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Valditara Istituti

Fini, sfide e scenari del progetto Valditara sugli istituti tecnologico-professionali

Che cosa cambierà con il disegno di legge del governo firmato dal ministro Valditara sulla filiera formativa tecnologico-professionale. L'intervento di Orazio Niceforo della fondazione Kuliscioff

Lunedì 18 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge, predisposto dal ministro Giuseppe Valditara, che istituisce, da una parte, la “filiera formativa tecnologico-professionale” (chissà perché non tecnico-professionale) e modifica dall’altra la vigente normativa in materia di “valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti”. Due argomenti diversissimi riuniti in un unico testo, verosimilmente, per far sì che il loro iter parlamentare proceda in parallelo e con gli stessi tempi di esecuzione (l’anno scolastico 2024-2025): obiettivo temporale assai ambizioso per un disegno di legge che deve percorrere tutti i passaggi previsti dalle regole del bicameralismo perfetto e che per avanzare in tempi stretti richiede l’assoluta compattezza (che non può essere data per scontata) della attuale maggioranza di governo su entrambi gli argomenti.

Ciò premesso, in questa articolo si ragiona solo su quanto deliberato dal CDM in materia di istruzione tecnica e professionale, due dei tre grandi settori (il terzo è quello dell’istruzione liceale) nei quali è ripartita la scuola secondaria superiore in Italia, da decenni di durata uniformemente quinquennale. Le novità sono numerose e di rilievo:

  • l’idea di ripensare l’intera area dell’istruzione tecnica e professionale (compresa una parte di quella regionale) come una “filiera”, cioè con un approccio unitario sul piano sia orizzontale (rete, sistema) sia verticale (sviluppo, dinamica);
  • la riduzione della durata da cinque a quattro anni per un elevato numero di IT e IP (il numero massimo sarà stabilito in seguito con accordi interministeriali e con le Regioni), più una riforma di struttura che una sperimentazione;
  • lo sbocco naturale (ma non obbligato) negli ITS Academy biennali (modello 4+2);
  • la forte interazione con il mondo del lavoro e delle professioni e con le Regioni, delle quali viene ribadita la competenza in materia di programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale;
  • accesso agli ITS Academy consentito anche agli studenti diplomati dei percorsi quadriennali regionali le cui competenze siano validate dall’Invalsi attraverso apposite rilevazioni.

Come si vede la scuola secondaria superiore sarebbe riformata in profondità perché per la prima volta si creerebbero davvero quelle due aree – quella liceale e quella tecnico-professionale – che la riforma Moratti aveva annunciato ma poi per nulla realizzato a causa della maldestra (e finta) licealizzazione degli istituti tecnici.

DIPLOMA E POST-DIPLOMA “TERZIARIO”

Quella di prevedere per l’istruzione tecnica un percorso di prolungamento/rafforzamento post-diploma in alternativa allo sbocco universitario non è una novità in assoluto: l’idea si affacciò nel biennio iniziale dei lavori della commissione Brocca (attiva dal 1988 al 1992), allora coordinata dall’ing. Gian Carlo Zuccon, quando si profilò l’idea che – in un quadro di consolidamento e completamento della formazione generale di tutti gli indirizzi di scuola secondaria superiore – si dovesse procedere alla despecializzazione di quelli dell’istruzione tecnica: operazione che avrebbe comportato il rinvio della formazione specialistica a un percorso post-diploma parallelo e alternativo a quello universitario.

Idea che fu bloccata dalle forti resistenze dell’allora potente Direzione generale dell’istruzione tecnica, che impose una soluzione di compromesso: l’affiancamento dei percorsi “modello Brocca” con quelli tradizionali o quelli “assistiti” dalla stessa Direzione, che conservavano in sostanza la curvatura specialistica dei curricula. Compromesso che non fu accettato da Zuccon, che per questo si dimise dall’incarico. E in effetti furono assai pochi gli istituti tecnici, soprattutto quelli industriali, che scelsero il “percorso Brocca”. Così tramontò la prospettiva di una formazione tecnica superiore a carattere non universitario.

