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Ricercatori Stati Uniti Cina

Ricerca scientifica, tutte le tensioni tra Cina e Stati Uniti

I reciproci sospetti tra Cina e Stati Uniti stanno danneggiando la ricerca scientifica. Ecco come e quanto secondo un’analisi pubblicata da Nature

 

I ricercatori di Stati Uniti e Cina non collaborano più. O almeno, non come prima dell’avvento del Covid-19 e dell’acuirsi delle tensioni politiche tra i due Paesi. Ad affermarlo è un’analisi condotta da Jeroen Baas, direttore dell’analisi presso l’editore olandese Elsevier, per la rivista Nature.

I DATI

Secondo l’articolo, il numero di studiosi che dichiarano affiliazioni sia in Cina che negli Stati Uniti è diminuito di oltre il 20% negli ultimi 3 anni.

Baas ha esaminato gli autori di milioni di articoli nel database Scopus di Elsevier e ha scoperto che il numero di autori che hanno segnalato una doppia affiliazione Usa-Cina su almeno una pubblicazione in un anno era salito a più di 15.000 entro il 2018 per poi scendere a 12.500 nel 2021.

Grafico via Nature

Che il problema sia nei confronti della Cina lo dimostra il fatto che il numero globale di autori che rivelano affiliazioni multiple è, invece, continuato ad aumentare.

Grafico via Nature

Per la prima volta, fa sapere l’articolo, l’anno scorso è diminuito anche il numero di articoli frutto di collaborazioni tra autori statunitensi e cinesi, i due maggiori produttori di ricerca al mondo.

Da un’altra analisi citata da Nature non sono invece diminuiti gli articoli tra co-autori cinesi e dell’Unione europea.

LE MOTIVAZIONI

Gli studiosi affermano che la decrescita della collaborazione scientifica tra ricercatori americani e cinesi “sono almeno in parte il risultato della pandemia di Covid-19, ma anche di tensioni politiche”.

Scontri sul commercio internazionale, violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, militarizzazione del mar Cinese meridionale, sono solo alcuni degli esempi.

“Stiamo iniziando a vedere le dannose conseguenze che derivano dalla combinazione di una mobilità limitata e di una maggiore politicizzazione – ha dichiarato Joy Zhang, sociologa dell’Università del Kent a Canterbury, nel Regno Unito – Un tempo la doppia affiliazione era vista come un distintivo d’onore, ma ora è offuscata dalla preoccupazione dello spionaggio scientifico”.

Gli Stati Uniti, infatti, si legge in un rapporto dell’Fbi, temono che Pechino stia usando dei “fornitori non tradizionali di informazioni”, come docenti e ricercatori per passare materiale sensibile alla Cina offrendogli così un vantaggio competitivo.

LA CHINA INITIATIVE

Tra i motivi di tensione vengono citati gli effetti della controversa China Initiative, il progetto lanciato sotto l’amministrazione Trump dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, dall’Fbi e da altre agenzie federali statunitensi nel novembre 2018 per contrastare lo spionaggio cinese nelle aziende e nella ricerca americane, perseguendo le persone sospettate e bloccando il trasferimento di informazioni e tecnologie alla Cina.

L’iniziativa ha preso spesso di mira i ricercatori accademici per non aver rivelato i propri legami lavorativi con Pechino. A dicembre 2021, per esempio, il chimico e scienziato di fama mondiale Charles Lieber è stato condannato da un tribunale americano per tale motivo.

I ricercatori sostengono poi che, oltre alle restrizioni statunitensi in materia di visti e all’inasprimento dei controlli sulle esportazioni, China Initiative ha frenato i partenariati di ricerca bilaterali tra Usa e Cina e ha dissuaso gli scienziati cinesi dal visitare gli Stati Uniti.

Tuttavia, il 23 febbraio scorso il Dipartimento di Giustizia, secondo quanto riferito da Nature, ha annunciato “importanti modifiche al programma”: invece di concentrarsi solo sulla Cina sarà ampliato ad altri Paesi di interesse e, dunque, rinominato. I ricercatori si sono sentiti sollevati, ma sperano in un ulteriore riconoscimento dei danni subiti e temono che il danno alle collaborazioni con i loro omologhi in Cina sia duraturo.

ANCHE LA CINA HA LE SUE RESPONSABILITÀ

Nonostante China Initiative e l’atteggiamento statunitense, anche la Cina ha le sue responsabilità nel calo della collaborazione scientifica tra i due Paesi.

Jenny Lee, scienziata sociale presso l’Università dell’Arizona a Tucson e tra gli autori dell’indagine, ha riferito che nel 2020 il governo di Pechino ha invitato i ricercatori a prendere in considerazione la pubblicazione su riviste cinesi e a preferire la qualità alla quantità di lavori su riviste internazionali, il che potrebbe aver inciso nella diminuzione delle partnership.

LE CONSEGUENZE DELLA FINE DELLA COLLABORAZIONE

Secondo Deborah Seligsohn, politologa della Villanova University in Pennsylvania, il governo degli Stati Uniti sembra voler abbandonare il suo pluridecennale sostegno alla collaborazione scientifica con la Cina proprio quando alcune ricerche cinesi hanno raggiunto un livello di eccellenza mondiale.

“Se gli Stati Uniti smetteranno di collaborare con la Cina, taglieremo il nostro accesso a una parte enorme di ciò che accade nel mondo scientifico”, ha detto Seligsohn e Caroline Wagner dell’Università statale dell’Ohio ha aggiunto: “Purtroppo, tutto questo sembra essere di natura politica da entrambe le parti. La scienza ne soffrirà”.

Come ha scritto, infatti, The Atlantic già nel febbraio 2021, “è questa la filosofia che ha spinto la scienza degli Stati Uniti più avanti rispetto al resto del mondo. Può darsi che di questo modello abusino soggetti malintenzionati – forse anche delle spie – ma funziona comunque molto meglio di un’alternativa più restrittiva. Se gli statunitensi isoleranno le nostre comunità scientifiche in nome della sicurezza, sacrificheremo il nostro più grande vantaggio e la nostra stessa essenza”.

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