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Coste

Vi racconto gli ultimi scazzi nei palazzi europei

La Germania e la Francia non hanno gradito l'accordo tra Ursula von der Leyen e Joe Biden contro la Cina: ci sono importanti interessi commerciali e politici in ballo. L'articolo di Tino Oldani per ItaliaOggi.

 

Ci risiamo. Tra i due numeri uno dell’Unione europea, Charles Michel (Consiglio Ue) e Ursula von der Leyen (Commissione Ue), è di nuovo scontro aperto. Di mezzo, questa volta, non c’è un sofà turco, ma la politica dell’Europa verso la Cina. Una questione geopolitica la cui importanza è sotto gli occhi di tutti nel mondo. E von der Leyen, che la settimana scorsa ha siglato a Washington un accordo con Joe Biden, in buona sostanza una dichiarazione di intese economiche contro la Cina, per Michel ha commesso un errore imperdonabile. Tanto grave che lo stesso Michel ha chiesto ai superburocrati del Consiglio Ue un «parere legale» per verificare se la presidente della Commissione Ue sia andata oltre i poteri del proprio mandato, impegnando nella politica contro la Cina i 27 paesi Ue senza averli consultati e senza il necessario mandato politico.

FRANCIA E GERMANIA NON GRADISCONO L’ACCORDO ANTI-CINA

Su questo punto, un funzionario Ue ha dichiarato a Politico, testata on line che ha sollevato per prima il caso: «Sicuramente la Commissione Ue ha una competenza sul commercio. Ma stiamo parlando di strategia geopolitica, della posizione dell’Ue a livello internazionale. E questo deve essere fatto con un mandato del Consiglio europeo».

Dietro Michel, sostiene Politico, ci sono alcuni governi europei che hanno «rapporti accomodanti con Pechino», come Berlino, Budapest e Atene. Soprattutto la Germania, «importante investitore in Cina, in particolare attraverso l’industria automobilistica, vuole evitare rotture nei legami commerciali».

Altre fonti di Bruxelles indicano anche la Francia tra i paesi che non hanno gradito l’accordo firmato da Ursula a Washington, pur essendo da sempre Emmanuel Macron uno dei maggiori sponsor di von der Leyen. Ma in questo caso, con la Cina di mezzo, soprattutto per ragioni di politica internazionale (guerra in Ucraina, il presidente cinese Xi Jinping possibile mediatore di pace), anche per Macron la presidente della Commissione Ue ha sbagliato a non consultarsi prima con Germania e Francia, i due azionisti di maggior peso nell’Ue. Un’altra fonte anonima Ue di Bruxelles, facendosi interprete della posizione francese, ha detto: «Sì, siamo un partner degli Stati Uniti, ma non siamo uno Stato vassallo. Siamo convinti che non dobbiamo disaccoppiarci completamente dalla Cina».

La risposta di von der Leyen, finora, è stata piuttosto debole, tutta sulla difensiva, e affidata a un portavoce, il quale ha detto che la dichiarazione di venerdì scorso firmata da Biden e von der Leyen «riflette la politica del G7, come stabilito dalla presidenza giapponese del gruppo. Inoltre, prima di recarsi a Washington, la presidente della Commissione Ue aveva parlato della necessità di ridurre il rischio Cina, e non di perseguire il disaccoppiamento completo dalla Cina».

LO SCONTRO (L’ENNESIMO) TRA MICHEL E VON DER LEYEN

Lo scontro tra Michel e von der Leyen riporta a galla uno dei punti deboli della costruzione bizantina che caratterizza le istituzioni Ue. La Commissione, guidata da von der Leyen, è il braccio esecutivo del blocco costituito dai 27 paesi membri, e può proporre direttive specifiche che hanno valore di leggi. Ma l’approvazione di queste ultime spetta al Consiglio dei capi di Stato e di governo, che è il vero centro di potere politico e decisionale in Europa, un organismo di cui il belga Michel è presidente e coordinatore, dunque sulla carta un gradino politico più in alto di Ursula.

In passato, la collaborazione tra questi due numeri uno era data per scontata, tanto che durante la precedente legislatura europea Jean-Claude Junker e Donald Tusk si sono incontrati ogni settimana per l’intera durata del mandato. All’inizio di questa legislatura, anche Ursula e Michel si erano messi d’accordo per vedersi ogni lunedì, ma dopo il Sofagate turco del 2021 gli incontri settimanali sono stati abbandonati, lasciando il posto a una serie di scontri personali sempre più evidenti.

Solo per stare ai casi più recenti: nel giugno 2022 von der Leyen pose il veto sulla partecipazione di Michel all’incontro con il premier indiano Narendra Modi, giunto in visita in Germania. Pochi mesi dopo, novembre 2022, Michel incontrò da solo a Bali, in occasione del G20, il presidente cinese Xi Jinping, escludendo per ripicca Ursula. Quanto ai rapporti con gli Stati Uniti, dal 2019 ad oggi Michel non ha mai fatto una visita ufficiale alla Casa Bianca, evidentemente perché non invitato. Ursula, invece, ha incontrato Biden più volte, sia a Bruxelles che alla Casa Bianca (due volte), in quanto il presidente Usa la considera il vero numero uno in Europa.

Una vicinanza che a Bruxelles, rivela Politico, alcuni considerano eccessiva, supportata da un superburocrate di rilievo, Bjoern Seibert, capo di gabinetto di Ursula, che nell’ultimo anno, dall’invasione russa dell’Ucraina in poi, è stato il tramite tra Bruxelles e alcune figure chiave della Casa Bianca, primo fra tutti Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale e stretto collaboratore di Biden.

A seguito di questi rapporti circola la voce che von der Leyen sarebbe in pole position per succedere a Jens Stoltenberg nell’incarico di segretario generale della Nato. L’ipotesi, stando alle indiscrezioni, sarebbe gradita da Biden. Ma non avrebbe il supporto né della Francia, né della Germania.

C’è poi un problema di tempi: la carica di Stoltenberg scade a settembre, quella di Ursula nel giugno 2024, quando si terranno le elezioni europee. Con queste scadenze in evidenza nell’agenda di Ursula e soci, davvero a Roma c’è chi pensa che a Bruxelles si stiano preoccupando per l’aumento degli immigrati in Italia?

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