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Steinmeier

Tutti i subbugli in Germania sul caso Zelensky-Steinmeier

L'Ucraina ha detto di considerare "persona non grata" il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier. Ecco che cosa si dice in Germania L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

Nonostante Olaf Scholz faccia di tutto per tenere la Germania il più lontano possibile dallo scenario bellico in Ucraina, esercitandosi nel delicato equilibrismo di assicurare armi ai resistenti, ma non quelle pesanti che vorrebbe la sua ministra degli Esteri per evitare che Nato e Germania “diventino parte della guerra”, quel conflitto è già entrato nella Repubblica federale.

Anni di Ostpolitik 2.0, all’insegna di affari e amicizia con la Russia, si rivolgono contro Berlino, che ora paga pegno con una perdita di peso politico nell’Europa orientale, in quello che era considerato una sorta di cortile di casa. Non era mai accaduto che a un esponente istituzionale tedesco fosse fatta recapitare la cartolina di persona non grata. È capitato al presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier, che ha dovuto “prendere atto” che la sua presenza a Kiev, al fianco dei suoi omologhi polacco e baltici, non era gradita.

Uno sgarbo, un’ingiustizia, tuonano da Berlino quei politici cui la diplomazia istituzionale non costringe a tenere la bocca chiusa. Ma Steinmeier sconta, agli occhi di Zelensky e degli ucraini in guerra, il fatto di essere stato il vero architetto della politica di amicizia con la Russia, prima come braccio destro di Gerhard Schröder alla cancelleria, poi come ministro degli Esteri in due governi di Angela Merkel. Un ventennio buono durante il quale l’attuale presidente della Repubblica ha rielaborato, ridefinito e indirizzato quella Ostpolitik inaugurata da Willy Brandt a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, che nell’interpretazione storica dei tedeschi avrebbe tracciato il solco delle rivoluzioni più o meno pacifiche del 1989.

Così la Germania nella guerra di Putin ci è tirata per i capelli, anche se per ora solo sul piano diplomatico e delle relazioni internazionali. E mentre il presidente polacco Duda e i suoi colleghi baltici sedevano a colloquio con Zelensky in una Kiev che si appresta a resistere all’offensiva russa in Donbass, il mondo politico tedesco sprofondava in un dibattito interno che ha evidenziato tutte le faglie che corrono tra governo e opposizione, fra gli stessi partiti della maggioranza e e perfino dentro i singoli partiti.

Nel momento in cui Zelensky faceva comunicare a Steinmeier di restarsene a casa, tre presidenti di commissioni parlamentari tedesche, in rappresentanza dei tre partiti della maggioranza, erano in visita a Leopoli per incontrare loro colleghi ucraini. E sono rientrati con due messaggi che a Berlino non vorrebbero sentire: dateci armi pesanti e smettete di comprare gas e petrolio da Mosca. Un messaggio che i tre hanno fatto proprio, almeno per quel che riguarda armi e petrolio: il gas resta una patata bollente anche per i più accaniti filo-ucraini tedeschi.

E l’appello non è piaciuto soprattutto ai socialdemocratici, gli unici della maggioranza a puntare i piedi sull’invio dei Leopard 1 e degli altri armamenti annunciati dalla ministra degli Esteri Annalena Baerbock. Tanto che il coordinatore della politica estera dell’Spd, Ralf Stegner, se l’è presa con il socialdemocratico del terzetto, che peraltro non è un peones, ma il presidente della Commission esteri del Bundestag ed ex vice ministro agli Esteri: “Non condivido per nulla la posizione non coordinata del mio collega Michael Roth”, ha detto ai giornalisti, “Chi ora sostiene che la guerra durerà a lungo e che quindi dobbiamo fornire armi sempre più pesanti rischia un grande tributo di sangue, come sappiamo dagli esempi di Afghanistan, Siria e Iraq”.

Sulle armi insomma verdi e liberali da una parte, socialdemocratici (con il cancelliere) dall’altra. Ma, come visto, le divisioni corrono spesso anche all’interno degli stessi partiti. Se i verdi appaiono i più allineati sulla linea dura verso Mosca, la disponibilità della leadership (Habeck e Baerbock) ad armare Kiev non è condivisa affatto dall’ala pacifista e più di sinistra, che è minoritaria ma niente affatto insignificante.

Quanto allo smacco toccato a Steinmeier, le posizioni ufficiali sono ovviamente meno dissonanti e prevale una certa solidarietà istituzionale. Solo l’opposizione accenna a un po’ di comprensione, pur parlando di “affronto”: “Evidentemente le riserve sulla politica russa dell’Spd sono profonde in molti paesi dell’Europa orientale, e questo posso capirlo”, ha detto Friedrich Merz (Cdu).

Per il resto i toni sono bassi, si parla di “rammarico” e si sottolinea che la posizione della Germania è oggi chiara al fianco dell’Ucraina. Ma intanto Olaf Scholz si è sfilato dal tentativo ucraino di rimediare (o di dividere?) l’establishment tedesco e ha declinato a data da destinarsi l’invito di Zelensky ad andare lui a Kiev. Per il cancelliere l’incidente diplomatico con Steinmeier è quasi una benedizione, perché dopo i viaggi a Kiev di Roberta Metsola, Ursula von der Leyen e Boris Johnson, si erano moltiplicate le pressioni interne a mettersi in viaggio anche lui verso la capitale ucraina.

Tuttavia, come ha notato in un editoriale il Tg del canale pubblico Ard, Zelensky non si è fatto un gran favore con questa mossa: “La Germania è uno dei più importanti sostenitori dell’Ucraina quando si tratta di aiuti finanziari e attrezzature militari. Dichiarare indesiderabile il suo capo di Stato è una forma di non riconoscimento di questo aiuto”.

Adesso è assai improbabile che il cancelliere Scholz decida di andare a Kiev dopo il rifiuto al suo presidente della Repubblica e questo può rivelarsi un autogol, conclude Ard: “Putin ora può osservare con piacere quanto l’Occidente sia diviso e come sia pubblicamente fallito il viaggio dei capi di Stato o di governo baltici con il presidente Steinmeier. L’Ucraina non avrebbe dovuto regalare alla Russia questo tranquillo trionfo”.

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