skip to Main Content

SCHEER Lettera 100 Scienziati E-cig

Le e-cig possono aiutare a smettere di fumare prodotti a combustione?

Secondo un editoriale della rivista Nature Medicine, negli adulti già tabagisti le e-cig possono essere una alternativa importante e meno pericolosa al fumo abituale di sigarette. Tutti i dettagli

Le sigarette elettroniche (e-cig) possono rappresentare una exit strategy dal fumo tradizionale e, in quanto tale, essere incoraggiate dai governi che intendono ridurre la propria spesa sanitaria migliorando al contempo la salute dei propri cittadini? Se ne parla da tempo e se ne parla pure in un editoriale pubblicato sulla rivista Nature Medicine.

COSA DICE L’ARTICOLO SU NATURE

Secondo le evidenze disponibili, dalla recente revisione sistematica della letteratura condotta dalla Cochrane Library (che sottolinea come esista un elevato livello di certezza sull’efficacia delle e-cig nel raggiungere percentuali di cessazione significativamente più elevate rispetto alla terapia nicotinica sostitutiva) all’esame dei principali dati ottenuti negli studi di popolazione che integrano le evidenze ottenute negli studi randomizzati: la risposta al quesito sarebbe positiva.

Analizzando per esempio i dati che arrivano da Paesi anglofoni l’uso di e-cig si è accompagnato, sia in UK sia in USA, a un incremento della percentuale di cessazione dal 10 al 15%. Ciò ha indotto le Autorità Sanitarie britanniche ad introdurre le e-cig nelle strategie adottate nei centri antifumo del territorio nazionale.

Anche i dati di mercato indicano che l’introduzione delle e-cig ha consentito di ridurre la vendita di sigarette, in maniera molto più rapida rispetto al passato. Esistono inoltre evidenze che mostrano come politiche che hanno ristretto l’uso di e-cig abbiano, non intenzionalmente, aumentato il fumo di sigarette (come avvenuto nel Minnesota).

Naturalmente, nemmeno le e-cig sono prodotti a rischio zero ma anche in questo caso i dati a nostra disposizione suggeriscono che siano meno pericolose delle sigarette e pare che ciò sia vero anche nel lungo termine, visto che il loro aerosol contiene livelli di sostanze dannose o potenzialmente tali, fino al 95% in meno rispetto al fumo di sigaretta. Il rischio assoluto sull’apparato cardiovascolare, polmonare, riproduttivo esiste ma va sempre posto in relazione a quello significativamente più elevato del fumo di sigaretta.

Se le e-cig possono rappresentare un rischio di dipendenza da nicotina per alcuni giovani, i dati ci dicono che negli adulti già dipendenti dalle sigarette fungono anche da alternativa importante e meno pericolosa al fumo abituale di sigarette. Evidenze consistenti indicano che le e-cig aiutano alcuni adulti a smettere di fumare.

COSA FANNO I VARI STATI SULLE E-CIG

Quel che è certo, è che al momento nel mondo non esiste una politica unitaria sul modo di inquadrare le sigarette elettroniche. In generale, una politica di ampia apertura è stata adotta da UK e Nuova Zelanda e di parziale apertura da parte di Canada, USA rispetto, ad esempio, all’Australia storicamente su posizioni di rigido proibizionismo.

E IN ITALIA?

La medesima posizione degli autori del pezzo pubblicato su Nature è condivisa da diversi scienziati italiani. “Dodici milioni e 400mila fumatori in Italia sono la prova che il proibizionismo non paga”, ha detto per esempio Claudio Zanon, direttore scientifico di Motore Sanità, nel corso dei lavori della Winter School 2023 di Pollenzo (Cuneo), durante la quale è stata presentata la monografia ‘Riduzione del rischio come strategia per un futuro senza fumo‘.

“Un dato che è anche il risultato delle politiche di prevenzione finora portate avanti che, evidentemente, non hanno funzionato”, è l’amaro commento di Luciano Flor, già direttore generale Area Sanità e Sociale Regione Veneto. “Fermo restando che la proposta numero uno è smettere di fumare – ha osservato – i professionisti e gli esperti di settore ritengono che occorra intraprendere una strada basata sulla riduzione del rischio attraverso tutti gli strumenti disponibili e le alternative messe in campo”.

LA SITUAZIONE ITALIANA IN NUMERI

Dal convegno è emerso come in Italia solo 13mila fumatori si rivolgono ai centri antifumo (268 in tutto, sparsi nel nostro Paese): una percentuale molto piccola (inferiore all’1%), considerato che, per effetto della combustione del fumo di sigaretta, muoiono ogni anno circa 93mila persone in base alle indicazioni del ministero della Salute. Le percentuali di cessazione, pur in osservanza delle linee guida, sono modeste e certamente inferiori a una percentuale del 50% dei soggetti trattati con un follow-up di 3 anni.

“Negli ultimi anni – ha spiegato Fabio Beatrice, primario emerito di Otorinolaringoiatria a Torino, fondatore Centro antifumo Ospedale San Giovanni Bosco Torino e direttore scientifico del Board di Mohre – il dibattito scientifico è soprattutto focalizzato sui prodotti senza fumo che, secondo alcuni, rappresentano un ulteriore rischio per la questione delle dipendenza da nicotina, mentre per altri esperti rappresentano una buona opportunità di riduzione del rischio legato alla combustione per tutti i fumatori che non riescono a smettere o non vogliono smettere”. Per Beatrice, i prodotti innovativi potrebbero rappresentare “una forma di prevenzione parziale nei fumatori
incalliti”.

“Pur non risolvendo la questione della dipendenza – ha precisato Beatrice – abbattono di molto la tossicità da combustione a cui sono legate la maggior parte delle malattie indotte dal fumo di sigaretta. Il ministero della Salute della Gran Bretagna lo considera non a caso un’indicazione utile alla salute pubblica”.

Pasquale Caponnetto, professore associato in Psicologia clinica all’Università di Catania e componente del Center of Excellence for the Acceleration of Harm Reduction (Coehar), ha posto l’attenzione su un altro dato: “Assistiamo a una proliferazione scientifica senza precedenti da ogni parte del globo e si tratta di ricerche internazionali che, per la maggioranza, dimostrano il 90% di minor danno dei dispositivi a rischio ridotto, ovvero privi di combustione. In Italia un italiano su 4 ancora fuma e solo il 9% dei tabagisti riesce a mantenere l’astinenza per più di sei mesi. Purtroppo – ha osservato amaramente l’esperto – ci siamo dimenticati che al centro del dibattito scientifico devono sempre esserci il benessere e la salute fisica e mentale di chi utilizza sigarette e la tutela delle classi più a rischio, giovani e fumatori cronici in primis”.

L’AIUTO DELLA TECNOLOGIA

“Non dimentichiamoci – ha detto Caponnetto – che anche la tecnologia può fornirci un aiuto fondamentale nel trattamento della dipendenza da fumo, attraverso servizi di telemedicina e di realtà virtuale, che possono aiutare tutti coloro che per impossibilità di diversa natura non possono ricevere il supporto e il sostegno di un professionista, un’arma vincente per uscire definitivamente dalla porta del fumo. Il sistema delle politiche pubbliche deve iniziare a dialogare con la scienza e a leggere le evidenze, senza preconcetti di parte. Solo così possiamo davvero aiutare chi vuole smettere di fumare e anche chi non riesce a farlo da solo”.

Back To Top