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Paucicomplottista

Covid, lo stato di emergenza diventerà stato normale?

Il corsivo di Battista Falconi

 

Forse sono un paucicomplottista. Non ho mai palesato sintomi di quel pensiero estremo che, dietro le cose che accadono, ipotizza grandi disegni planetari. Anzi, tendo a pensare che la vita obbedisca a una sconcertante casualità o, per meglio dire, a una complessità inestricabile e imprevedibile per la ragione umana. A una sorta di sintesi delle infinite forze che agiscono a livello globale, concentrandosi poi nel locale e nell’individuale. Una via di mezzo tra Hegel, l’effetto farfalla e i principi della termodinamica.

Chiarito ciò, cioè che di questa stramaledetta pandemia nessuno di noi può dire nulla poiché tutti possiamo dire di tutto, sul piano strettamente scientifico ci sono certamente esperti in grado di parlare con maggiore competenza. Ed è a loro, selezionandoli severamente e non in base all’egocentrismo e alla videogenicità, che avremmo dovuto lasciare la parola. Abbiamo accettato di non uscire di casa, potevamo ben consentire che una voce scientifica ufficiale avesse più spazio delle altre, anziché essere informati nelle vetuste modalità del “pro e contro”, tanto che l’Oms ha definito l’infodemia pericolosa quanto la pandemia.

Dopo due anni, però, è legittimo che il dibattito non sia più riservato agli esperti prettamente intesi ma si allarghi ai rappresentanti delle categorie più coinvolte dagli effetti della crisi sanitaria nonché, in senso lato, a tutti i cittadini. Il problema, ormai, è più sociale che sanitario. Con la parola “dibattito” non intendo il contraddittorio dei talk show televisivi, delle chat sui social media e delle chiacchiere da bar, dove la democraticità delle partecipazioni è stata sempre garantita, ma un movimento bottom-up teso a rivedere il modello imperante dall’inizio del 2020. È questa l’unica presumibile via per trovare un’uscita visto che, come proveremo a spiegare, top down ben difficilmente si ripenserà lo “stato di emergenza”.

In primis: è improbabile che il virus sia stato diffuso dai laboratori cinesi su volere di Xi Jinping, che aveva calcolato i presunti vantaggi della pandemia per il suo paese. Non che al leader di Pechino manchi l’ambizione, visto come promuove apertamente e continuamente il “sogno cinese”, ma neppure l’uomo e il paese più potenti possono prevedere fenomeni così ampli e complessi. Ma ormai, dopo tanto tempo, non è più necessario credere a certe teorie complottiste per condividerne le conclusioni, e cioè che è necessario chiudere questa fase nefasta della nostra storia.

Purtroppo, a porre quest’esigenza mantenendo lucidità, razionalità, basandosi sui fatti e sulle poche previsioni che se ne possono trarre, senza cedere al semplicismo che pretende di comprendere tutto in poche parole, è una ristrettissima minoranza, schiacciata tra il fronte negazionista (usiamo questa parola di uso comune, pur detestandola) e la maggioranza che ha deciso di subire passivamente qualunque decisione abbia l’imprimatur di una generica “comunità scientifica” e delle istituzioni pubbliche. Questa ristretta minoranza – Gilberto Corbellini, Roy De Vita, Alberto Mingardi: forse conoscete i loro libri e video, ma li avete mai visti in prima serata sulle reti generaliste? – sostiene per esempio che è stato giusto vaccinarci, poiché i rischi legati alle vaccinazioni sono inferiori a quelli che avremmo corso con una maggiore diffusione virale, e corrispondere alle multinazionali farmaceutiche i proventi conseguenti a questo colossale business, poiché non si può scoraggiare l’industria privata dai dagli ingenti investimenti necessari per cercare nuovi farmaci.

In senso solo apparentemente opposto, ma in realtà convergente, la minoranza pro mediazione pensa anche che queste valutazioni oggi vadano riviste. I paesi cosiddetti avanzati hanno raggiunto alti standard di vaccinazione: in alcuni casi altissimi, per esempio Israele, Italia, Irlanda. È pertanto opportuno proseguire con le somministrazioni considerando prioritariamente i paesi dove, per ragioni economiche e logistiche, i sieri arrivano con difficoltà. In ragione di ciò è anche sensato ridiscutere i diritti brevettuali per facilitare la distribuzione. Ma questa contingenza non può giustificare l’ennesimo trasferimento dell’accusa di “untori” ai paesi in via di sviluppo, dopo averla man mano attribuita a turisti, amanti dello shopping, sciatori, immigrati, operatori e spettatori dello spettacolo, eccetera. Fino ad arrivare all’assurdo dei bambini.

La mutazione sudafricana di Sars-Cov-2 ha una pericolosità minore. È noto principio che un virus, diffondendosi, cambia ma indebolisce la capacità di contagiare e soprattutto di ammalare. Stiamo andando verso quello che sapevamo sarebbe accaduto, gli esperti ci avevano informato: un’immunizzazione di massa, una convivenza pacifica, simile a quella che intratteniamo con le influenze stagionali. Le quali, va ricordato, causano comunque molte vittime. La soluzione a cui potremmo tendere non è a costo zero o a rischio zero, queste definizioni nella realtà non hanno senso, è un compromesso ragionevole tra il ritorno a una vita come quella che conducevamo fino al 2019, con tutti i suoi limiti e difetti, e l’accettazione della morte, della malattia, ineliminabili dalla nostra esistenza.

