Siamo sotto uno sciopero generale del personale sanitario. In Umbria il Campo Largo ha strappato la Regione, alle recenti elezioni, al Centro Destra proprio perché ha puntato la sua campagna elettorale sulla sanità e le sue defaillances. Il 18 ottobre sera, a Porta a Porta, il vincitore delle elezioni regionali in Emilia Romagna ha dichiarato che nel suo programma dei primi cento giorni c’è l’emergenza alluvioni e, subito dopo, la sanità. La proposta di bilancio preventivo dello Stato per il 2025 suscita, tra le varie polemiche, quella delle risorse destinate alla sanità. Nel frattempo le liste di attesa si allungano e i medici scappano sopra le Alpi.
Più volte mi è capitato di sentire affermazioni secondo cui la sanità italiana sarebbe una delle migliori in Europa (tra l’altro ho ascoltato l’affermazione fatta a Radio 24 Ore dal Vicedirettore del gruppo Sole 24 Ore). Non possa fare a meno di pensare che non si sa di cosa si parla. Al di sotto di Arezzo non credo sia giustificato parlare di sistema sanitario (con poche eccezioni quali il Gemelli di Roma e il Cardarelli di Napoli). Chi scrive della nostra sanità dovrebbe parlare con quei nostri emigrati sopra le Alpi (vuoi in Germania o in Francia o in Belgio o nei Paesi Bassi) che, andati in pensione, provano a rientrare in Italia. Sono sconvolti dal nostro sistema sanitario, dall’igiene al rapporto di sudditanza cui è costretto il paziente: o accetta il medico di turno che gli capita o, se vuole scegliersi il medico, deve pagare tariffe che sopra le Alpi probabilmente attirerebbero l’attenzione dell’autorità giudiziaria. Quello della sottomissione del paziente (cui il sanitario dà del Tu mentre ci si aspetta che il paziente dia del Lei al personale sanitario) è un indicatore significativo del male che affligge la nostra sanità: il paziente non ha nessuna possibilità di farsi valere. Emblematico è lo strumento con cui ci si illude di risolvere il problema delle liste di attesa: il Centro Unico di Prenotazione (CUP). Il CUP è destinato ad aggravare il problema delle liste di attesa! Il Centro Unico di Prenotazione porta alla redistribuzione della domanda di servizi sanitari spostandone una parte da quei centri sovraccarichi ai centri che sono sottoutilizzati. Il metodo del CUP non si chiede perché esistono centri sovraccarichi e centri sottoutilizzati. Le cause possono essere sostanzialmente due: o perché i centri sono dislocati geograficamente male (magari per soddisfare le pressione di qualche politico locale) e/o perché i servizi sono di scarsa qualità. Se gli utenti potessero scegliere, certi centri sarebbero chiusi e altri verrebbero automaticamente potenziati. La logica dirigista della nostra sanità impedisce che la qualità del servizio possa venir riconosciuta ed avere un riscontro concreto!
Sembra che tutti si siano dimenticati della origine del nostro sistema sanitario: la legge 833 del 1978. Qui vanno fatte due osservazioni: (i) la l. 833/1978 era, prima della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, una “legge quadro” nell’ambito della quale le singole regioni potevano emanare leggi regionali di modo che la struttura della governance della sanità lombarda e di quella calabra sono sostanzialmente la stessa cosa (cambia la correttezza gestionale quotidiana, buona in Lombardia scarsa in Calabria dove la stessa fattura viene pagata più volte per assenza di registrazioni contabili adeguate); (ii) il 1978 è l’anno del sequestro e omicidio Moro, la l. 833 è uno dei prezzi pagati per avere il sostegno del Partito Comunista al governo.
La l. 833/1978 disegna un sistema sanitario governato dall’alto caratterizzato dalla mancata identificazione dei soggetti che erogano i servizi: gli ospedali ed i poliambulatori non hanno personalità giuridica né autonomia contabile (di fatto non esistono!) mentre viene identificato solo il territorio “Unità Sanitaria Locale” (USL) che ha personalità giuridica ed è soggetto contabile. Offerta e domanda vengono confusi nel rifiuto, ideologico, di un approccio che poteva richiamare pericolosamente l’idea di mercato. Emblematica è la definizione dei poliambulatori che vengono definiti come “zone/distretti” dove la struttura erogatrice viene definita come il territorio cui dovrebbe erogare servizi. Se i servizi non vengono erogati o vengono male erogati non succede niente. Altra caratteristica della l. 833/19878 è il finanziamento dall’alto ed il rifiuto di agganciare il finanziamento ai servizi erogati ed alla loro qualità. Quello che la l. 833/1978 rifiuta è il principio del così detto “terzo pagante”. Secondo questo metodo, la struttura non viene finanziata se non eroga servizi di buona qualità ma il pagamento non è realizzato dal paziente (che deve già doversi occupare della sua patologia) ma da un ente terzo, realizzando la contrapposizione tra chi eroga la prestazione e chi la paga. In questo modo si attiva un meccanismo di controllo orizzontale sulla spesa molto meno oneroso e invadente del fallimentare controllo verticale e burocratico che da qualche anno si sta tentando di mette in opera attivando meccanismi di controllo della spesa che costano più dei pochi risparmi realizzati. Forse vale la pena rammentare che dove esiste il sistema del terzo pagante (Germania, Belgio, Olanda) non esiste il problema delle liste di attesa. Dove vige il sistema del finanziamento dall’alto quello delle code di attesa è un grande problema. Emblematico in caso della Norvegia che, avendo un sistema di finanziamento dall’alto e non avendo il meccanismo del “terzo pagante”, seppur dedichi alla sanità risorse enormi, ha delle liste di attesa che assomigliano alle nostre. Il principio del terzo pagante favorisce l’affermarsi del principio di responsabilità: dove esiste il principio del terzo pagante i costi per le patologie dovute ad incidenti sono coperti dalle assicurazioni contro gli infortuni.
