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Quota 102

Pensioni, ecco i veri rischi dell’effetto Fornero sulla quota 100

L'analisi dell'editorialista Giuliano Cazzola

Quando si ha a che fare con persone disposte a negare l’evidenza diventa tempo perso anche mettersi a polemizzare con loro. L’altro giorno un senatore della maggioranza, in un intervento con toni esagitati, ha sostenuto che il maxi-emendamento del ddl di bilancio tardava ad arrivare in Aula perché era il primo testo ad essere scritto dal governo italiano, mentre i precedenti costituivano un taglia/incolla dei fax provenienti da Bruxelles.

(ECCO IL TESTO DEL DECRETO SU PENSIONI E REDDITO DI CITTADINANZA APPROVATO IERI DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Si vede che Giuseppe Conte si era recato nella capitale belga per ammirare quel monumento nazionale denominato ‘‘L’enfant qui pisse”, mentre Giovanni Tria e il suo staff non erano stati ”sequestrati”, per giorni e giorni, da Moscovici e dai sherpa della Commissione per riscrivere la manovra insieme con loro, ma si erano concessi soltanto alcuni giorni di riposo a Bruxelles.

Questa premessa è necessaria per spiegare le considerazioni che mi appresto a fare sulla misura che ”libererà” i pensionandi italiani dai ceppi della legge Fornero: quota 100. Cautela vuole che si aspetti l’articolato (scenderà tra di noi ”da cielo in terra a miracol mostrare” dopo il varo definitivo della legge di bilancio) per trarre delle valutazioni con cognizione di causa.

Vi sono, però, aspetti che – qualunque siano le soluzioni individuate – sono destinati a creare problemi e a deludere tante persone. I requisiti minimi ed essenziali per potersi avvalere dello ”sconto” sull’età pensionabile (il fatto che vi sia una penalizzazione economica è una fake news, perché non è penalizzato chi riceve quanto gli spetta) sono due, senza alcuna flessibilità, nel senso che devono concorrere entrambi: 62 anni di età anagrafica e 38 di anzianità contributiva (ancora non sappiamo se, oltre al ripristino della ”finestra”, vi sarà o meno un limite per i periodi in regime di contribuzione figurativa).

In via preliminare non è chiaro se tale opzione sostituisca quanto oggi stabilito, in materia di pensionamento anticipato, dalle riforma del 2011 (e dalle successive modifiche) oppure se si tratti di un percorso derogatorio parallelo che non abroga la disciplina precedente ma convive con essa.

(ECCO IL TESTO DEL DECRETO SU PENSIONI E REDDITO DI CITTADINANZA APPROVATO IERI DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Nel primo caso – che sarebbe quello più illogico, ma non impossibile visti i furori abrogativi solennemente ribaditi – le due colonne d’Ercole (età e anzianità) in concorso tra di loro possono determinare per molti soggetti la ripetizione dell’effetto Fornero: ovvero allontanare di anni l’accesso alla pensione e soprattutto rendere simbolica ”quota 100”.

Prendiamo in considerazione solo il prossimo triennio durante il quale dovrebbe rimanere in vigore ”quota 100”. Mettiamo il caso di un lavoratore (il maschile non è casuale perché saranno soprattutto i maschi residenti al Nord ad avvalersi della nuova via d’uscita) che, nel 2019, a 62 anni possa far valere solo 35 anni di contribuzione. Per andare in quiescenza dovrebbe lavorare altri tre anni, durante i quali crescerebbe in ugual misura anche l’età anagrafica (fino a 65 anni), per cui la sua quota diventerebbe 103.

Essendo questa persona nata nel 1957 e avendo cominciato a lavorare nel 1984, con i requisiti previsti dal regime vigente (fatta salva la possibilità di avvalersi dell’Ape sociale o volontaria o della normativo ”precoci”) anziché andare in pensione anticipata gli converrebbe attendere di maturare l’età di vecchiaia.

