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Auto Elettrica

Auto elettriche, è già l’ora della rottamazione di Rivian e Lordstown?

Lordstown Motors è arrivata a fine corsa. Ma che succede? Rivian, che poco più di un anno fa valeva in Borsa più di Volkswagen e Ford, è emblema di un mercato dell'auto elettrica ormai schizofrenico: tanti i nuovi marchi che si affacciano, ma ancora più numerosi quelli che, dopo uno sprint iniziale, inchiodano o chiudono

La transizione ecologica nel campo automotive pareva il business del domani. Un business per tutti. Con il tramonto dei propulsori diesel e benzina e l’affacciarsi dell’era dei motori “green”, startup e piccole aziende nate in senso alle Università sono comparse come funghi, godendo spesso del supporto di grandi attori del mercato o di colossi economici decisi a entrarvi.

Tutte realtà promettenti, incapaci però di reggere gli stop per Covid prima, col crollo del mercato dell’auto, quindi il continuo rialzo dei prezzi delle materie prime e le difficoltà a reperire i semiconduttori, diventati introvabili e carissimi.

L’INCHIODATA DI RIVIAN

La prima a manifestare qualche problema al motore elettrico è stata Rivian, la startup dei pick up EV in cui avevano scommesso Ford (che poi s’è liberata della maggior parte delle azioni) e Amazon (che la sfrutterà per il rinnovo in senso green della propria flotta), che s’è accollata quindi gran parte dei suoi problemi legati prima alla pandemia, poi alla crisi dei chip e all’impennata generalizzata dei costi.

Secondo gli ultimi dati disponibili, l’azienda ha prodotto 24.337 veicoli (10mila nell’ultimo quarto dell’anno) e consegnato 20.332 veicoli. I ricavi sono stati inferiori alle stime: 663 milioni di dollari nel quarto trimestre, al di sotto dei 717 milioni di dollari previsti dagli analisti, secondo la media delle stime compilate da Bloomberg. Il passivo rettificato è stato di 1,87 dollari per azione, più o meno in linea con le previsioni degli analisti. E nel 2023 la perdita attesa, esclusi interessi e ammortamenti, è di 4,3 miliardi.

L’ex startup dei pick up elettrici con sede a Irvine, California, che ha come principale commessa il rinnovo dei furgoni Amazon, prevede di costruire fino a 50mila veicoli elettrici nel 2023, raddoppiando dunque il proprio rateo produttivo dei dodici mesi passati.

I LICENZIAMENTI IN LUCID MOTORS

Situazione analoga per la californiana Lucid Motors che piace parecchio ai sauditi (ci hanno investito fior di miliardi): la casa automobilistica americana a marzo ha annunciato un piano per arrivare a licenziare il 18% della sua forza lavoro, cioè circa 1.300 persone, come parte di un più ampio progetto di ristrutturazione aziendale.

Del resto Lucid, produttrice di auto EV di lusso, ha progressivamente e costantemente abbassato i suoi obiettivi di vendita del 2022 passando dal target di 20.000 veicoli ad appena 6.000/7.000 vetture. Grazie al quarto trimestre positivo in cui sono state costruite 3.493 auto, Lucid Motors ha chiuso il 2022 con 7.180 Lucid Air prodotte. Dunque, obiettivo centrato, anzi leggermente superato. L’azienda però ha già raccolto oltre 37.000 prenotazioni che rappresentano vendite potenziali per circa 3,5 miliardi di dollari.

Ma col 2023 si è registrata una nuova flessione: la casa automobilistica americana ha fatto sapere di aver prodotto 2.314 vetture e di averne consegnate solamente 1.406 nel primo trimestre. Si tratta di numeri decisamente inferiori a quelli dell’ultimo trimestre del 2022 quando aveva prodotto 3.493 veicoli e consegnati 1.932. A febbraio, la casa automobilistica aveva comunicato l’obiettivo di arrivare a produrre tra le 10.000 e le 14.000 auto nel 2023 nonostante un portafoglio ordini di circa 28.000 unità. Si tratta di un obiettivo ben al di sotto delle attese degli analisti che si aspettavano un target vicino alle 22.000 unità

AUTO ELETTRICA IN PANNE

È andata decisamente peggio a un’altra americana, Lordstown Motors, dell’Ohio, fondata nel 2018 da Steve Burns che ha appena depositato presso una corte del Delaware la richiesta per accedere ai benefici del Chapter 11, la procedura d’insolvenza prevista dalla legge fallimentare statunitense che consente alle società di “proteggersi” dalle richieste dei creditori fino al completamento di un piano di riorganizzazione aziendale.

