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Alzheimer Parkinson

E se Alzheimer e Parkinson avessero la stessa origine?

Secondo alcuni ricercatori del Cnr, Alzheimer e Parkinson sarebbero causati dallo stesso meccanismo neurodegenerativo e si differenzierebbero solo in una fase successiva. Tutti i dettagli dello studio pubblicato sulla rivista IBRO Neuroscience Reports

 

L’Alzheimer è la forma più comune di demenza senile e anche la malattia neurodegenerativa più diffusa, seguita subito dopo dal Parkinson. La prima colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. La seconda affligge l’1-2% della popolazione sopra i 60 anni e la percentuale sale al 3-5% negli over 85.

Un nuovo studio condotto da tre ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istc), pubblicato sulla rivista IBRO Neuroscience Reports, sostiene per la prima volta che entrambe le patologie sarebbero causate dallo stesso meccanismo neurodegenerativo e si differenzierebbero in seguito.

Il meccanismo è stato chiamato Neurodegenerative Elderly Syndrome (NES), ovvero Sindrome neurodegenerativa dell’anziano.

LO STUDIO E LE FASI DELLA NES

I tre ricercatori – Daniele Caligiore, Flora Giocondo e Massimo Silvetti – hanno seguito un approccio interdisciplinare e di sistema per analizzare e sintetizzare in modo originale nell’ipotesi della NES i risultati di diverse ricerche su Alzheimer e Parkinson condotte in ambiti diversi, dalla genetica alla neurofisiologia.

La NES, secondo gli autori, è caratterizzata da tre stadi progressivi.

LA PRIMA FASE O FASE DI SEMINA

“La prima fase – spiega Caligiore – inizia molti anni prima rispetto al manifestarsi dei sintomi clinici tipici delle due malattie, e in essa si può avere una progressiva perdita di neuroni che producono due importanti sostanze neuromodulatrici: noradrenalina e serotonina”.

“Proponiamo che tale ‘danno iniziale’ possa essere causato principalmente dal malfunzionamento di una proteina molto diffusa nel nostro corpo, l’alfa-sinucleina. La perdita iniziale di questi neuroni neuromodulatori non produce però nel comportamento della persona alcun sintomo evidente che possa essere riconducibile ad Alzheimer o Parkinson. Le disfunzioni iniziali – prosegue Caligiore – possono essere dovute a diversi fattori genetici, ambientali o legati allo stile di vita, che chiamiamo ‘semi’, e possono interessare diverse parti del corpo”.

“In particolare, l’alfa-sinucleina malfunzionante può avere diverse vie d’accesso al cervello: potrebbe avere origine in situ o essere trasportata dall’intestino tramite l’asse intestino-cervello. Il tipo di seme o fattore scatenante e la parte del cervello e del corpo interessata dalle disfunzioni iniziali di alfa-sinucleina, la via d’accesso e il tipo di neuromodulatore maggiormente coinvolto in questa fase embrionale della malattia influenzano la futura possibile progressione della NES verso la trasformazione in Parkinson o Alzheimer. Per questo – conclude – abbiamo chiamato questa prima fase della NES ‘fase di semina’ (seeding stage)”.

LA SECONDA FASE O FASE DI COMPENSAZIONE

Nella seconda fase si verificano poi altri eventi. “Iniziano a manifestarsi disfunzioni dei neuroni che sintetizzano il neuromodulatore dopamina e che si trovano in due regioni diverse del cervello: nell’area tegmentale ventrale (gestione degli aspetti cognitivi e motivazionali) e nella substantia nigra pars compacta (gestione degli aspetti motori)”, aggiunge Giocondo.

“Tuttavia, i sintomi clinici evidenti sono ancora silenziosi, grazie a meccanismi compensatori che mantengono l’equilibrio delle diverse concentrazioni di neuromodulatori. Abbiamo indicato questa fase della NES come ‘fase di compensazione’”.

LA TERZA FASE O FASE DI BIFORCAZIONE

Si arriva, infine, alla terza fase. Come ha spiegato Silvetti: “L’ultima fase è quella di biforcazione, in cui la noradrenalina e la serotonina non riescono più a compensare le disfunzioni dopaminergiche, e in cui la NES diventa Alzheimer se l’area dopaminergica maggiormente colpita è l’area tegmentale ventrale, oppure diventa Parkinson se l’area più colpita è la substantia nigra pars compacta”.

“Anche la biforcazione in Alzheimer o Parkinson – chiarisce il ricercatore – dipende dai semi che possono confermare o modificare la traiettoria neurodegenerativa iniziata durante la seeding phase”.

L’INTERVENTO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Se confermata da futuri studi empirici, l’ipotesi NES potrebbe rivoluzionare la ricerca nell’ambito di queste due malattie neurodegenerative, indicando nuove strade per la diagnosi precoce e per lo sviluppo di terapie da attuare in fase precocissima, prima della manifestazione di sintomi clinici espliciti, contrastando in modo molto più efficace i processi di neurodegenerazione.

“Anche l’Intelligenza Artificiale potrebbe essere uno strumento per verificare o confutare l’ipotesi NES. A questo proposito – fa sapere Caligiore – al Cnr-Istc stiamo sviluppando degli algoritmi di machine learning per combinare e analizzare grandi quantità di dati eterogenei (clinici, genetici, di risonanza magnetica) su Alzheimer e Parkinson messi a disposizione da database internazionali per la ricerca scientifica, come ADNI e PPMI, allo scopo di trovare delle traiettorie di neurodegenerazione comuni tra le due malattie”.

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