Il Fascicolo sanitario elettronico (Fse), pensato per sburocratizzare il lavoro dei medici di famiglia e aiutare i cittadini, esiste dal 19 maggio 2020 ma secondo quanto dichiarato lo scorso giugno dal ministero della Salute ora è il momento della sua trasformazione da strumento amministrativo a strumento sanitario. Come sta andando quindi questa evoluzione?
Mentre sono stati riaperti i termini dell’opposizione al pregresso fino al prossimo 17 dicembre, la Fondazione Gimbe, in occasione del 19° Forum Risk Management di Arezzo, ha fatto il punto sulla sua completezza e sull’utilizzo che ne stanno facendo le regioni italiane, evidenziando alcune criticità. Stando infatti al presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta: “A oggi persistono significative diseguaglianze regionali che privano molti cittadini delle stesse opportunità di accesso e utilizzo. Inoltre, la mancata armonizzazione del Fse rischia di lasciare i cittadini senza accesso a dati essenziali per la propria salute in caso di spostamento tra regioni”.
A fondamento di questa affermazione i dati aggiornati al 31 agosto 2024 estratti ed elaborati dal portale Fascicolo sanitario elettronico 2.0 del ministero della Salute e del Dipartimento per la trasformazione digitale.
CONSENSO ALLA CONSULTAZIONE
Secondo quanto riferito dalla Fondazione Gimbe, al 31 agosto 2024 (per il Friuli Venezia Giulia i dati sono al 31 marzo 2024), il 41% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione dei propri documenti sanitari da parte di medici e operatori del Ssn. Tuttavia, si rileva un’ampia variabilità regionale: l’adesione va dall’1% in Abruzzo, Calabria, Campania e Molise all’89% in Emilia-Romagna. Tra le regioni del Sud, solo la Puglia con il 69% supera la media nazionale. “La limitata espressione del consenso da parte dei cittadini – spiega Cartabellotta – soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, evidenzia l’urgenza di infondere una maggiore fiducia nella popolazione. È fondamentale rassicurare i cittadini sulla sicurezza dei dati personali e sull’utilità concreta del Fse. Senza un intervento mirato in questa direzione, gli sforzi compiuti dai servizi sanitari regionali rischiano di essere vanificati”.
I maggiori ostacoli risultano infatti essere la scarsa alfabetizzazione digitale di una parte significativa dei cittadini e i timori legati alla privacy dei dati personali.
UTILIZZO DEL FSE DA PARTE DEI CITTADINI
Tra giugno e agosto 2024 (per il Friuli Venezia Giulia i dati sono gennaio-marzo 2024), solo il 18% dei cittadini ha consultato il proprio Fse almeno una volta, considerando coloro per cui nello stesso periodo è stato reso disponibile almeno un documento nel fascicolo. Anche in questo caso le differenze tra le regioni sono significative: si passa dall’1% di utilizzo nelle Marche e in Sicilia al 50% della provincia autonoma di Trento (figura 5). A Sud il tasso di utilizzo è generalmente molto basso, con percentuali pari o inferiori al 3%, fatta salva la Sardegna che raggiunge il 10%. L’unica eccezione positiva è rappresentata dalla Campania, che con il 18% si allinea alla media nazionale.
UTILIZZO DEL FSE DA PARTE DI MEDICI DI FAMIGLIA E PEDIATRI
Dai dati si apprende poi che tra giugno e agosto 2024 (per il Friuli Venezia Giulia i dati sono gennaio-marzo 2024), la quasi totalità (94%) di Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta ha effettuato almeno un accesso al Fse. 11 Regioni raggiungono il 100% di utilizzo: Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio, Molise, Provincia autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto. Nelle altre il tasso di utilizzo rimane elevato ma di poco inferiore: Campania, Liguria e Provincia autonoma di Bolzano (99%), Friuli Venezia Giulia (97%), Calabria (94%).
Al di sotto della media nazionale si collocano Sicilia e Marche (92%), Abruzzo (88%), Toscana (82%) e Lombardia (81%).
UTILIZZO DEL FSE DA PARTE DI MEDICI SPECIALISTI
Tra i medici specialisti delle Aziende sanitarie, al 31 agosto 2024 (per il Friuli Venezia Giulia i dati sono al 31 marzo 2024), il 76% risulta abilitato alla consultazione del Fse, con significative differenze regionali. Le percentuali oscillano tra lo 0% della Liguria e il 100% in Lombardia, Molise, Province autonome di Bolzano e Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. Al di sotto della media nazionale si collocano Sicilia (73%), Lazio (59%), Abruzzo (28%), Calabria (25%), Marche (2%) e Umbria (1%). La Liguria rimane il fanalino di coda con una totale assenza di medici specialisti abilitati (0%).
URGENTE RIDURRE IL DIVARIO REGIONALE
Per ridurre le diseguaglianze fotografate dai dati, secondo Cartabellotta, “è indispensabile un nuovo patto nazionale per la sanità digitale, che coinvolga il governo e le amministrazioni regionali”. Altrimenti, “senza un piano di integrazione nazionale, rischiamo di generare nuove diseguaglianze in un sistema sanitario che già viaggia a velocità diverse, dove tecnologia e innovazione rimangono accessibili solo a una parte della popolazione” e “questo finisce per escludere proprio le persone che più dovrebbero beneficiare della trasformazione digitale: anziani, persone sole, residenti in aree isolate o disagiate, di basso livello socio culturale”.