Donald Trump non molla. Anzi, rilancia ancora sulla guerra commerciale e con due ordini esecutivi ha imposto una nuova ondata di dazi sulle esportazioni di una 70ina di paesi verso gli Stati Uniti. Dazi che partiranno dal 7 agosto e non da oggi, 1° agosto, come precedentemente deciso. Una scelta che vale per tutti tranne che per il Canada, punito quindi due volte dal presidente Usa. Ciò vuol dire, in generale, altri giorni per poter negoziare possibili riduzioni. E per le merci spedite via mare, i dazi saranno calcolati dal 5 ottobre.
DAZI BASE
La distinzione principale, che ha portato a definire gli aumenti e la percentuale dei dazi, tra i paesi è il rapporto commerciale con gli Stati Uniti. Per quelli che hanno un surplus commerciale nei confronti di Washington, e quindi quelli che esportano negli Usa più di quanto importano, l’aliquota partirà infatti almeno dal 15%; per quelli che hanno un deficit commerciale con gli Usa, invece, la percentuale sarà del 10.
L’ACCORDO CON L’EUROPA REGGE
Nonostante i timori delle ultime ore, per adesso regge l’accordo stretto da Trump e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in Scozia. E quindi i dazi nei confronti dell’Unione europea rimangono al 15% e partiranno dal 7 agosto. Le trattative tra Washington e Bruxelles continuano, anche perché von der Leyen è stata accusata nel Vecchio Continente di essersi arresa ai diktat trumpiani.
CHI VIENE COLPITO DI PIÙ, CHI DI MENO
L’inquilino della Casa Bianca ne ha per tutti e nella lista dei dazi ha messo nero su bianco sia i paesi con cui in queste settimane ha stretto accordi sia quelli con cui non si è trovata una soluzione reale. Quindi, oltre a quelle con l’Ue, sono state confermate le tariffe per il Giappone e la Corea del Sud al 15%, per il Regno Unito e per l’Australia al 10%, per l’India al 25%.
Per paesi come Filippine, Vietnam, Indonesia e Taiwan i dazi saranno del 19/20%, sempre per via di intese – almeno provvisorie – con Washington. Al Messico, Trump ha dato una proroga di 90 giorni mantenendo i dazi al 25%. Chi invece è stato colpito da tariffe più elevate sono paesi come l’Iraq (35%), il Myanmar (40%), il Laos (40%) e la Siria (41%). E poco importa se sono ancora alle prese con guerre civili o ne stiano uscendo.
Anche la Svizzera è stata messa nel mirino statunitense, alzando l’asticella dei dazi al 39% sulle sue esportazioni verso gli Usa. Una misura che impatterà non solo su cioccolato e orologi, ma soprattutto su farmaci e medicinali.
LE PUNIZIONI CONTRO CANADA E BRASILE
La furia del presidente Usa si è poi concentrata su alcuni paesi in particolare. Le tariffe sul Canada, infatti, passeranno dal 25 al 35% e – come detto – entreranno in vigore da oggi. Ottawa è uno dei principali partner commerciali degli Usa. La mossa di Trump, motivata dalla “continua inazione e alle ritorsioni di Ottawa” sui flussi di Fentanyl, è legata anche all’iniziativa del governo canadese di Mark Carney che intende riconoscere lo Stato di Palestina. Il premier si è detto deluso dell’aumento dei dazi Usa e allo stesso tempo ha dichiarato che “il Canada sarà il nostro miglior cliente”
Sul Brasile il discorso è in parte simile. Pur rimanendo al 10% i dazi sulle esportazioni dal paese sudamericano, Trump con un altro ordine esecutivo ha aggiunto una percentuale del 40% su determinate merci. Un modo per punire il presidente Luiz Inacio Lula da Silva per quella che Trump definisce “persecuzione” nei confronti dell’ex leader brasiliano Jair Bolsonaro.
RIMODELLARE IL COMMERCIO INTERNAZIONALE
Trump continua così con la sua strategia di usare i dazi come clava politica nei confronti di diversi paesi, oltre che per proseguire “nel suo turbolento tentativo di rimodellare il commercio internazionale”, scrive Bloomberg. Quando inizialmente aveva annunciato il Liberation Day ad aprile, il presidente Usa aveva parlato di stimoli alla produzione nazionale e a un nuovo riequilibrio economico con gli altri paesi del mondo. E in effetti dai dazi già in vigore gli Stati Uniti stanno ricavando introiti multimiliardari. Ma l’impatto economico più a lungo termine è tutto tranne che certo, tra aumento dei costi per i consumatori e rischi di inflazione.