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Molecola Alzheimer

Scoperta una molecola che rallenta l’Alzheimer. Lo studio italiano

Uno studio congiunto tra Istituto Neurologico Carlo Besta e Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri ha scoperto una molecola in grado di frenare l’Alzheimer, la più comune forma di demenza in età avanzata e a oggi incurabile. Tutti i dettagli, i dati e le previsioni sulla malattia in Italia e nel mondo

 

Inibire gli effetti neurotossici delle due proteine che causano l’Alzheimer, sembra questa la strada da seguire per frenare una malattia che il nostro Paese purtroppo conosce bene.

L’Italia è, infatti, l’ottavo Stato al mondo più colpito da demenza. Sono oltre un milione e 400 mila i casi diagnosticati, 600 mila dei quali solo di Alzheimer, come ricordava qualche tempo fa Start citando i dati della fondazione European Brain Research Institute (Ebri) di Roma, istituita da Rita Levi-Montalcini.

Ora, un gruppo di ricercatori italiani appartenenti alla Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, in collaborazione con i colleghi dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, ha fatto un ulteriore passo avanti.

COSA HANNO SCOPERTO

Dallo studio congiunto, pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry di Nature, emergono risultati promettenti per lo sviluppo di una strategia di cura della malattia nella fase precoce.

In particolare, i ricercatori hanno individuato la molecola in grado di frenare l’Alzheimer, la più comune forma di demenza in età avanzata tuttora incurabile.

LA MOLECOLA

Tale molecola, il ‘magic bullet’ che la scienza cerca da anni, è un piccolo peptide che, somministrato per via intranasale, si è dimostrato efficace in un modello di Alzheimer nel topo e ha inibito gli effetti tossici di una delle due proteine – la proteina beta-amiloide e la proteina tau – che causano la patologia.

I PRECEDENTI APPROCCI TERAPEUTICI

Gli approcci terapeutici finora esplorati dalla comunità scientifica internazionale, fanno sapere dall’Istituto Negri, purtroppo non hanno ancora portato all’identificazione di un composto in grado di contrastare efficacemente la malattia, se non addirittura prevenirla.

Tuttavia, i risultati di decenni di ricerca scientifica hanno dimostrato che impedire o rallentare la formazione di aggregati delle due proteine, che giocano un ruolo fondamentale in questa forma di demenza, non è sufficiente a sconfiggere la malattia.

Per questo, i ricercatori hanno dedotto che è importante inibire contemporaneamente gli effetti neurotossici di queste due proteine.

LA NOVITÀ

La nuova strategia sviluppata dai ricercatori per contrastare l’Alzheimer si basa su una scoperta antecedente degli stessi autori che hanno identificato una variante naturale della proteina beta amiloide che protegge i soggetti portatori dallo sviluppo dalla malattia: questo ha permesso di sintetizzare la molecola (un piccolo frammento formato da 6 aminoacidi) utilizzata nello studio.

COME AGISCE LA MOLECOLA

“Gli esperimenti – hanno spiegato il dottor Fabrizio Tagliavini e il dottor Giuseppe Di Fede, neurologi del Besta che hanno condotto lo studio – hanno dimostrato che la somministrazione per via intranasale del peptide, in una fase precoce della malattia, è efficace nel proteggere le sinapsi dagli effetti neurotossici della beta-amiloide oltre che nell’inibire la formazione di aggregati della stessa proteina, responsabili di gran parte dei danni cerebrali nell’Alzheimer, e nel rallentare il deposito della beta-amiloide sotto forma di placche nel cervello”.

EVENTI COLLATERALI: NON PERVENUTI

“Inoltre, – hanno aggiunto – il trattamento sembrerebbe non indurre eventi collaterali che derivano da un’anomala attivazione del sistema immunitario, riscontrati in altre potenziali terapie per l’Alzheimer. Questi effetti multipli costituiscono pertanto una combinazione apparentemente vincente nell’ostacolare lo sviluppo della malattia nei topi”.

I COSTI DI PRODUZIONE

Ma c’è un’altra buona notizia. “Gli ulteriori vantaggi di questa strategia – ha osservato il dottor Mario Salmona, biochimico dell’Istituto Mario Negri – riguardano i bassi costi di produzione del piccolo peptide, in confronto agli elevatissimi costi di altri approcci terapeutici potenziali per l’Alzheimer come gli anticorpi monoclonali, la semplicità e la scarsa invasività del trattamento per via intranasale, peraltro già utilizzato con successo per altre categorie di farmaci”.

I DATI SULLA DIFFUSIONE DELL’ALZHEIMER

I numeri sull’Alzheimer sono già preoccupanti ma ad attirare l’attenzione degli esperti sono le previsioni, ancora più negative, per il futuro. Come ricordano anche gli autori dello studio su Nature, l’invecchiamento della popolazione mondiale può solo aggravare la situazione.

Questa malattia, si legge nell’articolo, “colpisce 6 milioni di persone nell’Unione europea e oltre 30 milioni di individui in tutto il mondo. Si prevede che queste cifre aumenteranno in modo sostanziale con il rapido invecchiamento della popolazione mondiale”.

E secondo una ricerca dell’Institute of Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington, pubblicata su The Lancet, in Italia il numero delle persone con demenza è destinato ad aumentare del 56% entro il 2050, quando le persone con demenza saranno 2.316.951.

Nel mondo, invece, la previsione è di 139 milioni entro il 2050.

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