Ulteriore caratteristica della l. 833/1978 è quella di umiliare la professionalità del medico di fatto confinandolo in un ruolo subordinato alla macchina amministrativa.
Con il Dlgs 502 del 1991 (la così detta riforma De Lorenzo) si tenta di rabberciare le più macroscopiche storture del sistema della l. 833/1978. Agli ospedali si tenta di dare una personalità giuridica ed una autonomia contabile (in Toscana gli ospedali ancora hanno nessuna delle due) ma con scarsi risultati perché, nel frattempo, à stato attivato un sistema di contabilità dei costi per così dire amministrativo, cioè non basato sui prezzi di mercato ma prezzi amministrativi, confondendo l’impresa con il mercato con un distorcimento difficilmente non imputabile a strabismo ideologico. Mi riferisco al sistema dei diagnostic related groups (DRG) con cui le aziende USL devono gestire la propria contabilità: la ASL sono obbligate a fare i loro acquisti sul mercato ma devono gestire la propria contabilità facendo perno su costi fittizi “amministrativi”.
La riforma De Lorenzo ha anche provato a mettere le strutture sanitarie pubbliche sullo stesso piano di quelle private prefigurando che ambedue avrebbero dovuto essere sottoposte al vaglio dell’accreditamento. Il meccanismo è stato piano piano svuotato di significato. La struttura privata viene accreditata da una struttura pubblica che si autoaccredita con una autocertificazione! La struttura pubblica inoltre accredita solo quei privati che possano offrire un servizio ancillare di sostegno nei casi di sovraccarico della domanda. Questo ha portato al diffondersi di pratiche ulteriormente complicate. Una struttura privata non potrebbe economicamente sopravvivere con i pochi casi che una ASL è disposta a riconoscerle. Quindi le varie cliniche private che operano oggi stipulano convenzioni con varie Asl sparse un po’ su tutto il territorio nazionale: 10 casi al mese con la ASL centro Toscana, 15 con la ASL di Modena, 18 con la ASL di Bergamo etc. I tentativi di superare le storture riconducibili all’approccio ideologico che sta alla base della l. 833/1978 peggiorano le cose anziché migliorarle perché si tratta di cure sintomatologiche con non hanno la forza di andare alla radice del male e cioè il vizio ideologico su cui si basa la 833/1978. Le critiche e le vaghe proposte avanzate dalla sinistra sono destinate a peggiorare la situazione. Viene peraltro il dubbio che il Centro Destra al governo non abbia capito la natura del male della nostra sanità che è un male di tipo “politico” e non tecnico. Viene il dubbio che il Centro Destra non abbia la forza intellettuale per affrontare il problema.
Ai due problemi di natura ideologica che stanno alla base della crisi della nostra sanità (la mancata adozione del principio del “terzi pagante”, cioè della contrapposizione tra chi eroga il servizio e chi ne copre i costi, e il mancato riconoscimento del carattere libero professionale dell’attività del medico) il sistema sta rispondendo con dei meccanismi più o meno spontanei. Da una parte abbiamo lo sviluppo degli interventi assicurativi e dell’altra abbiamo il così detto sistema dell’intra moenia, dell’esercizio dell’attività privata del medico accanto alla sua prestazione come burocrate dipendente. Queste risposte potrebbero rappresentare un primo passo verso la correzione degli errori ideologici che minano la nostra sanità a condizione che vengano governati e incanalati. Per quanto riguarda le assicurazioni rimarco il fatto che si sta rendendo impossibile alle mutue assicurazioni francesi di operare liberamente in Italia. Per quanto riguarda l’esercizio dell’intra moenia, osservo che tale esercizio risulta difficilmente compatibile con il contemporaneo esercizio della medicina burocratica. Al medico dovrebbe essere offerta quanto meno la possibilità di scegliere: o attività esclusivamente libero professionale o attività esclusivamente come dipendente. Nel caso di attività libero professionale le tariffe andrebbero governate evitando gli eccessi oggi riscontrabili.
Per chi volesse approfondire queste tematiche mi permetto di suggerire la lettura di una mia recente pubblicazione: M. Balducci, Un gatto che si morde la coda ovvero le riforme della Pubblica Amministrazione, Milano, Guerini, soprattutto il capitolo 2.7.