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Catalent

Ecco come il Regno Unito ha soffiato all’Italia il progetto di Catalent ad Anagni

La multinazionale farmaceutica Catalent fugge dall’Italia. Avrebbe dovuto investire 100 milioni di dollari e creare 100 posti di lavoro ad Anagni e invece…

 

Era già successo con Moderna, ora la storia si ripete con Catalent. Due multinazionali farmaceutiche statunitensi vogliono investire in Italia ma a causa della burocrazia fanno le valigie e si dirigono altrove.

Ecco cosa è successo.

IL PROGETTO DI CATALENT

Il 21 luglio 2021, si legge su Aboutpharma, Catalent aveva annunciato che avrebbe investito 100 milioni di dollari presso il suo stabilimento italiano di Anagni, in provincia di Frosinone, “per aumentare la capacità di produzione di sostanze farmacologiche biologiche” e sostenere quindi “la crescente domanda del mercato europeo per la produzione e fornitura di prodotti biologici”.

“In Europa c’è una carenza di bioreattori per farmaci biologici – dichiarò Mario Gargiulo, a capo della divisione europea per i farmaci biologici di Catalent – e abbiamo pensato che Anagni fosse il luogo adatto per creare questa capacità, che potrà essere usata in emergenze sanitarie come il Covid-19”, ricorda Repubblica.

LA TABELLA DI MARCIA

L’idea era quella di iniziare, nell’aprile 2023, con l’installazione di due bioreattori monouso da 2 mila litri e con investimenti a supporto della fase iniziale dello sviluppo clinico, del trasferimento tecnologico in fase avanzata e commerciale. Erano poi previsti altri sei bioreattori monouso da 2 mila litri.

“Il piano completo di espansione – riferiva Aboutpharma – prevede che il sito avrà 16 mila litri di capacità produttiva flessibile complessiva, consentendo una scala di produzione in lotti da 2 mila a 8 mila litri”.

Ciliegina sulla torta: il tutto avrebbe creato 100 posti di lavoro.

IL SITO DI ANAGNI

Il sito di Catalent ad Anagni, già impegnato a infialare i vaccini anti Covid di AstraZeneca, J&J e Moderna, è un impianto per la produzione di farmaci biologici e orali, specializzato nel lancio di prodotti in fase avanzata e commerciale.

“Da quando Catalent ha acquisito l’impianto nel gennaio 2020 – scrive Aboutpharma -, è diventato un importante hub europeo per la produzione del vaccino Covid-19” – ed è anche il sito più rapido al mondo per l’infialamento delle medicine.

Grazie al progetto della multinazionale, l’impianto avrebbe completato le sue capacità attuali, che già comprendono “una vasta esperienza nel riempimento asettico dei flaconi e nel confezionamento secondario di prodotti biologici, sterili e vaccini, fornendo al contempo nuove capacità integrate per la produzione di sostanze e prodotti farmaceutici”.

PERCHÉ IL PROGETTO È ANDATO IN FUMO?

Tutto molto bello se non che l’area industriale di Anagni rientra nei 720 ettari del Sin – ovvero Sito di interessa nazionale – della Valle del Sacco, un’area avvelenata dalle industrie attorno a Colleferro mezzo secolo fa, in attesa di essere bonificata.

Ottenere autorizzazioni in quella zona, a partire dalle procedure di analisi dei terreni, non è una passeggiata e i tempi eccessivamente lunghi hanno scoraggiato Catalent che ha deciso di dirottare l’investimento nel Regno Unito.

Tra l’altro, stando al Corriere della sera, la multinazionale aveva già affrontato costi di centinaia di migliaia di euro proprio per eseguire sui terreni dei prelievi in profondità a distanza di pochi metri l’uno dall’altro, ma non è comunque bastato.

L’ACCUSA AL MINISTERO DI CINGOLANI

Intanto, la questione ha scatenato anche polemiche nella politica italiana. Il primo cittadino di Anagni, Daniele Natalia, punta il dito contro il ministero della Transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani, che non si sarebbe mosso per concedere l’autorizzazione: “Le multinazionali e il mercato del lavoro – ha detto – non aspettano i tempi biblici dell’Italia per concedere una semplice autorizzazione ambientale”.

“Quando si tratta di avviare le opere di bonifica necessarie, nelle zone cui veramente serve, il ministero dell’Ambiente e gli altri Enti competenti latitano, i fondi restano bloccati, si aspettano i soliti ‘tempi biblici’ e il territorio non ha alcun beneficio, anzi”, ha concluso il sindaco.

IL RIMPALLO DELLE COLPE

Da Fratelli d’Italia, invece, il senatore Massimo Ruspandini, si legge su Repubblica, “accusa la Regione, che sostiene invece tramite il consigliere dem Mauro Buschini di aver fatto tutto quello che era necessario per il sito da bonificare, preannunciando anche la convocazione di un tavolo con il commissario per la Valle del Sacco, Unindustria, sindacati e Consorzio industriale del Lazio”.

LA VERSIONE DI CATALENT

“Avevamo avviato la procedura in Comune tre anni fa e, attraverso i vari Enti, eravamo finalmente arrivati al Ministero della Transizione Ecologica. Ma, – racconta Catalent – proprio quando credevamo di aver finito, ci hanno detto che tutto doveva tornare di nuovo in Comune per una nuova Conferenza dei servizi. Un po’ come nel gioco dell’oca: quando sei arrivato, ritorni al punto di partenza”.

A quel punto, senza alcun ripensamento, la multinazionale si è diretta a Oxford dove, scrive il Corriere della sera, “tutti gli enti si sono messi a disposizione assicurando tempi velocissimi”.

NON UN CASO ISOLATO

Ma la storia di Catalent non è un caso isolato. Sempre a causa della burocrazia, ricorda il Corriere, già un’altra multinazionale farmaceutica, la Dobfar, due anni fa ha rinunciato a investire 84 milioni di euro sempre nell’area di Anagni e sempre perché “quando la pratica ambientale (la cosiddetta AIA, Autorizzazione Integrata Ambientale) è stata definita dalla Provincia e dalla Regione Lazio, il progetto era ormai sorpassato. Dunque, inutile”.

Doveva essere un progetto green destinato alla realizzazione di una nuova gamma di farmaci e all’assunzione di 60 lavoratori, ma non sono bastati tre anni per chiudere la pratica e “il ‘nuovo’ antibiotico era già diventato ‘vecchio’”.

COSA BOLLE IN PENTOLA

Intanto, il Corriere fa sapere che Confindustria si è attivata presso il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e il ministro Cingolani per intervenire ed “evitare altre situazioni come quella della Catalent”.

Inoltre, secondo Repubblica, “alcune aziende del distretto Lazio sono state convocate dagli israeliani che, con l’ambizione di diventare autonomi proprio sui vaccini, prima hanno invitato le farmaceutiche laziali a produrre negli stabilimenti a Gerusalemme e poi a farlo in Italia ma per Israele”.

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