La sentenza del Tar del Lazio che esenta i medici di famiglia dall’assistenza domiciliare ai malati Covid è vergognosa. Ed è, non solo, un colpo micidiale al contrasto del Covid, ma un salto indietro nella civiltà dell’assistenza.
Secondo il Tar i medici di famiglia non devono essere distratti dal curare le altre patologie rispetto al Covid. Ma, nella pratica di migliaia di persone, malate a casa, chi e come, secondo il Tar, riesce a fare questa distinzione? Il medico di famiglia va dal proprio paziente cardiopatico o diabetico a sospetto Covid e non dal Covid “puro”? Toccherà inventare un principio di infarto o una fitta al ginocchio o una crisi glicemica per richiedere, per un’anziano, la visita a casa del proprio medico?
Il malato Covid ha bisogno, quando l’infezione non è esplosa in crisi respiratoria e polmonare che necessita, per questo, di assistenza strumentale particolare (terapia intensiva), di cure farmacologiche e, in qualche caso, di supporto di ossigeno.
Tranne l’aspetto della protezione dal contagio, cui i medici di famiglia possono facilmente attrezzarsi (come fanno milioni di loro colleghi, di infermieri e di familiari dei pazienti), non è diverso curare a casa il Covid da ogni altra patologia.
Secondo il Tar la funzione di assistenza domiciliare spetta solo alle Usca. Che non esistono ancora dappertutto e, soprattutto, non sono visibili ai cittadini. Per esperienza diretta ho verificato che, se il medico di base si astiene dall’intervento a casa, non hai ancora l’Usca ma solo due strumenti: la corsa in ospedale (se non sei paraplegico e allettato) con la propria automobile e il 118. Che poi, non assiste ma ti ospedalizza.
Trovo ripugnante il plauso, alla sentenza del Tar, dell’Ordine dei Medici e del sindacato dei medici di base.
Come al solito si dimostra che i singoli medici di base, molto spesso eroici in questa epidemia, sono migliori, ma assai, dei loro organi corporativi e sindacali. E il governo sappia: si valuteranno tanti aspetti della gestione dell’emergenza, delle cose fatte bene o fatte male, dei ristori sufficienti o meno, dei colori delle zone (giallo, arancione e rosse), dell’indice di contagio qui o lì, ma la vera buccia di banana o criterio di giudizio della classe dirigente, nazionale e locale, su questa epidemia sarà la medicina territoriale: quanta e quale alternativa esiste, per i cittadini, nelle loro case, all’ospedale.
E, a otto mesi dall’inizio dell’epidemia, su questo le carte non sono in regola: né per il governo nazionale e né per le Regioni. Poi magari dipenderà da competenze e ambiti di potere o pratiche burocratiche (concorsi ecc.). Cioè, da problematiche di azzeccagarbugli.
Applausi alla Regione Lazio che ricorre contro la vergognosa sentenza del Tar.