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GIORGIO PALù

Covid: basta isterie, la letalità è bassa, no a nuovi lockdown. Parla il virologo Palù

Il pensiero del virologo Giorgio Palù, professore emerito dell’Università di Padova e past-president della Società italiana ed europea di Virologia, su Covid, letalità,, lockdown e non solo

 

“Covid ha una letalità, in base agli studi di sieroprevalenza, tra lo 0,3 e lo 0,6%. Ma con questa relativamente bassa letalità – ben inferiore a quella dei suoi parenti più stretti, cioè della Sars, che era al 10%, e della Mers, al 36% – questo virus, anche se fosse artificiale, non è destinato a estinguere il genere umano. È destinato a circolare per anni, forse per generazioni e ce lo ritroveremo come i virus pandemici dell’influenza, che ogni anno riemergano con andamento stagionale. Ma si adattano progressivamente all’uomo perché la loro finalità replicativa è quella di persistere nell’organismo che è diventato il loro serbatoio naturale”.

E’ quello che ha detto nel corso di un’intervista al Sussidiario il virologo Giorgio Palù, uno degli accademici italiani più noti nel mondo scientifico mondiale in materiale di virologia.

Oggi Il Corriere della Sera lo ha definito “un’autorità indiscussa nel campo della virologia, professore emerito dell’Università di Padova e past-president della Società italiana ed europea di Virologia”

Palù ha commentato anche le ipotesi di nuovi lockdown: «Sono contrario come cittadino perché sarebbe un suicidio per la nostra economia; come scienziato perché penalizzerebbe l’educazione dei giovani, che sono il nostro futuro, e come medico perché vorrebbe dire che malati, affetti da altre patologie, specialmente tumori, non avrebbero accesso alle cure. Tutto questo a fronte di una malattia, la Covid-19, che, tutto sommato ha una bassa letalità. Cioè non è così mortale. Dobbiamo porre un freno a questa isteria», ha detto al Corsera.

Ecco di seguito alcune delle recenti interviste rilasciate dal prof. Palù:

ESTRATTO DA UN’INTERVISTA AD AFFARI ITALIANI:

Professor Palù. sbagliamo nella gestione della crisi?

“Sappiamo che per infettare ci vogliono dai 100.000 a 1 milione di genomi equivalenti. Vuol dire concentrazioni di acido nucleico tali da essere presenti in almeno 1 milione di particelle virali. Non sappiamo neanche se quell’RNA è in una particella virale! Gli asintomatici non sono malati. Questa spettacolarizzazione, questa infodemia che si è sviluppata è grave… Anche il mondo è come impazzito ma in nessun posto è stata gestita come in Italia.”

Avrà seguito la diatriba tra gli scienziati del ‘Great Barrington’ e quelli de ‘Il memorandum di John Snow’. I primi parlano di gestire il Covid con l’immunità di gregge, i secondi con i lockdown generalizzati e per zone. Quale strada seguire?

“L’immunità di gregge si ottiene con il vaccino. Con il nostro virus ci vuole che sia vaccinata almeno il 70% della popolazione o la si può ottenere per via naturale, se l’infezione incontra la stessa percentuale di persone. La stessa cosa che diceva all’inizio Boris Johnson male interpretando sir Chris Whitty, virologo di riferimento del governo per la lotta al Covid-19. Se c’è il vaccino o i vaccini potremmo puntare all’immunità di gregge ma non è ancor il caso di parlarne. In alcune zone della bergamasca è circolato sì nel 35% della popolazione. Gli studi più accreditati in Italia dicono ad esempio che in Veneto è circolato pochissimo, nell’1,5% della popolazione. E siamo arrivati al 6-7% della popolazione solo per gli esposti nelle case di ricovero. In Lombardia è circolato al 10%. Quindi è circolato relativamente poco”.

ESTRATTO DI UN’INTERVISTA AL CORRIERE DELLA SERA:

Contagiati: “E’ certo che queste persone sono state “contagiate”, cioè sono venuti a contatto con il virus, ma non è detto che siano “contagiose”, cioè che possano trasmettere il virus ad altri. Potrebbero farlo se avessero una carica virale alta, ma al momento, con i test a disposizione, non è possibile stabilirlo in tempi utili per evitare i contagi».

Allora, riassumendo: so che certe persone sono positive al tampone, so che sono asintomatiche, quindi non malate, so, però, che in una certa percentuale di casi (non è possibile stabilire quanto grande) possono contagiare altri. E, quindi, come comportarsi, visto che a Milano, per esempio, si è dichiarato il fallimento della possibilità di tracciare i contatti?

«Ci si dovrebbe attivare nel caso si individuino dei “cluster” (traduzione: raggruppamenti, ndr) : quando, cioè, il positivo è venuto a stretto contatto con altre persone in un ambiente di lavoro, a scuola o in famiglia. Allora si dovrebbero fare i tamponi a tutti».

Quindi, conoscere i dati giornalieri, come da bollettini, sui contagi/casi/positivi non è, in definitiva, utile?

«Quello che veramente conta è sapere quante persone arrivano in terapia intensiva: è questo numero che dà la reale dimensione della gravità della situazione. In ogni caso questo virus ha una letalità relativamente bassa, può uccidere, ma non è la peste».

A che cosa attribuisce l’attuale impennata di casi?

«Certamente alla riapertura delle scuole. Il problema non è la scuola in sé, ma sono i trasporti pubblici su cui otto milioni di studenti hanno cominciato a circolare. Tenere aperte le scuole è, però, indispensabile».

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