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Medici d’Arabia, ecco cosa offrono le petromonarchie al personale sanitario

Non solo Roberto Mancini. Anche medici e infermieri fuggono in Arabia Saudita e altri Paesi del Medio Oriente come Emirati Arabi Uniti e Qatar. Ad attrarli condizioni economiche decisamente più vantaggiose, ma anche migliori condizioni lavorative. Fatti, numeri e commenti

 

I sistemi sanitari di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti chiamano e medici e infermieri italiani rispondono. Per Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato Nursing Up, sono le nuove “isole felici” del personale sanitario.

E come dargli torto? Dalle prime verifiche del sindacato risulta che lo stipendio base mensile – esentasse – di un infermiere negli Emirati Arabi è di 3.400 euro netti e può arrivare fino a 6.000 euro, a cui si aggiungono alloggio, benefit extra, due viaggi pagati per l’Italia e supporto se a trasferirsi sono anche coniuge e figli.

L’Italia, invece, offre circa 1.400/1.500 euro al mese, turni massacranti, carenza di personale e sovente violenze giornaliere con cui fare i conti. Condizioni a cui era stata messa una pezza peggio del buco con l’escamotage dei medici a gettone procacciati da cooperative che tentano di sostituirsi al Servizio sanitario nazionale (Ssn).

MEDICI E INFERMIERI PRONTI A PARTIRE PER IL MEDIO ORIENTE

I dati di cui preoccuparsi riferiti da De Palma non riguardano partenze effettive di medici e infermieri verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi (tra le preferenze seguono poi Qatar e Bahrein) bensì la disposizione data dal personale sanitario che, se chiamato, si dice pronto a fare le valigie.

“Le notizie delle ultime ore, che ci arrivano dal nostro contatto diretto con agenzie internazionali specializzate nel reclutamento di personale sanitario, e confermate anche dallo zelante lavoro del professor Foad Aodi, presidente Amsi (Associazione medici di origine straniera in Italia), evidenziano apertamente come siano salite adesso a 550 le disponibilità di massima a partire, da qui alle prossime settimane, da parte di professionisti, in particolare provenienti da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna”, ha spiegato il presidente di Nursing Up.

Per Aodi, tuttavia, non è solo lo stipendio a fare gola, ma “si cercano qualità di vita e migliori condizioni di lavoro”.

IL BOOM DI RICHIESTE E IL RISCHIO ESODO

La voglia di partire verso condizioni lavorative più allettanti non è certo nuova ma negli ultimi tre mesi c’è stato un boom che ha fatto impennare le richieste del 40%, complice forse anche il recente esempio del trasferimento di personaggi famosi come l’ex Ct della nazionale Roberto Mancini.

Ma aumentando di ora in ora il numero di professionisti disposti a cambiare vita, per De Palma il rischio di “un vero e proprio esodo di operatori sanitari verso il Medio Oriente” è molto concreto. E sorge spontaneo chiedersi: chi curerà il nostro Paese che invecchia sempre di più?

CON LE PETROMONARCHIE NON C’È COMPETIZIONE

“È triste e lascia decisamente l’amaro in bocca dover constatare che l’Italia continua a formare le migliori eccellenze nel mondo sanitario, per poi lasciarsele sfuggire e decidere, incredibilmente, di rimpiazzarle, come intendono fare dal ministero della Salute, con professionisti provenienti dall’estero, che non possiedono la nostra stessa formazione”, afferma De Palma.

L’Italia ha da sempre un problema con il finanziamento della spesa sanitaria pubblica mentre le petromonarchie, ricorda il presidente di Nursing Up, vi investono circa il 10% del proprio Pil “e il gap con nazioni come la nostra, organizzativamente parlando, rischia di diventare incolmabile”.

Riguardo alla spesa sanitaria, come riportato recentemente dalla Fondazione Gimbe, 13 Paesi in Europa ci superano, siamo il fanalino di coda fra le nazioni del G7 e stiamo sotto di 0,3 punti sulla media dell’area Ocse.

COSA CERCA IL MEDIO ORIENTE

I profili più richiesti da strutture private all’avanguardia come il Cleveland Hospital e l’NMC di Abu Dhabi, secondo De Palma, sono “medici e infermieri specializzati, in particolare con esperienze pregresse per pronto soccorso, chirurgia generale, pediatria e sala operatoria, nonché con anni di esperienza nel settore della chirurgia estetica, micromondo sempre più all’avanguardia in Medio Oriente, dove gli stipendi dei professionisti lievitano ulteriormente”.

Per De Palma, inoltre, gli italiani avrebbero una marcia in più rispetto ad altri europei: “Con certezza, tra i professionisti europei, mi viene confermato che gli italiani sono i più richiesti, e non solo per la loro brillante formazione di base e le loro competenze, ma soprattutto per quelle qualità umane, per quel carisma che, mi dicono, li fa addirittura preferire ai colleghi tedeschi e francesi”.

Stando ai dati dell’Associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi) e dell’Unione medica euro mediterranea (Umem), dei 500 professionisti che dall’Italia sono pronti a partire, 250 sono medici specialisti, 150 sono infermieri e 100 sono medici generici, fisioterapisti, farmacisti, podologi e dietisti.

I REQUISITI

Per accedere a una super struttura del Medio Oriente, Aodi ricorda che “il curriculum minimo varia in base alla professione: gli infermieri devono essere in attività da almeno 2 anni, i medici specialisti da 3 anni e i medici generici da 5 anni”. Servono comunque diploma di formazione, specializzazione, certificato di buona condotta del ministero e dell’Ordine professionale alla mano e ovviamente un ottimo inglese.

Ma con questi requisiti, iniziare a lavorare è più facile che in una struttura privata italiana, dove invece di tre mesi passa un anno e mezzo di attesa per essere ammessi dalla presentazione della domanda.

PERCHÉ IL MEDIO ORIENTA VA A CACCIA DI PROFESSIONISTI SANITARI

Come spiegano Amsi e Umem, nei Paesi del Golfo il fabbisogno di personale sanitario è in crescita sia per i grandi investimenti che sono stati fatti in ospedali e centri di alta specializzazione sia perché anche la popolazione aumenta e invecchia. A tal proposito si stima infatti che entro il 2030 in Arabia Saudita serviranno 44.000 medici e 88.000 infermieri.

Inoltre, aggiunge Aodi, i Paesi del Golfo “hanno pochi laureati in medicina perché i ragazzi preferiscono optare per facoltà economiche o tecnologiche” e già il 90% dei laureati in materie sanitarie che operano lì provengono da “Palestina, Egitto, Siria, Giordania e Marocco, ma non bastano”.

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