Gli ITS Academy, pur nel limitato riscontro finora ricevuto in termini di iscrizioni, costituiscono il primo, organico tentativo di andare in quella direzione. Ma a questo punto si è posto con urgenza il problema di come alimentare questo sistema italiano di formazione terziaria non accademica in modo da renderlo paragonabile, anche come dimensione, ai modelli internazionali più collaudati, come quello tedesco e quello francese.

Il ddl Valditara, caratterizzato dalla scansione 4+2 per gli istituti tecnici e professionali attraverso una sperimentazione di massa (30% degli istituti) in tempi brevi, va letto anche come una risposta a quel problema. C’è però una differenza sostanziale con il ricordato modello Brocca (prima maniera) perché quel modello andava in direzione della despecializzazione degli indirizzi, mentre quello che si delinea del ddl Valditara è, al contrario, un progetto di rafforzamento del carattere specialistico di questa area degli studi secondari, in alternativa secca con quella costituita dai licei.

Un’operazione che presenta numerose incognite tecniche e politiche.

UNA SCOMMESSA RISCHIOSA

La prima incognita da verificare è quella politica: resterà l’attuale maggioranza compatta e determinata nella gestione parlamentare del disegno di legge? O nel passaggio tra le due Camere accadrà, come succedeva nella Prima Repubblica (e in parte è successo anche nella Seconda), che il gioco degli emendamenti ostacoli l’iter del ddl fino a provocarne il rallentamento o addirittura il blocco? Resterà l’abbinamento delle due tematiche (filiera tecnico-professionale e valutazione del comportamento), o magari sarà data la precedenza al secondo, certamente più allettante agli occhi dell’opinione pubblica e dei partiti in cerca di consenso elettorale?

Supponiamo che la maggioranza proceda unita come una falange macedone e che bruci i tempi (il 2024-2025 è domani…). Restano le incognite relative all’implementazione della legge, il cui successo dipende: 1) dalla risposta che le scuole e le famiglie daranno all’invito a sperimentare il 4+2: poche, troppe, mal distribuite sul territorio…; 2) da quanto gli istituti non coinvolti nella sperimentazione (il 70%) faranno per difendere/consolidare la reputazione dei percorsi tradizionali;3) dall’effettivo grado di libertà che gli istituti avranno nella gestione di un’offerta formativa sensibilmente diversa da quella tradizionale; 4) dalla qualità e quantità delle interazioni tra scuole e territori (reti istituzionali, tessuto imprenditoriale)nella costruzione di un’offerta formativa più professionalizzante e quindi più aperta all’alternanza studio-lavoro (PCTO); 5) dal grado di corrispondenza tra le competenze acquisite dagli studenti nel percorso scolastico e quelle più richieste dal mercato del lavoro;  6) dalla capacità/disponibilità dei docenti a curvare in senso più pratico e operativo l’insegnamento/apprendimento della loro disciplina; 7) dalla posizione che assumeranno i sindacati e le loro rappresentanze locali (RSU).

A livello nazionale la Flc Cgil è partita subito all’attacco affermando in un comunicato che “La riforma dei tecnici e professionali è un disastro annunciato per i ragazzi e le ragazze di questo Paese. Altro che serie A, in questo modo si istituisce un doppio canale dove il sistema dei tecnici e professionali viene declassato e ridotto. Ancora una volta si confonde l’istruzione con l’addestramento professionale legato ai bisogni delle imprese”.

Ma se il ddl diventerà legge ad essere decisiva sarà, è bene ricordarlo, la risposta che la scuola, gli insegnanti e il mercato del lavoro daranno sul campo. Se sarà positiva, e se davvero il canale tecnico-professionale diventerà “di serie A”, il ministro Valditara avrà vinto la sua scommessa. Se il progetto sfumerà in un travestimento impoverito dei vecchi istituti tecnici e professionali tutto ciò si rivelerà un azzardo. ( A cura di Orazio Niceforo)

 

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