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Perché l’Italia batte Francia e Germania sul Fascicolo sanitario elettronico

L'approfondimento di Enrico Martial

Con il Covid, i fascicoli sanitari elettronici (FSE, in inglese EHR, Electronic Health Record) sono diventati un’urgenza. La disponibilità e l’accessibilità dei dati dei pazienti non soltanto consentono un risparmio economico nella presa in carico, ma riducono i tempi di valutazione delle condizioni sanitarie, con effetti diretti nella gestione della pandemia. L’Italia sembra più avanti: a fine marzo 2021 aveva già 47,3 milioni di fascicoli attivati, mentre la Germania ha iniziato solo da gennaio e la Francia conta di arrivare a 40 milioni di fascicoli solo nel 2022.

Dopo sedici anni di preparazione, molti dubbi e resistenze sulla sicurezza dei dati, la Germania si è decisa ad avviare il proprio fascicolo sanitario elettronico (elektronische Patientenakte – ePA) dal 1° gennaio 2021, come superamento dei sistemi frammentati in corso e con l’obiettivo di coprire progressivamente la popolazione iscritta a una delle 105 assicurazioni malattia obbligatorie.

Nato come progetto nel 2011, il FSE tedesco si è arenato per le complicazioni dovute sia alla tutela dei dati sensibili sia per l’articolazione mutualistica del sistema. Sulla spinta del Covid, dopo un progetto di legge di luglio, il 14 ottobre 2020 il Bundestag ha adottato la legge di regolazione dei dati personali, quindi il funzionamento del FSE tedesco e la sua creazione automatica. Come negli altri Paesi, il cittadino è il titolare dei dati, ha diritto di conoscerli e di verificare chi vi accede. L’attuazione richiederà del tempo: da metà 2021 i medici di famiglia tedeschi dovrebbero potersi connettere, solo dal 2022 vi saranno inclusi i referti, le radiografie, o le informazioni pediatriche, così come i dati storici delle vaccinazioni.

Per quanto la critica interna non manchi, l’Italia era più avanti e a maggio 2020 aveva attivato 13,7 milioni di fascicoli, pur con forti diversità per Regioni. In un convegno a Venezia, sette anni prima, il 14 ottobre 2013, Simone Paolucci di Lombardia Informatica contava già 6 milioni di cittadini iscritti al proprio FSE regionale. La svolta è stata impressa dal Covid: il governo ha adottato, con il decreto Rilancio del 19 maggio 2020, l’alimentazione automatica dei dati a meno di opposizione del paziente. Con il decreto Ristori del 28 ottobre è prevista la disponibilità dell’esito dei test antigenico sul FSE, attuata dall’11 dicembre 2020.

A fine marzo 2021 l’Italia aveva attivato 47,3 milioni di fascicoli sanitari elettronici, anche su impulso dell’Agenzia per l’Italia digitale (AGID). Su quattro Regioni in ritardo è stato esercitato l’intervento sostitutivo (di sussidiarietà verticale) dello Stato: Abruzzo, Campania, Calabria e Sicilia. A oggi le attivazioni sono completate o prossime al completamento in quasi tutte le regioni (l’ultima è l’Abruzzo). L’utilizzo si sta affermando proprio in queste settimane: i FSE vengono consultati dai medici e dalle aziende sanitarie, che iniziano ad alimentarli. Le disparità regionali sono ancora forti, ma una valutazione sarà possibile solo tra qualche mese, se i progressi e i tempi saranno analoghi a quelli delle attivazioni. Nel primo trimestre 2021, le aziende sanitarie di sette regioni e i medici di otto regioni consultavano i FSE a un tasso superiore al 90% e in tre lo alimentavano al 100%, mentre in tre regioni i medici hanno iniziato ad alimentarli, con tassi dal 20% all’80%.

Lo scambio dei dati tra le Regioni (che consente anche la mobilità dei pazienti) è stata rafforzata dalla “Infrastruttura Nazionale per l’Interoperabilità” (INI) prevista dalla legge di bilancio 2017 (la n.232/2016), e dalla condivisione dello standard del database (in sigla HL7 DCA cioè “Health Level 7 / Clinical Document Architecture”). Le Linee guida con lo Standard HL7 risalgono al 31 marzo 2014 e la scelta di allora ha facilitato molti passaggi successivi.

In Francia la situazione è migliore della Germania, ma è indietro rispetto all’Italia. A luglio 2020 i fascicoli erano 9,3 milioni, l’obiettivo governativo è di raggiungere i 40 milioni di fascicoli sanitari nel 2022. La legge del 24 luglio 2019 (Ma Santé) ha dato luogo a un piano di riorganizzazione, con maggiori presidi territoriali e un programma di digitalizzazione. Un programma governativo seguito a una consultazione “Ségur de la Santé” (di cui ha parlato Startmag.it) ha assegnato 2 miliardi di euro alla digitalizzazione: ricetta dematerializzata, contenuti e termini della telemedicina, creazione di un Health Data Hub statale, avviato il 29 novembre 2019.

Alcuni problemi sono però rimasti aperti: per esempio, lo standard di interoperabilità francese (CI-SIS) del 2012, pur riferito anche allo standard HL7 era di orientamento e non prescrittivo. Il rapporto Isaac-Sibille all’Assemblea nazionale solo il 22 luglio 2020 invitava all’adozione prescrittiva anche in Francia dello standard HL7, promosso anche dall’Unione europea. La creazione automatica del FSE francese, prevista dalla legge del 2019, entrerà quindi in esercizio dal 1° luglio 2021. Occorre del tempo sia per la transizione dai diversi software attualmente impiegati – che cesseranno la loro compatibilità – sia per l’attuazione in un sistema di gestione sanitaria articolato e anche in questo caso mutualistico, non universale come quello italiano.

Il confronto dei tre grandi Paesi fondatori potrà cambiare nei prossimi mesi, la classifica potrà rovesciarsi, ma va ricordato che altri Stati membri hanno fatto importanti progressi sul Fascicolo sanitario. La Danimarca (MedCom), l’Estonia (che è considerata un vero campione europeo) o la Svezia (INERA-NPÖ) hanno costituito o stanno completando i propri FSE. Ci sono sviluppi anche a livello regionale: per esempio, l’Andalusia – con il sistema Diraya – già nel 2008 con un proprio FSE copriva il 90% della popolazione, gestiva le ricette elettroniche per 3335 farmacie per 4900 medici, così come le prenotazioni o la gestione delle cure specialistiche.

D’altra parte, va ricordato che il Fascicolo sanitario elettronico ha una dimensione europea, che si concentra sull’interoperabilità con una Raccomandazione della Commissione del 6 febbraio 2019, con i fondi della Connecting Europe Facility, e con un primo scambio tra una ventina di Paesi.

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