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Crisanti Vaccini Covid

Tutte le sciagure previste da Galli, Crisanti e Locatelli (mai avvenute)

Nonostante le aperture il virus arretra, mentre Galli, Crisanti e Locatelli avevano previsto il peggio. L'articolo di Alessandro Rico per La Verità

 

Fondazione Kessler: con le riaperture del 26 aprile, avremo tra 300 e 1.300 morti al giorno.

Andrea Crisanti: le vittime saranno 500-600 al giorno, spireranno «in condizioni di asfissia, una morte orribile».

Massimo Galli: «Rischio calcolato? Calcolato male». Fabrizio Pregliasco: «Ci sarà un prezzo da pagare di cui tenere conto, un rigurgito in salita del numero dei casi». Il Fatto Quotidiano: «Come l’ Italia ha già fatto Madrid: ora è quarta ondata». «Ora» era il 18 aprile.

Oggi, l’ incidenza a sette giorni nella capitale spagnola è scesa del 39%, quella a 14 giorni è crollata del 55%.

Sono i vaticini emessi ai tempi del precedente decreto sulle riaperture. Quando lo storico dell’ arte Tommaso Montanari, su Twitter, definiva Mario Draghi «il nostro Bolsonaro». A tre settimane dal fatidico 26 aprile, la strage annunciata, per fortuna, non è arrivata. Gli indicatori migliorano. Il trend dei contagi è in diminuzione. I ricoveri, sia nei reparti ordinari, sia nelle terapie intensive, calano. Allora, Galli bofonchiava: «Draghi non ne azzecca una». Alla fine, a collezionare fiaschi è stato lui: nemmeno Milano è stata funestata dalla peste, nonostante i 30.000 interisti radunatisi in piazza Duomo, domenica 2 maggio, per celebrare lo scudetto.

Eppure, cosa ci andavano raccontando gli esperti?

Franco Locatelli, coordinatore del Cts e presidente del Consiglio superiore di sanità, indossava la tunica di Catone il censore: «Non possiamo permetterci queste immagini, [] cantare per lungo tempo diventa un elemento di rischio». Roberto Ieraci, referente scientifico per le strategie vaccinali della Regione Lazio, pontificava: «La zona gialla non vuol dire liberi tutti». Pier Luigi Lopalco, assessore alla Sanità di Michele Emiliano, paventava «focolai intrafamiliari». Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive, era pronto all’ ecatombe: «Errore gravissimo che certamente costerà qualche vita umana». Il primario all’ ospedale di Pisa, Francesco Menichetti, ironizzava sul doppio significato, sportivo e medico, della parola «tifo». E puntava il dito sul mortifero decreto 26 aprile: «È stato ritenuto un D day». Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, parlava come un commissario del popolo a Berlino Est: «È il messaggio che disturba dal punto di vista sociale». Come osi uscire, come osi divertirti, come osi ridere?

Ebbene, ecco com’ è finita.
Ieri, l’ immunologo Mauro Minelli, della Fondazione italiana di medicina personalizzata, ha ammesso che i «numeri si avvicinano dappertutto alla frontiera della zona bianca» e che, a due settimane dal vituperato mucchio selvaggio di piazza Duomo, «Milano registra un andamento in discesa, perfettamente in linea con il dato di altre Regioni». Di grazia, qualcuno chiarisca. O chieda scusa. Non può passare tutto in cavalleria. Incluso il furioso sdegno dei fra’ Dolcino in camice bianco, che urlavano «penitenziagite» agli italiani, tutti colpevoli d’ assembramento.

È accaduto il miracolo di Pfizer? È che la curva del virus se ne infischia dei lockdown, costosi ma inefficaci? Qualche luminare, se non è troppo impegnato con i procurati allarmi, provi a spiegare perché, nonostante si sia tornati al ristorante e si siano riaperti i confini tra le Regioni, ancora non si vedono le pire dei cadaveri in strada. E perché, in compenso, s’ odono le omelie dei «competenti».

Pregliasco, della Statale di Milano, che a ottobre 2020 invitava all’ onanismo – «è a rischio anche il sesso tra fidanzati» – adesso ci sconsiglia i baci e ci prescrive la «tecnica speciale» per abbracciarci.

Del «rigurgito» dei contagi, da lui temuto, non c’ è ancora traccia. Ma se non si ferma la gara a spargere il panico, di rigurgiti vederemo quelli dallo stomaco di un popolo arcistufo di gufate e minacce. Pure lo scorso anno, Fondazione Kessler, Iss, ministero della Sanità e Inail pronosticarono: liberando l’ Italia a maggio, avremo 150.000 pazienti intubati a giugno. Ci ricordiamo com’ è andata l’ estate 2020. Quest’ anno, ogni farneticazione è addirittura più grave, poiché, oltre alla bella stagione, abbiamo la potente arma dei vaccini.

Così, né le riaperture del «nostro Bolsonaro», né l’ adunata dei nerazzurri sono riuscite a invertire la tendenza al miglioramento del quadro epidemiologico. Men che meno sono comparse – grazie a Dio – le cataste di corpi morti per asfissia, come nella descrizione splatter di Crisanti. Il quale, anziché ammettere di aver preso una cantonata, fa l’ azzeccagarbugli con Adnkronos: «Se mi sento smentito dai numeri del Covid in discesa? A parte che occorre aspettare ancora un po’ per una valutazione su numeri ed effetti delle riaperture, non è che si ha ragione o torto a seconda della previsione».

l contrario: proprio perché «stiamo prendendo misure di sanità pubblica», se io dico che un allentamento dei divieti provocherà una strage e poi la strage non arriva, significa che mi sono sbagliato. Crisanti non condivide: «Se anche i numeri mi smentissero», delira, «avrei avuto ragione nell’ avere una posizione contraria al rischio. Resto coerente». Della serie: ho ragione anche se ho torto. O, meglio, riscrivo le regole e rinvio la resa dei conti.

Per giudicare gli effetti del decreto 26 aprile, infatti, secondo Crisanti, bisognerà «aspettare 4-6 settimane a partire da quella data».

Prego? Ma non s’ era detto che l’ incubazione della malattia era al massimo di due settimane?

Siamo al livello della squadra sconfitta che chiede un minuto in più di recupero, sperando nel gol del pareggio in zona Cesarini: altre due, tre settimane, vi prego. E magari un focolaio di qua, una variante indiana di là, e si potrà tornare in tv con il ditino apodittico: «Ricordati che devi morire». Aspettate, che ce lo segniamo.

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