La pretesa di adottare soluzioni troppo liberali all’inizio della pandemia era impraticabile. I pochi paesi che hanno fatto questo tentativo, per esempio quelli scandinavi, hanno dovuto ammettere il fallimento. Bene quindi, ripetiamo, che ci siano state campagne vaccinali di massa ovunque si sia potuto attuarle. Ora però basta. Continuiamo a vaccinare il più possibile, data l’utilità imprescindibile di questi presidi, e se vogliamo imponiamo un vero obbligo, soluzione che sarebbe stato più serio adottare già da tempo. Ma poi, basta. Torniamo a viaggiare, a vendere e a comprare, ad andare a casa degli amici e dei parenti in quanti vogliamo, ad assembrarci negli stadi, nei teatri e nei cinema. Senza più che qualcuno ci rimproveri dopo avercelo permesso, come è accaduto troppe volte, quasi che noi comuni cittadini fossimo i figli scapestrati di un genitore incerto. Annotazione a margine: se siamo davvero adulti, come abbiamo potuto accettare senza un moto di ribellione che ci “consentissero” di comprare i regali di Natale per poi rimproverarci di essere in troppi a farlo? Qui siamo al livello del doppio comando di Gregory Bateson!

Sono passati due anni di vita che nessuno ci restituirà e che condizioneranno in modo indelebile le generazioni oggi in età infantile e adolescenziale (“Proprio ciò che vogliono”, direbbe un vero complottista). Vacciniamo chi vogliamo vaccinare. E dopo si ritorni alla vita normale senza attendere risultati che mai raggiungeremo: ce lo ricorda e dimostra Israele, che sta sempre un passo avanti a noi ma non arriva all’uscita del tunnel. Diamoci un termine certo, per esempio ancora sei mesi. Poi, lo ripetiamo per l’ennesima volta, basta. Altra annotazione a margine: vacciniamo chi vogliamo o imponiamo a tutti di farlo, ma ammettendo che questo non è un “vero” vaccino, è utile ma diverso da quelli che normalmente indichiamo con tale termine, conseguenti a decenni quando non secoli di esperienza, che hanno la capacità di immunizzare per tutta la vita. Peraltro nella storia sanitaria, di successi assoluti e malattie davvero eradicate per via vaccinale, c’è soltanto il vaiolo, l’AIDS per esempio è stato fronteggiato per via farmacologica, perseguendo l’obiettivo della sopravvivenza anziché della guarigione e accettando un bilancio di morti più pesante di quanto si pensi. Eppure la malattia è scomparsa dal nostro immaginario, ci sembra solo un ricordo degli anni ’80, con le sue polemiche su drogati e omosessuali additati anche loro, questa volta con qualche ragione epidemiologica, come untori.

Il fronte sostenitore di questa posizione intermedia, dicevamo, è schiacciato tra la consistente minoranza stigmatizzata come “no vax” e la maggioranza prona a qualunque indicazione giunga dall’alto. C’è anche da chiedersi perché questa mediazione non sia più diffusa, perché non ci sia un movimento ampio, a livello popolare, politico e sociale, sostenitore di questa proposta: un ultimo periodo di sacrifici con un termine di scadenza certo, dopo il quale si garantisca il ritorno alla cosiddetta “normalità”. Una normalità, ennesima annotazione a margine, nella quale tenere conto dei cambiamenti che in questo periodo abbiamo sperimentato, per esempio una moderata riduzione del lavoro in presenza è senz’altro praticabile e auspicabile.

Proprio quest’annotazione ci potrebbe chiarire la ragione per cui la soluzione “a termine” non trova il consenso mainstream. L’emergenza garantisce la possibilità di imporre qualunque soluzione, senza bisogno di fornire prove della sua giustezza né di farla passare per i normali canali istituzionali e pubblici di validazione. È troppo comodo sbandierare un fantasma, ancorché fisico e corporeo, come quello della Covid-19 e ottenere immediatamente l’applicazione delle norme che si ritengono necessarie. Nessun sistema, nessun vertice, nessuna cupola accetterà mai di rinunciare a tale comodità. E poi, senza l’emergenza, come si potrebbe giustificare un colossale calderone finanziario quale il PNRR, capace persino di scardinare i vincoli economico-finanziari dell’Unione Europea che, fino alla pandemia, erano considerati comandamenti intoccabili? E di farlo senza che la programmazione fosse non soltanto condivisa a livello politico ma spiegata in modo scientifico, nella sua strategia e nelle sue conseguenze prevedibili, cosa che non è stata fatta, a vantaggio di una sorta di gara ad accaparrarsi i fondi?

Ancora: se non perseguissimo il disegno, ma sarebbe meglio dire il sogno, di debellare definitivamente il Sars-Cov-2 dalla faccia della Terra, come giustificare i pluridecennali e non meno colossali finanziamenti a favore di ricerche biomediche di cui non abbiamo mai un chiaro bilancio, un preciso rapporto tra investimenti e risultati conseguiti in termini di successo clinico? Se lo facessimo, sarebbe un bel guaio per i soggetti che ricercano sul cancro e che lo curano: contro i quali, però, muovere accuse di interesse privato sembra inelegante. Infine, l’emergenza asseconda il mood tanto gradito della “polarizzazione”, consente a tutti noi di esternare opinioni senza onere di prova, ma senza neppure la possibilità di trasformarle in azioni concrete. In questo probabilmente gioca anche, quantomeno a livello nazionale, la paura di portare acqua al mulino della destra, che con un carpiato doppio è riuscita a saltare dal lato scettico a quello vaccinista e che adesso deve proporre una mediazione per ovvii conteggi elettorali.

Forse per queste e/o per altre ragioni quella che doveva essere un’eccezione adesso minaccia di diventare la regola, quello che doveva essere uno stato di emergenza rischia di diventare lo stato normale delle cose. Così come temono i complottisti, tra i quali in nessun modo mi iscrivo. Al massimo, paucicomplottista.

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