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Banca Popolare Bari, tutte le grane di De Bustis (rottamato da Bankitalia)

Le mosse della Banca d'Italia. Il forcing della Consob. Le indagini della magistratura. Il capo azienda della Popolare di Bari, De Bustis, si difende attaccando alcuni ex amministratori e dirigenti dell'istituto, ma la Vigilanza azzera il board e nomina due commissari. Fallita la missione del capo azienda. Ecco fatti, indiscrezioni e ricostruzioni

Si addensano nuvoloni sulla Popolare di Bari. E non solo e non tanto sui conti per nulla confortanti dell’istituto di credito pugliese, che è un polmone finanziario per molte piccole e medie imprese del Mezzogiorno. Ma anche per l’attuale vertice della Popolare di Bari. E in particolare sull’amministratore delegato Vincenzo De Bustis, nominato lo scorso dicembre con il beneplacito della Banca d’Italia capo azienda della banca di cui – dal 2011 al 2014 – era stato direttore generale.

Eppure, ha scritto oggi Giorgio Meletti del Fatto Quotidiano, “viene proprio da Bankitalia la segnalazione che ha fatto aprire un nuovo filone d’indagine sul tentativo (fallito) di De Bustis di acquisire nuovo capitale da una sconosciuta società maltese. Vigilanza e magistratura vogliono vederci più chiaro dopo aver letto il verbale del cda del 2 gennaio 2019, quando De Bustis spiegò ai consiglieri la brillante soluzione trovata per evitare il commissariamento o, peggio, la risoluzione, volgarmente nota come bail in” (in fondo, un estratto dell’articolo).

Ma non c’è solo la magistratura e la Banca d’Italia a seguire i passi della Popolare di Bari e di De Bustis. Oggi Giuliano Foschini e Andrea Greco sul quotidiano Repubblica svelano che pure la Consob è in forcing sui vertici della banca pugliese: “L’ authority di Borsa ha poco gradito il muro dell’istituto nel comunicare la situazione dei conti al mercato, e lo ha segnalato alla procura barese, che già indaga la banca e i vertici per varie ipotesi di reato. I magistrati, ricevuta ieri la lettera del presidente Paolo Savona, l’avrebbero girata alla Gdf affinché valuti la situazione. Per ora non ci sono indagati, ma in caso di riscontri l’ipotesi di reato sarebbe manipolazione del mercato”.

Sono sviluppi – ha aggiunto Repubblica – frutto di “una settimana di duelli tra la Consob e una banca chiusa a riccio, forse temendo che l’ uscita dei dati provochi fughe dei depositi (oltre 2 miliardi di euro sono in conti correnti sopra i 100 mila euro, soggetti al bail in dopo un dissesto). La settimana scorsa la Consob, ai sensi dell’art. 114 del Testo unico della finanza, sulle comunicazioni al pubblico “senza indugio”, aveva chiesto a Bari di fotografare lo stato dei conti e del patrimonio”.

Sotto attacco, De Bustis ha cercato di contrattaccare. Da un lato – dopo l’insuccesso nel trovare cavalieri bianchi disposti a entrare nel capitale della banca e dopo non aver sfruttato al momento le agevolazioni sui Dta previste in caso di fusioni – invocando di fatto (qui l’intervista al Corriere della Sera) l’intervento dello Stato tramite il Mediocredito centrale di Invitalia (holding controllata dal ministero dell’Economia) e, dall’altro lato, annunciando azioni di responsabilità ad personam contro alcuni passati dirigenti e amministratori (mossa, quella di De Bustis, senza avere il beneplacito della Banca d’Italia).

Detto, fatto. Ieri, al termine di una riunione durata oltre quattro ore, il cda ha avviato le procedure per un’azione nei confronti di 4 persone: l’ex amministratore delegato di Popolare di Bari, Giorgio Papa, e altri 3 dirigenti tra cui l’ex condirettore generale, Gianluca Jacobini (uno dei figli del patron Marco che non aveva operatività sui crediti), Nicola Loperfido (ex responsabile crediti) e Benedetto Maggi (crediti), ha scritto Vito Fatiguso sul Corriere del Mezzogiorno (Corsera-Rcs). Dirigenti che sarebbero sotto procedimento sanzionatorio da parte di Bankitalia per “sconfini” creditizi a favore del gruppo pugliese Fusillo.

