la classe dirigente cinese quanto quella europea.

LE SPECIFICHE DELLA ISABELLA

Per le batterie era già stata stretta una partnership con la coreana LG e con riferimento alla Isabella si garantivano 500 km di autonomia e una ricarica parziale dell’80% in mezz’ora dei due motori elettrici Borgward ePropulsion, montati davanti e dietro (Isabella sarebbe dovuta essere a trazione integrale senza trasmissione), in grado di sviluppare complessivamente 300 CV e 450 Nm di coppia dall’accelerazione 0-100 in 4,5 secondi e una velocità massima è di 250 orari.

LE VENDITE DI BORGWARD IN CINA

L’idea di BAIC del resto era proprio quella di sfruttare un prestigioso marchio europeo, benché decaduto, per poter penetrare con maggiore facilità il mercato occidentale che all’epoca era ancora parecchio diffidente verso i marchi cinesi. Ma, soprattutto, il nome tedesco avrebbe attirato i nuovi ricchi asiatici e infatti nel primissimo periodo le vendite in Cina, solo mercato di debutto prima dell’espansione mondiale, risultarono superiori alle 30 mila unità tra il 2016 e il 2019, con un picco massimo dichiarato di oltre 55 mila unità.

LO STOP PER COVID

Con il Covid-19, invece, le vendite sono crollate a più di 3.500 veicoli nel 2021 e dato che nel frattempo i grandi marchi cinesi hanno iniziato a finanziare il loro sbarco sui mercati occidentali, ecco che BAIC ha deciso di chiudere i rubinetti. Anche perché, soprattutto sul fronte automotive, qualcosa pare essere cambiato nella Cina affamata di auto elettriche: chi non può permettersi una Ferrari, una Maserati o una Lamborghini, difficilmente guarda agli altri marchi occidentali (tengono bene comunque BMW e Audi), dato che le equivalenti cinesi si sono ormai affermate.

IL CAMBIO DI PROPRIETÀ IN CORSA

E difatti, nonostante gli entusiasmi iniziali, il marchio tedesco non ha mai fatto davvero faville. Ben prima della pandemia, Borgward aveva perso per strada 564 milioni di dollari tra il 2016 e il 2018. Motivo per il quale, un anno prima del Covid, 2019 la controllata di BAIC, Foton che deteneva gran parte del capitale aveva già deciso di vendere buona parte della partecipazione al marchio alla startup cinese Ucar. Poi è arrivata la pandemia e l’impennata del costo delle materie prime che hanno portato alla perdita di ben 669 milioni di dollari solo nel 2021. Secondo i media cinesi, i debiti con i fornitori ora ammonterebbero a 618 milioni di dollari.

QUALCUNO IN GERMANIA SALVERÀ LA BORGWARD?

Per molti versi, dunque, la storia della tedesca Borgward ricalca quella della coreana Ssangyong, anch’essa salvata dal dimenticatoio da un investitore estero, nel caso di specie indiano, ma azzoppata nel giro di pochi mesi dalla pandemia. La sola differenza è l’esito dell’operazione, che ben sottolinea anche la propensione al rischio tra Occidente e Oriente: Ssangyong è stata difatti riacquistata in zona Cesarini da un gruppo sudcoreano, mentre è di gran lunga più difficile che qualcuno si muoverà in una Germania alle prese con tutte le conseguenze dello stop delle forniture energetiche russe per ridare lustro a un pezzo della loro industria automobilistica.

Back To Top