È evidente, allora, che il soggetto considerato trarrebbe vantaggio dall’introduzione dei nuovi requisiti. Facciamo un’altra ipotesi: quella di una persona nata nel 1961 che abbia iniziato a lavorare a 20 anni nel 1981. Nel 2019 avrebbe 58 anni di età e 38 anni di lavoro, perciò dovrebbe restare al lavoro per altri 4 anni per raggiungere il requisito anagrafico di 62 anni. Anche in questo caso, sia pure in termini assai inferiori a quelli del caso precedente, avvalersi di quota 100 (e delle sue variazioni) sarebbe conveniente (considerando sempre la questione dall’angolo visuale di un soggetto che vuole andare in quiescenza il prima possibile).

(ECCO IL TESTO DEL DECRETO SU PENSIONI E REDDITO DI CITTADINANZA APPROVATO IERI DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Mettiamo il caso che un lavoratore, nato nel 1960, abbia iniziato a lavorare a 16 anni. Nel 2019 avrà maturato a 59 anni il requisito di 43 anni e 2 mesi ora previsto. Se gli sarà possibile – ammesso che l’opzione non sia stata abolita per fare posto solo a quota 100 – gli converrà avvalersi – se non l’avesse ancora potuto fare – delle regole made in Fornero, senza dover aspettare altri tre anni per raggiungere quota 62.

È altrettanto facile dimostrare che vi sarebbero altri casi di lavoratori precoci a essere penalizzati dall’introduzione di un requisito anagrafico minimo per poter avvalersi del pensionamento anticipato. Inizialmente – prima di essere abrogate – anche le norme del 2011 prevedevano il limite dei 62 anni per il trattamento anticipato, ma non era un vincolo preclusivo del diritto al pensionamento, ma si limitava a comportare una modesta penalizzazione economica per chiunque avesse intrapreso il percorso dell’uscita anticipata avendone maturato il requisito contributivo ordinario prima dei 62 anni.

In sostanza, se dovesse sostituire in toto la disciplina vigente, il requisito dei 62 anni (di quota 100), potrebbe trasformarsi in una sorta di scalone, per diverse generazioni di baby boomers,. Come si vede dalla sottostante tabella l’età effettiva alla decorrenza delle pensioni di anzianità, ancora nel 2018, risulta mediamente inferiore ai 62 anni.

Qualcuno potrebbe chiedere: ”Ma se già oggi si va in pensione anticipata prima di aver raggiunto i 62 anni previsti dalla (contro)riforma giallo-verde, dove sta il problema? Perché si dovrebbe spendere di più?”.

(ECCO IL TESTO DEL DECRETO SU PENSIONI E REDDITO DI CITTADINANZA APPROVATO IERI DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

La risposta è semplice. Nel regime ”Fornero” non è previsto un requisito anagrafico. Ciò significa che i prepensionati del 2018 hanno dovuto far valere 42 anni e 10 mesi se maschi, 41 anni e 10 mesi se femmine. E sono stati in grado di farlo – in ragione della loro storia lavorativa iniziata presto, contraddistinta da stabilità e continuità – all’età effettiva alla decorrenza riportata nella tabella.

Se ”quota 100” dovesse essere un’opzione aggiuntiva (con sommatoria degli esiti rispettivi) ai pensionamenti di anzianità ”ancien régime” (con storie contributive molto lunghe a prescindere dall’età anagrafica) si aggiungerebbero altri pensionati che compenserebbero, con il requisito di 62 anni di età, un percorso contributivo inferiore di almeno 5 anni nel 2019.

Si tenga conto che già adesso – nei flussi 2018 del Fpld – fatto uguale a 100 il numero dei trattamenti di vecchiaia, quello dell’ anzianità è stato pari a 229. Se poi tra un triennio si dovesse passare a quota 41, ci resterebbe solo da esclamare, con il Poeta: ”Papé Satan, papé Satan, Aleppe”.

(ECCO IL TESTO DEL DECRETO SU PENSIONI E REDDITO DI CITTADINANZA APPROVATO IERI DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

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