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Distretti Industriali Intesa Sanpaolo

Il Corriere della Sera delude Intesa Sanpaolo sull’Ops per papparsi Ubi

Le ultime novità sull'Ops di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca e il commento dell'economista ed ex commissario Consob, Bragantini, pubblicato dal Corriere della Sera e rimbrottato da Dagospia

 

Stamattina balzo in apertura del titolo Ubi Banca (+3,3% a 3,1 euro) nel giorno in cui il suo cda si esprime sulla congruità dell’Ops di Intesa Sanpaolo, che parte lunedì, ed esaminerà a sorpresa l’aggiornamento del piano industriale al 2022. Quest’ultimo era stato approvato il 17 febbraio, proprio poche ore prima che Intesa lanciasse la propria offerta: ora, dopo l’esplosione della pandemia di Covid, il business plan viene rivisto come del resto fatto da altri istituti.

A spingere il titolo dell’istituto guidato dall’ad, Victor Massiah, sono i movimenti all’interno del Patto Car, con il fronte del no che inizia a incrinarsi. In un’intervista con Il Sole 24 Ore, il presidente della Fondazione Monte di Lombardia, Aldo Poli, che detiene il 4,96% dell’istituto bresciano ed è il secondo socio del Patto Car, ha aperto a una valutazione a tutto tondo dell’Offerta di Intesa.

Nello specifico, Poli ha dichiarato che l’obiettivo della Fondazione è la “tutela del territorio e le valorizzazione dell’investimento”. “Ci sembra che si tratti di due obiettivi pienamente coerenti con l’Ops di Intesa in quanto i termini dell’offerta hanno garantito un premio del 28% agli azionisti Ubi rispetto ai valori pre-deal, in caso di inefficacia dell’offerta il multiplo di Ubi (oggi a premio rispetto ai competitor) subirebbe quindi una contrazione con effetto negativo sul prezzo stimabile in circa 30%’, sottolinea Equita.

In secondo luogo, l’obiettivo della Fondazione è “avere maggiori dividendi’ per il territorio. Anche in questo caso, secondo Equita, l’adesione all’offerta di Intesa garantirebbe un flusso di dividendi molto superiore rispetto a quello di Ubi (sarebbe stato quasi il doppio negli ultimi 10 anni se la Fondazione fosse stata azionista di Ubi). Infine, ha sottolineato Poli, i ragionamenti della Fondazione Cr Cuneo (5.9% di Ubi, primo azionista singolo del patto Car) dovrebbero essere gli stessi di quelli espressi dalla Fondazione Banca del Monte di Lombardia.

Ma gli addetti ai lavori oggi hanno notato il commento pubblicato dal Corriere della Sera all’Ops di Intesa su Ubi. Il commento, scritto dall’economista ed ex commissario Consob, Salvatore Bragantini, non è troppo favorevole dal punto di vista sistemico verso l’Offerta del gruppo bancario capeggiato dall’amministratore delegato, Carlo Messina.

“Ubi è piccola, meno di un decimo di Isp, ma l’uccisione in culla del terzo polo, con Unicredit sempre più proiettata all’estero, induce alcuni a temere che il sistema possa diventare molto squilibrato. E’ un tema che tutti i soggetti in campo debbono affrontare con scelte concrete”, è la conclusione del commento di Bragantini.

Su Bragantini si è abbattuto un titolo di Dagospia, che ha ricordato come Bragantini sia stato tra l’altro capo azienda di Centrobanca, prima controllata e poi fusa in Ubi Banca, e vicepresidente di Iw Bank, soggetta all’attività di direzione di Ubi Banca. E l’economista ha replicato: qui il botta e risposta.

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Di seguito alcuni brani del commento del Corriere della Sera:

Intesa Sanpaolo (Isp) vuole il controllo di Ubi, Unione bancaria italiana, per poi incorporarla; perciò offre agli azionisti Ubi di scambiare 10 azioni Ubi con 17 di Isp. Mira ai due terzi del capitale Ubi, così da poterla incorporare senza opposizioni.

L’Offerta pubblica di scambio (Ops) è la prima non concordata dal ‘99, quando Credito italiano e San Paolo di Torino ne lanciarono in contemporanea due, ostili, su Banca Commerciale italiana e Banco di Roma. Se allora la Banca d’Italia, presa alla sprovvista, le bloccò, Isp ora gode della benigna neutralità della Banca Centrale europea.

Isp cerca i nuovi margini chiesti dagli azionisti per continuare a sostenerla. Solo le sinergie legate a operazioni di aggregazione — soprattutto tagli dei costi, cioè chiusura di filiali e uscite di personale — compensano il calo dei margini. Come molte altre banche, Isp prospetta alti dividendi che, bloccati per ora dal regolatore, restano il vero sostegno ai corsi azionari. Ad alimentarli, dopo tante partite straordinarie — come, in Isp, il contributo statale di 3,5 miliardi per rilevare le banche venete — serve l’Ops. Essa è subordinata solo al superamento del 50% del capitale, ma per realizzare le promesse sinergie serve il 66,6% dei voti in assemblea straordinaria Ubi.

Resta da valutare l’Ops in una prospettiva di sistema, lasciando da parte il corale sostegno dei beneficiari di ampia assistenza da Isp. Il vero tema è la concorrenza bancaria, che la vittoria di Isp molto ridurrebbe; nonostante le previste cessioni di filiali alla Banca Popolare dell’Emilia-Romagna, per l’Antitrust l’operazione «allo stato» non è autorizzabile. Essa ha perciò aperto un procedimento che dovrebbe chiudersi a metà luglio. Fra gli elementi critici, l’Autorità ricorda che se Isp non avesse i due terzi delle azioni Ubi potrebbe non realizzare le promesse sinergie. Per questo e per amor di chiarezza, bisognerebbe che Isp trovasse il modo di porre subito la soglia dei due terzi come condizione al successo dell’Ops.

Essa toglierebbe di scena il perno del terzo polo bancario italiano, dopo Unicredit e Isp, nuocendo anche così alla concorrenza. Da anni ci si aspettava che Ubi avviasse il terzo polo; forse aveva un vertice incontentabile, forse le proposte non attraevano, forse le poltrone non andavano ai nomi giusti. Sta di fatto che alla porta è arrivata Isp, affamata di ulteriori sinergie, inclusa l’eliminazione di poltrone.

Ubi è piccola, meno di un decimo di Isp, ma l’uccisione in culla del terzo polo, con UniCredit sempre più proiettata all’estero, induce alcuni a temere che il sistema possa diventare molto squilibrato. E’ un tema che tutti i soggetti in campo debbono affrontare con scelte concrete

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