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Il Congresso Usa punzecchia Bmw, Volkswagen e Jaguar sul lavoro forzato in Cina

Un'indagine del Congresso americano ha stabilito che Bmw, Volkswagen e Jaguar hanno acquistato componenti da un'azienda cinese coinvolta nello sfruttamento degli uiguri nello Xinjiang, in Cina. Pur essendo state avvisate, le case automobilistiche non hanno preso provvedimenti. Tutti i dettagli.

Un’indagine avviata nel 2022 dal Congresso degli Stati Uniti ha stabilito che le case automobilistiche BMW, Volkswagen (entrambe tedesche) e Jaguar Land Rover (britannica) hanno acquistato componenti da un’azienda cinese coinvolta nello sfruttamento degli abitanti dello Xinjiang.

Lo Xinjiang è una regione della Cina occidentale dove la popolazione – gli uiguri, un’etnia di lingua turca e di religione islamica – è sottoposta a pratiche di sorveglianza di massa, detenzione e lavoro forzato; il governo cinese, tuttavia, nega.

BMW, JAGUAR, VOLKSWAGEN E I LEGAMI CON LO SFRUTTAMENTO DEGLI UIGURI

BMW e Jaguar, in particolare, hanno continuato a importare negli Stati Uniti prodotti collegati a Sichuan Jingweida Technology Group anche dopo essere state informate delle criticità nelle loro catene di approvvigionamento. Lo scorso dicembre, infatti, l’azienda cinese è stata inserita nella “lista nera” del governo americano dedicata ai soggetti coinvolti nei programmi di lavoro forzato nello Xinjiang: mentre Volkswagen ha preso dei provvedimenti, BMW ha continuato a spedire illegalmente negli Stati Uniti migliaia di automobili marchio Mini.

Lo Uyghur Forced Labor Prevention Act è la legge che – in vigore da fine 2021, ma complessa da attuare nella pratica – vieta l’importazione negli Stati Uniti di prodotti fabbricati interamente nello Xinjiang o formati da componenti prodotti nella regione, a meno che non si riesca a dimostrare che non sono stati ottenuti tramite lo sfruttamento dei lavoratori.

L’ACCUSA DEL SENATORE WYDEN

Il senatore Ron Wyden, presidente della commissione Finanza del Senato e promotore dell’indagine, ha accusato le case automobilistiche di nascondere “la testa sotto la sabbia e poi [giurare, ndr] di non trovare prove di lavoro forzato nelle loro catene di fornitura. In qualche modo, il personale di sorveglianza della commissione Finanza del Senato ha scoperto ciò che aziende multimiliardarie apparentemente non sono riuscite a scoprire: che BMW ha importato auto, che Jaguar Land Rover ha importato parti e che Volkswagen ha prodotto auto che includevano componenti realizzati da un fornitore messo al bando per utilizzare il lavoro forzato degli uiguri”.

“L’autocontrollo delle case automobilistiche non sta chiaramente facendo il suo dovere”, ha concluso Wyden.

UNA SUPPLY CHAIN COMPLESSA

Il componente “incriminato” – per così dire – è un trasformatore LAN, un semiconduttore che serve a far comunicare tra loro i vari componenti elettronici di un’automobile.

Le tre case automobilistiche non si riforniscono direttamente da Jingweida, ma da un’altra azienda chiamata Lear; Lear, a sua volta, afferma di non interfacciarsi con Jingweida ma con un altro fornitore ancora.

A gennaio Lear ha notificato a BMW, Jaguar e Volkswagen di aver venduto loro componenti fabbricati da Jingweida. Ricevuta la comunicazione, Volkswagen ha informato le autorità doganali statunitensi della presenza di componenti legate al lavoro forzato nei suoi veicoli diretti negli Stati Uniti, provvedendo a sostituirli nei porti americani prima della vendita. La casa tedesca, comunque, possiede ancora uno stabilimento nello Xinjiang assieme a una società statale cinese, ma garantisce l’assenza di lavoro forzato.

BMW – stando all’indagine del Congresso – ha invece continuato a importare automobili contenenti quel componente fino al mese scorso, pur avendo ricevuto la notifica da Lear.

Anche Jaguar Land Rover ha ricevuto la comunicazione di Lear, ma pare che la sussidiaria nordamericana della società non sia stata informata: così, le importazioni del componente di Jingweida sono proseguite fino agli ultimi giorni di aprile.

FARE A MENO DELLA CINA

Per le case automobilistiche europee – e in particolare per quelle tedesche – la Cina è un paese fondamentale: possiede il più grande mercato automobilistico al mondo, peraltro in forte crescita, e nel primo trimestre del 2024 è valsa all’incirca un terzo delle vendite di BMW e Volkswagen e un quinto di quelle di Jaguar Land Rover.

Le case straniere stanno però accusando non solo la forte concorrenza dei produttori automobilistici cinesi, specializzati nei veicoli elettrici, ma – scrive il New York Times – stanno anche risentendo del deterioramento delle relazioni politiche tra la Cina e l’Occidente: di conseguenza, fanno più difficoltà a mantenere buoni rapporti con il governo cinese (necessari, se si vuole fare affari nel paese) e contemporaneamente a garantire ai governi europei e americano il rispetto dei diritti umani.

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