Inizialmente pareva che da Taiwan fosse giunto un cavaliere bianco: la produttrice di chip Foxconn, ma sull’istanza di fallimento si innesta invece una causa che Lordstown intende fare all’acquirente estero del proprio impianto ex GM per non aver rispettato alcuni dei termini dell’accordo di collaborazione sottoscritto nel 2021, in particolare la parte relativa all’acquisto di ulteriori azioni dell’azienda statunitense: i taiwanesi avevano investito circa 53 milioni di dollari per rilevare l’8,4% del capitale, dopo di che avrebbero esitato a procedere con nuovi acquisti a causa del crollo delle azioni in Borsa, facendo saltare – a detta degli americani – i programmi di sviluppo congiunto di veicoli elettrici.

NUBI SULL’AUTO SOLARE

L’ultimo grande inciampo nel settore, almeno in ordine di tempo, è quello che ha riguardato Sono Motors, azienda tedesca che ha infine ammesso, dopo anni di difficoltà e rinvii, la cancellazione del programma Sion, la vettura elettrica alimentata con i pannelli posti sulla carrozzeria. “Prima di entrare nei dettagli, vogliamo ringraziare sinceramente tutte le persone che ci hanno sostenuto nel corso degli anni”, il messaggio che campeggia ora sul sito.

“Grazie alla nostra forte e fedele comunità, senza la quale non saremmo mai arrivati così lontano. Siamo estremamente dispiaciuti di aver interrotto il programma Sion così vicino a portarlo in strada. Siamo ancora pienamente impegnati a fare una vera differenza nella mobilità e a rendere solare ogni veicolo. Nonostante le oltre 45.000 prenotazioni e preordini per la Sion, siamo stati costretti a reagire alla continua instabilità dei mercati finanziari e a razionalizzare la nostra attività”.

SOLO PANNELLI SOLARI SU BUS E TIR

Si tratta di una inversione di marcia totale, quella della realtà tedesca, che esce di scena come produttore dell’auto solare per concentrarsi esclusivamente sul fotovoltaico. Subito fuori dagli stabilimenti circa 300 dipendenti, tra cui il direttore operativo Thomas Hausch. Sono, secondo quanto annunciato dal cofondatore Laurin Hahn, si concentrerà su soluzioni fotovoltaiche, compresi software e dispositivi di elettronica di potenza, rivolgendosi soprattutto a clienti aziendali in Europa, Asia e Stati Uniti. In ambito quattro ruote collaborerà con Mitsubishi, Scania e Man per proporre le sue tecnologie a costruttori intenzionati a integrarle su autobus, veicoli refrigerati o ricreativi.

IL PRECEDENTE FINNICO

Una storia che ricorda da vicino la disavventura occorsa alla finlandese Lightyear che di pre-ordini per la sua auto solare ne aveva raccolto nemmeno la metà, 21.000 unità, pari comunque a un controvalore di tutto rispetto da 840 milioni di euro, ma questo non le ha impedito di cessare la produzione del modello Zero. In questo caso, però, i finnici sono intenzionati a restare sul mercato e, pur di riuscirci, punteranno tutto su quello “budget”, archiviata la possibilità di fare arrivare negli autosaloni quello da 250mila euro.

La startup olandese Lightyear guidata dal Ceo Lex Hoefsloot aveva presentato il prototipo di una vettura elettrica alimentata a energia solare un anno prima della pandemia, nel giugno del ’19, con l’obiettivo di iniziare la produzione nel 2021. Secondo le ambizioni della startup, la vettura poteva generare fino a 20.000 km di autonomia all’anno con la sola esposizione al sole, anche se le prestazioni non sarebbero state da supercar: il prototipo raggiungeva i 100 km/h in circa 10 secondi.

Poi sono arrivate in rapida successione una pandemia, la crisi dei chip, una guerra capace di destabilizzare il mondo intero, l’impennata dei costi delle materie prime e il progetto si è arenato. Al CES di Las Vegas la startup aveva comunque presentato un nuovo modello, la Lightyear 2, previsto per il 2025 a un prezzo inferiore ai 40.000 euro. Ma il finanziamento da quasi 1,5 milioni nell’ambito di un progetto comunitario che riguarda le tecnologie solari e i soldi raccolti coi preordini non sono a quanto pare bastati.

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