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Anticorpi Monoclonali Sottovarianti

Eli-Lilly, Roche, Gsk. Ecco quali e quanti monoclonali sono utilizzati in Italia

Aumenta l’uso dei monoclonali in Italia anche se persistono forti differenze tra una regione e l’altra. Tutti i dettagli del report Aifa

 

Secondo il 37esimo report dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) sugli anticorpi monoclonali per il Covid, dal 10 al 16 dicembre in Italia sono stati prescritti 2.608 monoclonali, ovvero +37% rispetto alla settimana precedente. Non tutte le regioni, però, vanno alla stessa velocità.

QUALI MONOCLONALI VENGONO SOMMINISTRATI

Nel nostro Paese gli anticorpi monoclonali attualmente somministrati tramite infusione sono bamlanivimab (Eli-Lilly); bamlanivimab e etesevimab (Eli-Lilly); casirivimab e imdevimab (Ronapreve – Regeneron/Roche) e sotrovimab (GlaxoSmithKline).

La maggior parte dei pazienti (12.264), si legge nel report, ha ricevuto la terapia di casirivimab-imdevimab, seguita dal mix bamlanivimab-etesevimab (10.230). È infine iniziata, con 261 dosi in tre settimane, anche la somministrazione di sotrovimab, noto come Xevudy e recentemente autorizzato dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema).

QUANTI PAZIENTI HANNO RICEVUTO I MONOCLONALI

Le persone a cui sono stati somministrati i monoclonali sono soggetti a rischio di Covid grave, ma con recente insorgenza della malattia e dall’ultimo monitoraggio Aifa emerge che da marzo 2021 sono stati trattati in totale 23.578 pazienti.

L’ITALIA ARRANCA

Come Start faceva notare qualche tempo fa, in Italia si fa ancora un utilizzo abbastanza ridotto di monoclonali nonostante ce ne siano a disposizione, tanto che Evelina Tacconelli, professore ordinario di Malattie infettive e direttore della clinica di Malattie infettive dell’azienda ospedaliera universitaria di Verona, sottolineava che “in Italia in alcune regioni i monoclonali non sono stati utilizzati” e, anzi, “sono stati trasferiti in altre regioni per evitare che scadessero”.

QUALCHE SEGNALE POSITIVO

Tuttavia, nell’ultima settimana si è registrato un aumento: 2.608 monoclonali prescritti rispetto ai 1.917 della settimana precedente.

Anche le strutture che prescrivono questo tipo di trattamento crescono e passano da 222 a 225.

LE REGIONI IN CIMA ALLA CLASSIFICA

Nessuna novità per quanto riguarda il podio della classifica delle regioni che utilizzano di più i monoclonali. Come la scorsa settimana si conferma al primo posto il Veneto con 4.653 pazienti (sui 23.578 totali) inseriti nei registri.

Seguono rispettivamente al secondo e terzo posto il Lazio con 3.451 pazienti e la Toscana con 2.895.

LE REGIONI IN FONDO ALLA CLASSIFICA

Maglia nera invece per la Provincia autonoma di Trento, il Molise e la Provincia autonoma di Bolzano che in questo ordine, anche questa settimana, chiudono la classifica rispettivamente con 77, 40 e 38 pazienti.

Fonte: Aifa

MISTERI

Resta ancora inspiegabile come mai sia così limitato l’utilizzo dei monoclonali in Italia perché, sebbene sia vero che al momento è necessario recarsi in ospedale per farseli somministrare (il presidente dell’Aifa Giorgio Palù ha anticipato che “presto avremo a disposizione, monoclonali somministrabili per via sottocutanea o intramuscolare e in questo caso si potrà intervenire a casa del paziente, senza intasare ospedali e pronto soccorso”), la professoressa Tacconelli ha ribadito che “una sola dose di anticorpi monoclonali, somministrata al paziente con Covid-19 nei primi tre giorni di infezione, in una sola ora riduce di oltre l’80% il rischio di ricovero ospedaliero”.

E ha aggiunto: “Non solo evita la malattia severa, quindi la terapia intensiva o addirittura il decesso, ma costa infinitamente meno di un ricovero”.

QUANTO COSTA IL TRATTAMENTO CON MONOCLONALI

Tra i contro dei monoclonali si è sempre parlato dell’eccessivo costo del trattamento ma, come viene ricordato nell’articolo di Avvenire, “i monoclonali costano circa 1.500 euro e prevengono ricoveri che allo Stato costano decine di migliaia di euro a paziente”.

UNA POSSIBILE SPIEGAZIONE

Per Tacconelli “l’Italia aveva già un problema di base: rispetto ad altri Paesi l’aggiornamento medico continuo non è organizzato in maniera consistente ed è troppo spesso lasciato nelle mani delle industrie farmaceutiche. È gravissimo, perché quello che abbiamo studiato durante l’università è solo una porzione infinitesimale di quanto è possibile fare oggi, e senza un aggiornamento permanente possiamo fare errori molto gravi”.

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