Caro direttore,
il 27 maggio ho seguito l’assemblea annuale di Confindustria e ho sentito il presidente Emanuele Orsini attaccare la Cina. “Con la nostra sovrapproduzione di regole”, ha detto, riferendosi ai regolamenti europei, “alla Cina abbiamo lasciato la sovrapproduzione industriale che, oltretutto, incentiviamo”. Alludendo al divieto di immatricolazione di veicoli a benzina e diesel dal 2035, uno dei punti cardine del Green Deal, ha spiegato che “il rischio concreto è di avere auto sempre più costose, con il risultato di cedere quote di mercato sempre maggiori ai concorrenti cinesi”. E ancora: “non possiamo indebitare i costruttori europei costringendoli ad acquistare le quote di CO2 da Byd e Tesla”, le due maggiori case produttrici di automobili elettriche, la prima cinese e la seconda statunitense.
Ad agosto, per la prima volta, Byd ha venduto più auto elettriche “pure” – niente ibride plug-in, cioè – in Europa di Tesla: 7231 unità contro 7165. Su base annua, Tesla è calata del 49 per cento, mentre Byd – che partiva da una base molto più bassa, va detto – è cresciuta del 169 per cento. Una rondine non fa primavera, recita il detto: ma è comunque un dato significativo, considerato che Tesla ha storicamente primeggiato nel mercato europeo della mobilità a batteria.
Le case automobilistiche del Vecchio continente stanno migliorando con l’elettrificazione della loro offerta, ma Byd ha un vantaggio di volumi e di prezzi – la berlina Seagull si vende a meno di 23.000 euro – fortissimo.
Sempre proposito di Byd, nei giorni scorsi ho letto un articolo del Corriere della Sera che riportava questo sommario: Il colosso cinese riaccende la guerra dei prezzi sul mercato domestico, dove operano oltre 100 case, quasi tutte in perdita. La capacità produttiva è doppia rispetto alle vendite: l’Europa serve come valvola di sfogo. E infatti, si legge nell’articolo, “i gruppi cinesi si stanno riversando in massa” sul mercato automobilistico europeo “con una strategia commerciale aggressiva che potrebbe ricevere una nuova accelerazione dopo la mossa di Byd in patria”, che ha tagliato i prezzi di vendita dei suoi modelli.
Insomma, il rischio che i produttori automobilistici europei non riescano a reggere la concorrenza di Byd e degli altri marchi cinesi c’è, con tutto quello che ne conseguirebbe per le nostre filiere industriali.
Ma niente paura.
Sempre sul Corriere – il giornale della borghesia italiana, dell’establishment – leggo che la sfida con la Cina sull’auto elettrica è una “guerra persa” per l’Unione europea. L’ha detto Alfredo Altavilla, consigliere speciale per l’Europa di Byd: in precedenza è stato direttore operativo di Fiat Chrysler Automobiles (insomma il braccio destro di Sergio Marchionne) e presidente di Ita Airways.
Alle istituzioni e alle case automobilistiche europee non conviene scontrarsi ma “collaborare con Pechino”, dice Altavilla, che pure continua a criticare la messa al bando del motore endotermico – nonostante la decisione avvantaggi Byd – perché rischia di “frenare lo sviluppo per eccesso di regolamentazione e mancanza di leadership”.
Altavilla, riporta il Corriere, “evidenzia che la resistenza europea a collaborare con la Cina e l’ossessione ideologica rischiano di far perdere competitività all’Europa”.
In precedenza – leggo da Startmag – Altavilla aveva speso parole di lode per la filiera italiana della componentistica: “ritengo che la componentistica italiana abbia un valore in termini di competenze, know-how e capacità di adattare se stessa che le altre filiere vantano in maniera decisamente minore”. Non è chiaro, però, quale possa essere il contributo delle aziende italiane di componentistica alla filiera di Byd, visto che le auto elettriche contengono molte meno parti mobili di quelle endotermiche e visto che Byd produce internamente la maggior parte dei componenti, inclusa la batteria, che rappresenta il 30-40 per cento del valore totale della vettura.
Direttore, non posso esimermi dal lodare l’acume dei cinesi, che hanno scelto Altavilla – figura rassicurante, esperta del settore, vicina agli ambienti americani e apprezzata dai giornalisti – come loro portavoce in Europa: insomma una personalità che non ha bisogno, forse, neppure di consulenti per la comunicazione. Probabilmente i cinesi hanno imparato dall’errore mediatico e politico – ma è un’opinione personale – di nominare Qinjing Shen a capo della rappresentanza italiana di State Grid, la compagnia statale che gestisce la rete elettrica della Cina e che possiede il 35 per cento di Cdp Reti, la controllata di Cassa depositi e prestiti che amministra le partecipazioni nelle aziende italiane di infrastrutture energetiche.
Di conseguenza, Qinjing Shen è consigliere di amministrazione di Terna, Snam e Italgas.
Un italiano, o al massimo un europeo, avrebbe dato meno nell’occhio: le infrastrutture energetico sono un settore strategico, e non so se una presenza così forte della Cina – Bruxelles la definisce una “rivale sistemica” – sia un bene.
Un consiglio al Partito comunista di Pechino: imparate da Byd.
Cordiali saluti,
Francis Walsingham