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Vaccini Enrico Bucci

Che cosa si sa (e cosa non si sa) dei vaccini anti Covid. Il post di Enrico Bucci

A che punto si è con i vaccini anti Covid? Il post di Enrico Bucci, Ph.D. in Biochimica e Biologia molecolare, professore aggiunto alla Temple University di Philadelphia, autore del libro “Cattivi scienziati” Il post di Enrico Bucci, Ph.D. in Biochimica e Biologia molecolare, professore aggiunto alla Temple University di Philadelphia, autore del libro “Cattivi scienziati”, tratto dal suo…

Il post di Enrico Bucci, Ph.D. in Biochimica e Biologia molecolare, professore aggiunto alla Temple University di Philadelphia, autore del libro “Cattivi scienziati”, tratto dal suo profilo Facebook su autorizzazione dell’autore

I vaccini sono da sempre un argomento fortemente polarizzante, ma in questo periodo la cosa è accentuata dalla contrapposizione fra comunicazioni aziendali e politiche, da un lato, e richiami metodologici che sono malintesi dalle persone come indicativi di mancanza di chiarezza, nascondimento e possibile frode dall’altro.

Prima di avventurarmi nelle prossime discussioni, che andranno a fondo su quanto pubblicato, vorrei qui ricordare alcuni punti selezionati.

1. Le comunicazioni delle aziende di percentuali di efficacia sono numeri a lotto (come ho scritto io) o numeri da bar sport (come ha detto Guido Rasi), sia per motivi tecnici (perché basate su campioni troppo piccoli e quindi corredate di un intervallo di incertezza molto ampio) sia per motivi concreti (perché nessun numero è stato fornito alle autorità regolatorie, come EMA, per poter effettuare un calcolo). Vanno dunque intese per ciò che sono: messaggi ottimistici agli investitori ed ai concorrenti, quando provengono dalle aziende, e agli elettori / cittadini, quando provengono dai politici.

2. Abbiamo ottimi motivi per pensare che molti dei candidati vaccini in sviluppo siano efficaci. Questo perché, su campioni piccoli ma di dimensione significativa, la loro immunogenicità – cioè la capacità di indurre anticorpi neutralizzanti e la capacità di attivare la risposta immune cellulare, che probabilmente ha una durata più lunga – è un fatto stabilito con sufficiente solidità negli studi (pubblicati) di fase 1/2.

3. Senza credere a numeri precisi, ciò che le aziende hanno comunicato per la fase 3 spinge a ritenere che un certo grado di protezione sia conferito, anche se non è possibile conoscere dettagli ulteriori; questo sulla semplice base della considerazione che numeri completamente falsi porterebbero ad un rovescio tale, successivamente all’esame regolatorio, da sconsigliare un azzardo simile. Una menzogna di questo tipo è possibile, ma non appare probabile; in ogni caso aspettiamo.

4. Di quale efficacia si parla, a proposito dei candidati vaccini più avanzati? In molti degli studi clinici di fase 3, l’endpoint primario – cioè l’obiettivo specificato come primario per la valutazione dell’efficacia – è la capacità di diminuire il numero di soggetti sintomatici positivi al virus. Se un candidato vaccino raggiunge questo obiettivo, a rigore non è dimostrato che sia in grado di impedire l’infezione. Poiché la diminuzione di soggetti sintomatici positivi non implica che nei vaccinati il virus sia eradicato, ma solo che diminuiscano i sintomi, questo obiettivo primario non permette di valutare se la circolazione virale viene abbattuta o meno. Bisognerà per quello aspettare i dati di PCR periodica a tappeto che alcuni studi di fase 3 prevedono ugualmente, anche se non come endpoint primario; ed in particolare bisognerà aspettare la revisione delle agenzie regolatorie, che riesamineranno i dati daccapo.

5. I dati sulla immunogenicità in anziani, a giudicare da quanto pubblicato, sono buoni. Al contrario, molti studi sono disegnati escludendo i soggetti cosiddetti fragili (con patologie particolarmente rischiose, con polipatologie, con una combinazione di età avanzata e patologie pregresse). Questo significa che per queste persone avremo i dati molto più tardi. Anche qui, vi è un razionale: poichè dovremmo avere un gruppo di controllo per questo tipo di soggetti, individui molto fragili al virus dovrebbero essere lasciati esposti all’infezione dopo trattamento con placebo, per misurare specificamente l’efficacia del vaccino in quei gruppi. Si è deciso, a mio parere giustamente, di non procedere su questa strada, confidando che la protezione eventualmente conferita dal vaccino all’intera popolazione e la sicurezza misurata valgano anche per questi soggetti.

6. La durata della protezione immune conferita dal vaccino è, sulla base delle evidenze di cui oggi disponiamo, superiore a diversi mesi. Non conosciamo quale sarà la durata complessiva, ma abbiamo dati indiretti che derivano dai casi di reinfezione naturale, che, nell’arco di ormai quasi un anno, sembrano molto rari, e nel caso di SARS-1 sono parimenti molto rari nell’arco di molti anni. In ogni caso, l’argomento di chi vorrebbe aspettare anni di sperimentazione per determinare la durata della protezione immune conferita è ovviamente fallato, visto che proprio per determinare quella durata è necessario (oltre che etico) vaccinare la popolazione.

7. La sicurezza di tutti i candidati vaccini, al momento, sembra buona. Gli eventi avversi gravi che si sono verificati, e che sono riportati in alcuni studi di fase 1/2 ed in uno studio di fase 2/3, sono tutti risultati non riconducibili al candidato vaccino testato. Tuttavia, la capacità di una sperimentazione clinica di identificare potenziali effetti avversi dipende dalla dimensione del campione di popolazione studiato e dalla durata dello studio. Per la dimensione, gli studi attuali sono tali da poter identificare eventi avversi anche rari (pur se non tutti gli studi sono ugualmente efficaci da questo punto di vista); per il tempo di osservazione, è cruciale stabilire se, appena raggiunta la misura di efficacia, bisogna passare a vaccinare anche il gruppo trattato con placebo. Nel momento in cui questo avviene, si perde la capacità di attribuire specificamente ai vaccini gli eventi avversi; tuttavia, è difficile avere la prova che un vaccino funziona, e lasciare esposti al virus decine di migliaia di persone nel gruppo trattato con placebo, solo per identificare eventuali effetti avversi. Dunque questa difficile decisione va presa giudicando con un metro etico e statistico (per definire qual è la soglia statistica massima di eventi rari che vogliamo accettare) sempre dalle agenzie regolatorie. Di certo, non possiamo tenere “scoperte” dal vaccino moltissime persone per anni, solo per sapere se si possono verificare eventi avversi rari.

Spero che questi sette punti possano aiutarvi ad orizzontarvi nella discussione pubblica in corso. Approfondirò gli studi più recenti su alcuni vaccini prossimamente, a partire dallo studio più avanzato pubblicato – il trial di fase 2/3 di Astra Zeneca.

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