Ridurre l’uso dei combustibili fossili e utilizzare energie rinnovabili sembra non essere sufficiente, nelle condizioni attuali, per intervenire drasticamente contro il cambiamento climatico e nonostante scienziati e ingegneri di tutto il mondo cerchino di progettare macchine che aspirano il carbonio dall’aria e centrali elettriche in grado di immagazzinarlo in profondità nel sottosuolo, è ormai chiaro per gli esperti che la lotta al cambiamento climatico non si limita alla riduzione delle emissioni di carbonio.
Living Carbon, una startup nata quattro anni fa a San Francisco, ha pensato quindi di “riequilibrare responsabilmente il ciclo del carbonio del pianeta utilizzando il potere intrinseco delle piante”, ovvero facendo largo a milioni di alberi geneticamente modificati che crescono rapidamente e catturano più carbonio.
L’intenzione è quella di posizionarsi a metà tra le soluzioni al cambiamento climatico basate sulla natura, come il rallentamento della deforestazione, e le soluzioni ingegneristiche.
COSA FA E CHI C’È DIETRO LIVING CARBON
Living Carbon è una startup composta da biologi, ecologi, forestali, botanici e ricercatori che si dedicano a migliorare la redditività, la scalabilità e l’efficienza dei progetti di rimozione del carbonio utilizzando la scienza.
Tra i suoi co-fondatori c’è anche Maddie Hall, ex dipendente di OpenAI (la software house che ha sviluppato ChatGPT) che, stando a Quartz, voleva dare ai biologi le stesse opportunità che hanno i ricercatori di intelligenza artificiale.
“Entro il 2030 – ha detto – possiamo piantare abbastanza alberi da rimuovere un gigatone di carbonio”. Gli scienziati stimano che, per mantenere il clima terrestre a una temperatura stabile, entro la metà di questo secolo si dovranno eliminare ogni anno circa 10 gigatoni di carbonio dall’atmosfera.
GLI ALBERI GENETICAMENTE MODIFICATI
Uno degli ultimi progetti ha fatto raccogliere a Living Carbon 21 milioni di dollari all’inizio di quest’anno. L’idea è quella di piantare negli Stati Uniti 5 milioni di alberi geneticamente modificati. Si tratta di pioppi (noti per la loro capacità di ridurre e distruggere le tossine industriali) in grado di crescere il 50% più velocemente e catturare il 27% di carbonio in più, almeno in condizioni di serra, stando a uno studio in pre-print pubblicato su bioRxiv.
L’azienda spera inoltre che possano essere utili anche per combattere le specie invasive e per creare una copertura forestale che favorisca il ritorno delle piante autoctone.
LA BUSINESS STRATEGY
Il modello di business di Living Carbon, spiega Quartz, consiste nello sfruttare gli incentivi per la riduzione delle emissioni di carbonio forniti da governi e organizzazioni non profit investendoli in persone e aziende che possiedono terreni degradati dal punto di vista ambientale a causa dell’uso industriale o agricolo, che corrispondono a circa 133 milioni di acri negli Stati Uniti.
“Living Carbon pagherà per piantare i suoi alberi sul terreno e poi lavorerà con terze parti come Watershed per misurare l’impatto di queste piantine. Poi, può vendere i crediti per il carbonio immagazzinato alle aziende che cercano di compensare le loro emissioni. Oppure, le aziende possono collaborare direttamente con Living Carbon e utilizzare gli alberi per i propri calcoli interni sulle emissioni di carbonio”.
COSA NE PENSANO GLI ESPERTI
Tuttavia, sebbene alcuni esperti reputino il progetto interessante e innovativo, non tutti sono ottimisti sull’impatto che potrà avere perché questo dipende da molti fattori e ci vorranno anni per quantificarlo.
Ci si interroga, per esempio, su che fine faranno gli alberi (e anche il carbonio) quando moriranno, se le tipologie di alberi selezionate siano adatte alle aree in cui vengono piantate o se la loro crescita rapida richieda troppa acqua, ma anche se la crescita di alberi in stile piantagione, concentrata su un numero ridotto di specie, possa essere soggetta a parassiti e agenti patogeni.
OSTACOLI BUROCRATICI
Inoltre, secondo il New York Times, anche se Living Carbon riuscisse nell’impresa, dovrebbe superare altri ostacoli. Infatti, le principali organizzazioni che certificano le foreste sostenibili vietano l’utilizzo di alberi ingegnerizzati e alcune impediscono alle aziende associate anche di piantare alberi ingegnerizzati all’estero. A oggi poi l’unico Paese in cui si sa che è stato piantato un gran numero di alberi geneticamente modificati è la Cina.
LE CRITICHE
Infine, Living Carbon deve fare i conti anche con gli ambientalisti che hanno apertamente criticato l’iniziativa. Il Global Justice Ecology Project, per esempio, ha definito gli alberi dell’azienda “minacce crescenti” per le foreste e ha espresso allarme per il fatto che il governo federale abbia permesso loro di eludere la regolamentazione, aprendo la porta a piantagioni commerciali molto più velocemente di quanto accada di solito con le autorizzazioni per organismi geneticamente modificati.