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Draghi

Anche l’Italia chiede un trattato internazionale sulle pandemie

L’articolo di Enrico Martial   Anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha firmato per l’Italia l’appello per concordare un trattato internazionale per la cooperazione sulle pandemie, così come tutti i rappresentati degli altri 26 Stati membri dell’Unione, insieme a diversi altri Paesi, dalle Fiji al Sudafrica, dal Cile all’Ucraina, nonché dall’OMS. Le firme stanno…

 

Anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha firmato per l’Italia l’appello per concordare un trattato internazionale per la cooperazione sulle pandemie, così come tutti i rappresentati degli altri 26 Stati membri dell’Unione, insieme a diversi altri Paesi, dalle Fiji al Sudafrica, dal Cile all’Ucraina, nonché dall’OMS. Le firme stanno aumentando in queste ore, e secondo l’OMS, come riportato da Reuters, le reazioni sono favorevoli anche da Stati Uniti e Cina.

L’idea di trattato era stata avanzata dal Presidente del Consiglio dell’Unione, Charles Michel in occasione del Forum di Parigi per la pace dell’11-13 novembre 2020, i leader del G7 l’avevano sostenuta nella dichiarazione finale del 19 febbraio 2021, così come i 27 Paesi membri dell’Unione l’avevano promossa nel corso del Consiglio europeo del 25 febbraio 2021.

Il Trattato dovrebbe migliorare la sorveglianza globale dei rischi pandemici, con ricerca e studi meglio coordinati e finanziati e una più forte condivisione delle conoscenze sulle malattie infettive, in particolare quelle che si trasmettono dagli animali all’uomo. L’approccio sanitario da adottare è quello di “One-Health”, promosso dall’OMS dal 2017 e nato da una piattaforma scientifica nel 2009: il mondo animale e umano sono connessi per le questioni sanitarie.

Si darebbe vita a un nuovo meccanismo di allerta, con nuovi livelli, modalità e tempi di comunicazione (sullo sfondo si pensa al caso cinese di inizio della pandemia). Il trattato dovrebbe rafforzare la diffusione del sapere, dei dati e l’interoperabilità dei sistemi. Gli Stati dovrebbero condividere una maggiore omogeneità sugli indicatori, anche nell’informazione pubblica. D’altra parte, il trattato prenderebbe in conto alcuni fattori comuni che riguarderebbero la comunicazione ai cittadini, con alcuni livelli e temi condivisi.

Il trattato prevederebbe nuova organizzazione per le catene di approvvigionamento dei dispositivi medici (per esempio le mascherine, i respiratori) in tutto il mondo: si discute di scorte organizzate sul piano globale con una capacità logistica coordinata.

Per i vaccini, il trattato dovrebbe discutere il livello di coordinamento internazionale pubblico sia per la cooperazione scientifica per individuarli sia per la produzione dei vaccini. Si andrebbe dalle preferenze dell’UE e di vari Paesi occidentali per un migliore coordinamento internazionale alla scelta di una pubblicizzazione, almeno temporanea, delle licenze, come proposto da India e Sudafrica il 4 febbraio 2021 e come sostenuto da altri 11 Paesi, tra cui Egitto, Kenia, Tunisia e Pakistan. Per la distribuzione, in cui attualmente dominano per lo più i Paesi occidentali e con migliori mezzi economici, le questioni da dirimere riguardano una semplice riforma o rafforzamento del sistema COVAX e dell’acceleratore ACT, oppure una loro più netta trasformazione.

Oltre a raccogliere le esperienze di coordinamento e i piani precedenti al Covid (come i piani nazionali pandemici, quando aggiornati) la formulazione di un trattato sul coordinamento per le pandemie ha un precedente di adozione ampia e in tempi relativamente rapidi, sperimentato nella vicenda della “Convenzione quadro dell’OMS sul controllo del tabacco” del 2003. Ha inoltre alcune basi su come strutturare dei coordinamenti rafforzati nel recente “Quadro di riferimento di Sendai per la riduzione del rischio di disastri”, adottato in ambito Nazioni Unite il 15 marzo 2015. Quest’ultimo, pur focalizzato sulle catastrofi fisico-naturali più che sulle pandemie, ha comunque tracciato alcuni primi meccanismi di risposta e di coordinamento – per esempio sui mezzi da impiegare e da prevedere nelle scorte – come frutto di circa tre anni di lavori e di analisi.

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