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Arcuri siringhe terapie intensive Regioni

Chi e perché stende Arcuri sulle terapie intensive

Che cosa hanno risposto virologi, anestesisti e rianimatori al commissario Arcuri sulle terapie intensive 

Mentre sempre più regioni d’Italia si colorano di rosso e sono tenute a restrizioni severe per frenare i contagi da Covid-19, il commissario straordinario all’emergenza, Domenico Arcuri, prova a rasserenare gli animi sostenendo che la pressione sui reparti di terapia intensiva non c’è.

Parole, però, che non sono piaciute ad anestesisti, rianimatori e virologi che hanno, subito, risposto ad Arcuri. Andiamo per gradi.

LE PAROLE DI DOMENICO ARCURI

Partiamo da quanto detto dal commissario all’emergenza Covid Domenico Arcuri.

“In Germania a marzo c’erano 30 mila posti di terapia intensiva, sei volte di più che in Italia, dove erano 5 mila; al picco abbiamo avuto nel nostro Paese circa 7 mila pazienti in rianimazione, duemila di più della totale capienza dei reparti. Oggi abbiamo circa 10 mila posti di terapia intensiva e arriveremo a 11.300 nel prossimo mese. Attualmente ci sono circa 3.300 ricoverati in terapia intensiva (per Covid, ndr), quindi la pressione su questi reparti non c’è”, ha detto Arcuri ieri nel corso della conferenza ‘Finanza e sistema Paese un anno dopo” della Digital Finance Community Week.

I CONTI DI CARLO PALERMO

I conti di Arcuri, però, non tornano a Carlo Palermo, presidente del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed: “I posti di terapia intensiva disponibili in Italia oggi sono 7500. Di questi circa il 60% è occupato da malati gravissimi non Covid. La soglia del 30%, indicata come livello di allarme, di posti letto di rianimazione dedicati al Covid è di circa 2300, mentre i pazienti sono già oltre 3400”, ha detto Palermo.

PALERMO: MANCA IL PERSONALE

“Quando si parla di 11mila posti si deve specificare che 3.500 sono solo sulla carta e comunque manca il personale per assistere i ricoverati”, ha aggiunto Palermo.

ANDREA CRISANTI: NON BASTA UN VENTILATORE PER CREARE UN POSTO

Dure anche le parole di Andrea Crisanti, direttore di microbiologia e virologia all’Università di Padova.

“Un posto di terapia intensiva non si crea solo accendendo un ventilatore. C’è dietro tutta una struttura, ci sono competenze difficili da moltiplicare. Perché non si moltiplicano i letti senza utilizzare infermieri e rianimatori. Un rianimatore ci vogliono anni a formarlo, e più posti letto segue, più è difficile per lui curare i pazienti”, ha detto Crisanti, facendo eco alle parole di Palermo, intervenendo nella trasmissione Agorà su Rai Tre.

“Più posti aggiuntivi si creano nelle terapie intensive meno pressione c’è e più il virus si diffonde”, sostiene poi Crisanti. “Così facendo, alla fine della pandemia, si scoprirà che le regioni con più posti in rianimazione avranno fatto più morti”.

GIARRATANO: NELLE REGIONI ROSSE LA PRESSIONE E’ INSOSTENIBILE

Sull’argomento interviene anche Antonio Giarratano, presidente Siaarti, anestesisti e rianimatori.

“Viene affermato che la pressione sulle terapie intensive sia sostenibile ma in realtà nelle regioni rossi la pressione è quasi insostenibile e in quelle arancioni è molto ma molto pesante. Sostenere che 10.000 ventilatori possano garantire un sufficiente margine per sostenere questa crescita esponenziale di ricoveri in terapia intensiva significa pensare che basti saper accendere un ventilatore per salvare una vita. Purtroppo non è cosi”, ha detto Giarratano, in un videomessaggio mandato in onda ad Agorà, su RaiTre.

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