Sarebbe dovuto entrare in vigore lo scorso 1° gennaio e poi il 1° aprile, ma molto probabilmente non se ne farà nulla fino a luglio se non alla fine dell’anno. Si tratta del nuovo tariffario della specialistica ambulatoriale, le cui tariffe – che stabiliscono i rimborsi che ambulatori, laboratori e centri privati accreditati ricevono per visite ed esami – sono però insostenibili e inadeguate secondo chi lavora con il Servizio sanitario nazionale (Ssn).
Gli stessi privati che lavorano per conto del Ssn ritengono che “così sottocosto” non potranno continuare a lavorare per conto del pubblico e le liste di attesa finiranno per raddoppiare. Inoltre, sottolinea il Sole 24 Ore, “con la revisione delle tariffe potrebbero essere rinviate anche le nuove prestazioni a carico del Ssn come la procreazione assistita, nuovi test genetici e terapie oncologiche all’avanguardia attese dagli italiani da molto tempo”.
I LEA IN STALLO DA 7 ANNI
La crisi delle liste d’attesa e dell’aggiornamento delle tariffe per i Livelli essenziali di assistenza (Lea), ovvero le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale deve garantire – gratuitamente o dietro pagamento di un ticket nel Ssn o nei centri privati accreditati – a tutti i cittadini non è iniziata ora. Come ricorda Il Sole, l’attesa dura da 7 anni e interessa oltre 3mila tra prestazioni ambulatoriali e protesiche.
COME CAMBIEREBBERO LE TARIFFE
Quando ormai il nuovo tariffario sembrava pronto è emerso che, per compensare l’aumento dei costi delle nuove prestazioni mutuabili, sarebbe finito nel taglio delle tariffe a rimborso anche il taglio di quelle che nei Lea ci sono sempre state.
Stando al Sole, secondo il nuovo tariffario, “le visite specialistiche calano dai 23 ai 18 euro mentre per risonanze, tac e diagnostica per immagini il crollo è fino al 35%”. Ma applicando queste tariffe si rischia di andare incontro a una forte riduzione delle prestazioni e alla conseguente esplosione delle liste d’attesa.
PERCHÉ NON SONO SOSTENIBILI PER LE STRUTTURE…
Parla di tariffe “assolutamente inadeguate e irrealistiche, che porteranno in futuro enormi problemi” padre Virginio Bebber, presidente dell’Aris, l’associazione degli istituti socio-sanitari no profit di area cattolica, tra cui il Gemelli di Roma o le strutture Fatebenefratelli.
La Stampa porta quindi qualche esempio fornito dal centro studi dell’associazione. Nel caso di una colonscopia, per citarne una, la cui durata è di 30 minuti, occorrono un medico e due infermieri, l’uso di tecnologie e altri materiali, più un lavoro amministrativo.
La nuova tariffa prevede 95,90 euro per questa prestazione, tuttavia, spiega l’associazione, un medico costa 39 euro, due infermieri 35 euro, il ricondizionamento dell’apparecchiatura post erogazione 20 euro, la gestione della certificazione 4 euro, il risveglio 2 euro. Per un totale di 125 euro, ai quali vanno aggiunti 18 euro per la manutenzione degli strumenti tecnologici, 21 euro per l’ammortamento e 17 per i costi amministrativi. La struttura, dunque, perderebbe 85 euro.
Nel caso delle visite specialistiche – come quelle cardiologiche, ortopediche e neurologiche -, la cui tariffa è di 22 euro, la perdita sarebbe almeno di 25 euro.
… E PER I MEDICI
Già in trincea da anni e spesso col sogno di scappare dall’Italia, i medici sono tra coloro che, con il nuovo tariffario, riceverebbero il colpo di grazia. “Qui c’è un nodo di fondo che forse alcuni non hanno compreso”, ha detto Antonio Magi, segretario generale del Sumai-Assoprof, il Sindacato unico medicina ambulatoriale italiana e professionalità dell’area sanitaria.
“La sanità costa uguale nel privato e nel pubblico. C’è un problema di sostenibilità delle nuove tariffe, se una visita oculistica viene pagata circa 20 euro credo che ci sia un problema per un’azienda privata nell’erogare la prestazione visto che deve pagare lo specialista e coprire le spese per la struttura. Al medico gli diamo 5 euro? – rimarca Magi – Non si può scendere al di sotto di alcune soglie, ci rimettiamo tutti, anche la sanità pubblica e i cittadini”.
NON SOLO LISTE D’ATTESA INFINITE
Ma oltre al problema della possibile esplosione delle liste d’attesa si aggiungono anche altre criticità. Per la Società di scienze oftalmiche e l’associazione dei pazienti con malattie oculari, per esempio, un altro rischio che deriverebbe dal nuovo tariffario è quello di utilizzare materiali a basso costo provenienti dall’estero.
Per Michele Colaci, presidente di Confapi-Salute, invece, aumenterebbero le diseguaglianze territoriali in sanità poiché “le regioni del Nord che non sono in piano di rientro potranno modificare al rialzo le tariffe nazionali, quelle del Sud no”. E guardando alle regioni meridionali, Mariastella Giorlandino, amministratrice di reti Artemisia Lab e rappresentante dell’Unione ambulatori e poliambulatori, prevede un “fallimento delle strutture sanitarie del Sud, che potranno essere acquistate a basso costo dalle grandi multinazionali straniere”.
LE PRESTAZIONE CHE NON POSSONO ESSERE EROGATE
Per quanto riguarda la specialistica ambulatoriale, riferisce il Sole 24 Ore, si parla di “ben 2.108 voci di assistenza che solo alcune Regioni hanno cominciato a erogare pure in assenza del nuovo tariffario, mentre il precedente risale (con successivi aggiornamenti) addirittura al 1996”. Tra queste rientrano prestazioni che vanno dagli screening neonatali alla diagnostica per immagini di altissima precisione.
Per la protesica, invece, aggiunge l’articolo, “le voci rideterminate sulla base dei Lea 2017 sono 1.063 ma anche in questo caso l’innovazione tecnologica deputata a migliorare la vita di milioni di disabili rischia di restare ancora orfana di tariffe”.