Anticipata da De Bustis al Corriere della Sera (che giorni prima aveva pubblicato già l’indiscrezione sulla mossa architettata dal capo azienda), ma non confermata da un comunicato ufficiale, l’azione di responsabilità dovrà ora passare al vaglio di un’istruttoria interna ed è condizionata all’ok dell’assemblea dei soci, quanto meno per quello che concerne la posizione dell’ex ad..

“Di certo – ha aggiunto il Sole 24 Ore – la mossa del board certifica in maniera plastica lo scontro in atto all’interno dell’istituto popolare del Sud, in una guerra che vede contrapposto l’attuale capo azienda a (un pezzo) della famiglia Jacobini. Sebbene fuori dall’azione di responsabilità sia rimasto a sorpresa l’ex presidente Marco Jacobini, che indiscrezioni di stampa davano come obiettivo principale dell’azione di De Bustis, è vero che da tempo appare chiaro come tra le due figure sia in atto uno scontro all’arma bianca. De Bustis, che ha guidato lo stesso istituto popolare fino al 2014, è stato richiamato alla guida della banca quest’anno quando ai vertici c’era peraltro lo stesso Jacobini. E la guerra, pur tra alti e bassi, è andata via via crescendo fino ad esplodere in occasione del rinnovo del board lo scorso luglio: a valle dell’assemblea, Jacobini ha fatto un passo indietro – anche sulle pressioni di Bankitalia che auspicava un rinnovamento, lasciando peraltro il posto al nipote, Gianvito Giannelli – mentre De Bustis ha preso in maniera definitiva il timone dell’istituto”.

Tutto liscio? Tanto secondo Repubblica: “Non è detto che sia facile per il cda “incastrare” chi è stato accusato ieri: anche perché il dg Gregorio Monachino dal 1999 è stato quasi ininterrottamente coinvolto nella gestione dei crediti baresi, e lo stesso De Bustis aveva già guidato la Bari dal 2010 al 2014″.

Ma perché De Bustis e il cda non hanno coinvolto l’ex fondatore e deus ex machina della banca, Marco Jacobini, mentre hanno puntato contro il figlio Gianluca? “Considerati i rapporti tra Jacobini e De Bustis (pare che il manager abbia sussurrato una frase del tenore «sono un uomo d’onore, a Marco questa cosa non gliela faccio») è lecito attendersi una sostanziale cautela – ha scritto il Corriere del Mezzogiorno  – Jacobini, infatti, ha lasciato il comando della Pop di Bari il 24 luglio scorso a tre giorni dall’approvazione del bilancio 2018 (chiuso con una perdita stratosferica di 432 milioni). Anche in questo caso l’eventuale azione dovrebbe passare per l’approvazione dell’assemblea dei soci. E dalla sua parte Jacobini ha 29 acquisizioni di banche che partono dal 1989 con Banca agricola commerciale cooperativa di Deliceto fino a Tercas (2016). Ma l’ultima operazione di espansione, in sostanza, ha rappresentato anche l’anello debole della crescita. Infatti, per portare a termine l’acquisizione la Popolare di Bari ha dovuto sostenere uno sforzo in termini finanziari che forse non era in grado di sostenere”. Sforzo – l’acquisto di Tercas – sollecitato e auspicato dalla Banca d’Italia.

Secondo indiscrezioni che filtrano da istituzioni e banche, il vero nodo che vede contrapposti ora Vincenzo De Bustis e Gianluca Jacobini è l’operazione Malta contro cui il figlio del fondatore della banca si è opposto.

AGGIORNAMENTO:

In serata, la Banca Popolare di Bari è stata commissariata.

La Banca d’Italia ha inatti disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Banca Popolare di Bari e la sottoposizione della stessa alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi degli articoli 70 e 98 del Testo Unico Bancario, in ragione delle perdite patrimoniali, si legge in un comunicato dell’istituto di credito.

Bankitalia ha nominato Enrico Ajello e Antonio Blandini commissari straordinari e Livia Casale, Francesco Fioretto e Andrea Grosso componenti del comitato di sorveglianza. A questi ultimi, si legge nella nota, è affidato il presidio della situazione aziendale, la predisposizione delle attività necessarie alla ricapitalizzazione della banca nonché la finalizzazione delle negoziazioni con i soggetti che hanno già manifestato interesse all’intervento di rilancio della banca.

