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Nestlé Zucchero

Nestlé è troppo zuccherosa con i Paesi più poveri

L'Oms raccomanda di non utilizzare zuccheri o dolcificanti negli alimenti per bambini di età inferiore ai tre anni. Ma, secondo uno studio di Public Eye, Nestlé distribuisce prodotti molto più ricchi di zucchero nei Paesi a basso e medio reddito, contribuendo all'aumento dell'obesità e delle malattie a esso collegate. Tutti i dettagli

 

“Per Nestlé non tutti i bambini sono uguali”. Ad affermarlo è Public Eye, un’organizzazione per il rispetto dei diritti umani da parte delle aziende, che ha realizzato un rapporto in cui afferma che la multinazionale svizzera riserva un diverso trattamento ai bambini dei Paesi occidentali rispetto a quelli dei Paesi a basso e medio reddito, a cui vengono forniti prodotti con una maggiore quantità di zucchero.

Questo grave doppio standard favorisce l’aumento già in corso dell’obesità tra i bambini anche in quei luoghi dove spesso si sovrappone il dramma della malnutrizione perché gli alimenti ad alto contenuto di zuccheri, grassi e sale sono più economici, ma anche meno ricchi di micronutrienti.

I NUMERI DI NESTLÉ NELL’ALIMENTAZIONE PER L’INFANZIA

Nestlé, la più grande azienda di beni di consumo al mondo con un valore di 265,57 miliardi di dollari ad aprile 2024 e con il suo controllo del 20% del mercato degli alimenti per l’infanzia, valutato in quasi 70 miliardi di dollari, è uno dei giganti del settore.

In particolare, riferisce Public Eye, con oltre 2,5 miliardi di dollari di vendite mondiali nel 2022, Cerelac e Nido sono tra i marchi di alimenti per l’infanzia più venduti da Nestlé nei Paesi a basso e medio reddito. Questi prodotti, secondo l’organizzazione, vengono pubblicizzati dalla multinazionale “in modo aggressivo” come “essenziali per lo sviluppo sano dei bambini nei suoi principali mercati in Africa, Asia e America Latina”.

Fonte: Public Eye

LO STUDIO

Nello studio dal titolo “Come Nestlé fa appassionare i bambini allo zucchero nei Paesi a basso reddito”, Public Eye e International Baby Food Action Network (Ibfan) hanno analizzato circa 150 prodotti venduti in questi Paesi da Nestlé.

È emerso che quasi tutti i cereali per l’infanzia Cerelac esaminati contengono zuccheri aggiunti – in media quasi 4 grammi per porzione, pari a circa una zolletta di zucchero – nonostante siano destinati ai bambini a partire dai sei mesi di età.

Fonte: Public Eye

DUE PESI DUE MISURE

La quantità più alta – 7,3 grammi per porzione – è stata rilevata in un prodotto venduto nelle Filippine. Inoltre, la maggior parte dei prodotti di latte in polvere Nido per bambini da uno a tre anni esaminati contiene anche zuccheri aggiunti, in media quasi 2 grammi per porzione. Il valore massimo (5,3 grammi) è stato rilevato in un prodotto venduto a Panama.

Questi stessi prodotti, però, in Svizzera e nei principali mercati europei dell’azienda, vengono venduti da Nestlé senza zuccheri aggiunti, come raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per i bambini fino ai tre anni.

Tra i Paesi che, invece, ricevono un trattamento diverso vengono citati India, Pakistan, Senegal, Nigeria, Sudafrica, Etiopia, Tailandia, Indonesia, Brasile e Messico.

Fonte: Public Eye
Fonte: Public Eye

STRATEGIE DI MARKETING INGANNEVOLI?

Public Eye, che chiede quindi a Nestlé di porre fine a queste pratiche pericolose e di smettere di aggiungere zucchero nei prodotti per neonati e bambini sotto i tre anni in ogni parte del mondo, afferma poi che sebbene la multinazionale raccomandi pubblicamente di evitare gli alimenti per l’infanzia che contengono zuccheri aggiunti, sfrutta la debolezza delle normative esistenti per continuare a vendere tali prodotti nei Paesi a basso reddito.

L’indagine inoltre dimostra che Nestlé mette in pratica strategie di marketing ingannevoli, come l’utilizzo di professionisti medici e influencer sui social media per conquistare la fiducia dei genitori.

CREARE DIPENDENZA (E OBESITÀ)

Ma il consumo di prodotti troppo ricchi di zuccheri, soprattutto nei primi anni di vita, crea una preferenza per quei cibi che dura per sempre e che aumenta il rischio di sviluppare obesità e altre malattie croniche. Inoltre, come hanno denunciato anche pediatri ed esperti di nutrizione infantile intervistati da Public Eye è necessario tenere in considerazione l’epidemia di obesità che colpisce i Paesi a basso reddito (e il mondo in generale).

Ma anche senza voler pensare male o scadere nel complottismo, è ormai un dato di fatto che molte case farmaceutiche stanno investendo in trattamenti per curare proprio l’obesità e il sovrappeso che, senza un cambio di tendenza, secondo World Obesity, interesseranno la maggior parte della popolazione mondiale (51%, ovvero oltre 4 miliardi di persone) entro il 2035 e, di queste, 1 persona su 4 (quasi 2 miliardi) sarà affetta da obesità.

Quella infantile potrebbe più che raddoppiare (+100% per i maschi e +125% per le femmine) entro il 2035 rispetto ai livelli del 2020 e nei Paesi a basso o medio reddito, in Asia e Africa, ci si attende l’aumento maggiore.

Di un patto non dichiarato tra multinazionali alimentari e farmaceutiche, unite dal comune interesse del profitto, aveva anche scritto nel suo romanzo-reportage “La morte è servita” il giornalista e scrittore Guido Mattioni, che apre il libro con la citazione: “La gente viene nutrita dall’industria alimentare, che non si interessa della salute, ed è curata dall’industria farmaceutica che non si interessa dell’alimentazione”.

LA RISPOSTA DI NESTLÉ

Un portavoce di Nestlé, in risposta all’indagine, ha dichiarato che nella categoria “altamente regolamentata” degli alimenti per l’infanzia sono sempre state rispettate “le normative locali o gli standard internazionali, compresi i requisiti di etichettatura e le soglie sul contenuto di carboidrati che comprendono gli zuccheri”.

L’azienda ha inoltre affermato che “le variazioni nelle ricette dipendevano da fattori quali la regolamentazione e la disponibilità di ingredienti locali”.

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