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Lezioni Covid

Covid, tutti i fallimenti di Stati, regioni e Ue

L'intervento di Cesare Greco, professore associato di Cardiologia all'università La Sapienza di Roma

La pandemia che sta ancora colpendo il mondo ed in particolare l’Europa ha arrecato danni per sanare i quali occorrerà molto tempo e fatica. Questo senza contare la scia di lutti e di conseguenze a medio e lungo termine sulla salute di quanti ne sono stati vittime. Ma ha anche impartito alcune lezioni delle quali tenere conto e che impongono un cambiamento sostanziale della visione del mondo così come si era andata formando negli ultimi decenni.

Sul piano internazionale ha svelato profili oscuri della globalizzazione, mettendo in evidenza come, senza una omogeneità dei sistemi politici e senza una diffusa e fortemente condivisa cultura di pace e collaborazione, questa può diventare un ulteriore motivo di squilibrio ed essere sfruttata per motivi egemonici dalle grandi potenze. Sul piano europeo ha messo in luce le debolezze e le criticità dell’integrazione, acuite dalla sfrenata delocalizzazione di molte produzioni, rivelatesi poi strategiche, verso mercati considerati economicamente più convenienti.

Sul piano nazionale, infine, ha evidenziato la debolezza di una classe politica incapace di immaginare un modello di società e le direttrici lungo le quali realizzarlo. In particolare la crisi sanitaria ha finito per presentare il conto per una serie di riforme sbagliate e demagogiche.

Lo tsunami pandemico non rimarrà senza conseguenze né sul piano globale né sul piano continentale né sul piano nazionale, e gli equilibri che ne risulteranno saranno fortemente influenzati dalla capacità di ciascuno di uscire prima possibile dalla crisi e ripartire in sicurezza e con efficacia.

In primo luogo, già al suo esordio, la pandemia ha messo in luce l’incapacità a far fronte, con la stessa rapidità con cui il virus colpiva fette esponenzialmente sempre più ampie di popolazione, persino alle esigenze di protezione degli stessi operatori sanitari e di reperimento delle strumentazioni in grado di trattare i casi più gravi. L’Europa, in particolare, si è scoperta impreparata e sguarnita sul piano logistico proprio perché non in grado di produrre al suo interno gli strumenti necessari.

La mancanza di dispositivi di protezione individuale e di macchine per il supporto terapeutico da un lato ha facilitato e amplificato la capacità infettante del virus fino a scatenare una vera crisi di panico con accaparramento delle risorse disponibili, affannosa ricerca di soluzioni su altri mercati e lievitazione dei prezzi; dall’altro lato ha favorito la nascita di improbabili e opache società di consulenza e intermediazione, spesso improvvisate e finalizzate all’ottenimento di guadagni speculativi. Praticamente quasi tutti i paesi Ue sono stati così costretti a ricorrere al soccorso dei colossi cinesi e indiani capaci di produzioni di massa a basso costo ma di opaca verificabilità.

Ma l’Europa ha mostrato la sua debolezza e impreparazione soprattutto quando è iniziata la corsa alla realizzazione dei vaccini. Non c’è stata nessuna azienda italiana, francese o tedesca in grado di approntare e produrre alcunché di originale. Nello stesso tempo la burocrazia di Bruxelles non è riuscita a concludere accordi che potessero assicurare un approvvigionamento certo e costante. Si è cercato di tirare sul prezzo, finendo per pagare un costo altissimo sia a causa dei ritardi nella messa in sicurezza della popolazione, sia per aver scoperto in ritardo che, chi aveva accettato i prezzi di mercato, era stato nei fatti favorito nelle consegne, potendo così tornare prima alla normalità.

In balía delle convenienze nazionali di Stati Uniti, Inghilterra, Russia, Cina, l’Europa si è ritrovata gigante finanziario ma nano industriale e politico.

È necessario che l’Europa comprenda in pieno questa lezione, riportando al proprio interno produzioni strategiche la cui qualità è, oltretutto, in grado di garantire meglio di chiunque altro. È altrettanto necessario, però, che il sistema europeo sia rimesso in sicurezza con il concorso di tutti e senza concorrenza tra i paesi membri dell’Unione. Nessuno sarebbe in grado di farlo da solo.

In Italia tutto ciò si è amplificato al punto da porci in cima alle classifiche di morbilità e mortalità, nonostante le ottimistiche e autocelebranti affermazioni dei primi tempi. Il motivo è stato la scellerata organizzazione di un sistema sanitario soffocato dalla burocratizzazione e schizofrenico nel suo decentramento.

Il sistema regionale è fallito, e non solo in quelle regioni che neanche prima del Covid riuscivano a garantire un livello di assistenza decente, ma anche dove le politiche sanitarie si erano indirizzate nel favorire le grandi eccellenze per le grandi patologie degenerative, trascurando la medicina del territorio. Tutto ciò ha favorito uno sviluppo a macchia di leopardo delle infezioni e persino sulle vaccinazioni sono mancate una visione unitaria ed una strategia per consentire al paese una politica coerente. Le esigenze politiche locali hanno infine determinato decisioni di spesa più legate a motivi di propaganda che all’efficacia delle misure adottate.

Il governo Draghi sta tentando di porre un freno a tutto questo, ma per riuscirci ha dovuto fare ricorso all’aiuto delle Forze Armate, certificando, in tal modo, il fallimento dell’amministrazione civile. In condizioni di crisi improvvise e catastrofiche in Italia si è sempre fatto ricorso alle capacità logistiche e all’abnegazione dell’esercito, ma in questo caso i militari sono dovuti intervenire persino per garantire una efficace e omogenea campagna vaccinale, un compito non legato a qualcosa di improvviso e catastrofico, ma precipuo di un sistema sanitario appena decente.

La politica si fermi a ragionare sulle dure lezioni inferte dal Covid. È indispensabile prendere coscienza del fatto che il nostro sistema sanitario va riformato in fretta e tolto dal controllo delle regioni che hanno mostrato tutti i limiti della loro azione di governo, trasformandola spesso in una enclave clientelare e di faraonici sprechi. La sanità va riportata alla propria funzione, ovvero garantire per tutti i cittadini e omogeneamente su tutto il territorio nazionale quel diritto alla salute sancito in Costituzione. Il Covid ha solo smascherato la finzione della sanità migliore del mondo, il mantra che per anni ci siamo sentiti ripetere mentre si tagliava in assistenza e si distruggeva la sanità territoriale, ma si sprecavano enormi risorse a scapito dell’assistenza; non ha provocato la sua crisi, l’ha solo messa inequivocabilmente sotto gli occhi di tutti.

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