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Estratto dell’articolo del Fatto Quotidiano del 13 dicembre 2019

Per magnificare la propria abilità, De Bustis arringa i consiglieri: “Delle banche non si fida più nessuno e quindi c’è bisogno di fare ricorso alle migliori capacità relazionali. Capacità relazionali significa investire in conoscenze, coltivarle, sedersi al tavolo e discutere, perché sia ben chiaro che in una operazione commerciale o finanziaria nessuno ti usa una cortesia senza pretendere in contropartita una pari opportunità”. Per cui, spiega dando l’operazione per fatta, “ho dovuto chiedere a degli investitori personalmente conosciuti la disponibilità a sottoscrivere questo strumento ibrido di patrimonializzazione”. De Bustis è amministratore delegato dal 12 dicembre 2018, e ha dunque cucinato l’operazione in un paio di settimane, Natale compreso, ma probabilmente si era portato avanti con il lavoro: una settimana prima della nomina si era fatto pagare una consulenza da 127 mila euro.

A usare a De Bustis la cortesia di mollargli 30 milioni al volo e sull’unghia sarebbe stata, se ci fosse riuscita, la società maltese Muse Ventures Ltd, facente capo a Gianluigi Torzi, intraprendente finanziere italiano residente a Londra. Muse Ventures era stata costituita un anno prima con un capitale non precisamente debordante: 1.200 (milleduecento) euro. Come ha ricostruito il 19 luglio scorso sul Fatto Gianni Barbacetto, “l’istituto di credito coinvolto nell’emissione dei titoli, Bnp Paribas, rileva problemi di compliance, cioè di trasparenza e rispetto delle regole” e blocca l’operazione. Diventa evidente, anche dentro la banca, “la sproporzione tra i mezzi propri del sottoscrittore” (la Muse) e il valore dell’operazione. Non solo. Siccome De Bustis propone anche di investire 51 milioni nel fondo lussemburghese Naxos Sif Capital Plus, nasce il sospetto (respinto seccamente dalla stessa Naxos) che si tratti di un’operazione circolare, cioè che i soldi siano sempre gli stessi che escono dalla banca e ci rientrano da Malta.

Ma la sensazione di un collegamento tra le due operazioni nasce in alcuni consiglieri della banca proprio per la presentazione che ne ha fatto De Bustis. Quando il presidente Marco Jacobini gli chiede informazioni “sulla qualità degli investitori”, l’ad sfodera il tono della televendita: “Si tratta di galantuomini, gente per bene (…), hanno chiesto semplicemente di non dare molto risalto pubblicitario all’operazione, perché le condizioni della stessa sono palesemente favorevoli per la banca”. Il consigliere Francesco Venturelli chiede quale sia allora l’utilità economica per l’investitore. Mister Banca 121 ripete: “Le intese sono state sviluppate e definite sulla base di modalità relazionali, le stesse che hanno consentito di ottenere un saggio di interesse del 13 per cento (alla faccia della cortesia, ndr) quando operazioni di questo tipo, normalmente, scontano tassi attorno al 19-20 per cento. Inoltre – prosegue il verbale – considerato che la banca dispone di un’ampia base di liquidità, si è condiviso con il management di realizzare un inverstimento di 50 milioni in un fondo lussemburghese per aumentare la redditività della banca”.

Pochi giorni dopo si è scoperto che Torzi, pur galantuomo e persona per bene, figura insieme al padre Enrico Torzi “nelle liste mondiali di bad press (WorldCheck) per diverse indagini a suo carico avviate dalle Procure di Roma e Larino per reati di falsa fatturazione e truffa”. Inoltre è salito recentemente agli onori delle cronache per la partecipazione, insieme al finanziere Raffaele Mincione, alla “vicenda opaca” (parola del segretario di Stato Pietro Parolin) del palazzo londinese di Sloane Avenue su cui il Vaticano ha perso un bel po’ di soldi e su cui la magistratura di Oltretevere ha aperto un’inchiesta per corruzione, peculato e truffa”. Collegato a Mincione è anche Giulio Gallazzi, l’uomo a cui De Bustis da mesi sta cercando di cedere la Cassa di risparmio di Orvieto, piccola controllata della Bpb.

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